ASTRONOMIA E NATURA
di Marco Marchetti


Arcobaleno primario e arcobaleno secondario a Carpena (FO), 28 marzo 2003

INTRODUZIONE

A volte si ha la sensazione che gran parte del grande pubblico ritenga che l’astronomia sia una scienza riservata ad una ristretta cerchia di persone (gli astronomi) che passano il loro tempo a scrutare il cielo attraverso giganteschi tubi metallici (i telescopi) oppure a disquisire su questioni totalmente incomprensibili alle persone comuni.

Niente di più sbagliato. L’astronomia è probabilmente l’unica disciplina scientifica veramente alla portata di tutti; con cifre relativamente modeste è possibile acquistare ottimi strumenti con i quali effettuare indimenticabili osservazioni del cielo. Esistono tanti bravissimi astrofili, con una istruzione che non supera quella della scuola dell’obbligo, che svolgono lavori e ricerche spesso apprezzati e ricercati anche dagli astronomi professionisti.

Inoltre l’astronomia ci aiuta a capire molti fenomeni naturali: chi non è rimasto affascinato almeno una volta dall’azzurro del cielo, dal rosso infuocato dell’alba e del tramonto del Sole oppure dall’apparizione di uno o più arcobaleni? Eppure forse non tutti sanno perché il cielo è azzurro, perché il tramonto e l’alba si colorano di rosso e qual è l’origine dell’arcobaleno.

In questa sede cercheremo di fornire alcune semplici cognizioni astronomiche che ci consentiranno di comprendere meglio il mondo che ci circonda.

 

IL CIELO STELLATO

La visione del cielo stellato in una notte buia, limpida e senza Luna è uno degli spettacoli più affascinanti e suggestivi che ci offre la natura; migliaia di stelle con varie sfumature di luminosità e colore che splendono come diamanti incastonati in un gigantesco diadema cosmico.

Purtroppo questo grandioso spettacolo è ormai diventato inaccessibile alla stragrande maggioranza della popolazione a causa del proliferare incontrollato e selvaggio dell’illuminazione artificiale che ha praticamente cancellato la notte dalle città, periferie e paesi.

In condizioni favorevoli la stelle visibili ad occhio nudo sono mediamente seimila, tremila visibili dall’emisfero nord e tremila visibili dall’emisfero sud del nostro pianeta.

Le stelle sono corpi analoghi al nostro Sole che ci appaiono così piccoli perché sono estremamente lontani; infatti mentre il Sole dista mediamente dalla Terra circa 150 milioni di chilometri le stelle più vicine distano decine di migliaia di miliardi di chilometri. Gli astronomi si sono così accorti che il chilometro è una unità di misura troppo piccola per l’astronomia; infatti la stella più vicina (ovviamente dopo il Sole) dista dalla Terra 40 mila miliardi di chilometri che è un numero formato da un quattro seguito da tredici zeri. Numeri così grandi sono molto scomodi da maneggiare cosicché è stato introdotto l’anno luce definito come la distanza percorsa dalla luce in un anno viaggiando alla velocità di 299.792,5 chilometri al secondo pari a circa 9460 miliardi di chilometri. A prima vista può sembrare che questa volta gli astronomi abbiano un po’ esagerato; in realtà l’anno luce è perfetto poiché con un numero limitato di cifre è possibile abbracciare tutte le distanze dell’universo conosciuto. Così la Luna, il corpo celeste più vicino alla Terra, dista un secondo luce (ciò vuol dire che luce per percorrere la distanza Terra - Luna impiega un secondo), il Sole otto minuti luce, la stella più vicina dopo il Sole quattro anni luce mentre gli oggetti più lontani dell’universo conosciuto distano intorno ai dodici miliardi di anni luce.

Fin dalla più remota antichità le stelle furono idealmente suddivise in gruppi o ‘costellazioni’ i quali vennero battezzati con i nomi di cose, animali o persone inerenti la realtà o le leggende di quegli antichi popoli; oggi le costellazioni ufficialmente riconosciute sono ottantotto fra le quali troviamo gruppi molto antichi, come le costellazioni di Orione e del Toro risalenti alle mitologie greche e anteriori, e gruppi introdotti in epoche molto più recenti, come le costellazioni australi del Telescopio e del Microscopio.

Le stelle visibili ad occhio nudo sono solo una frazione infinitesima del numero totale di stelle presenti nel nostro universo. Solo la nostra galassia ne contiene circa cento miliardi e se consideriamo il fatto le galassie conosciute sono svariate decine di miliardi ci accorgiamo che il numero di stelle esistenti è veramente molto ma molto grande.

Il buio della notte. La presenza di un numero così elevato di stelle pone immediatamente un inquietante interrogativo. Perché la notte è buia? La risposta appare ovvia: perché il Sole è tramontato, cioè si trova al di sotto dell’orizzonte. Risposta corretta ma non sufficiente poiché questa non è solo una questione di Sole ma soprattutto di stelle.

Infatti se il nostro universo contiene un numero smisuratamente grande di stelle la loro luce (debole o intensa che sia) dovrebbe arrivare da tutte le direzioni e riempire in maniera uniforme il cielo il quale dovrebbe apparirci più luminoso che in pieno giorno. Questo problema (proposto nel 1743 da Jean Philippe Loys de Cheseaux e poi, indipendentemente, da Wilhelm Olbers nel 1823) prende il nome di ‘Paradosso di Olbers’.

La spiegazione del paradosso è molto semplice. In primo luogo il numero totale di stelle è enormemente grande ma pur sempre finito; in secondo luogo la luce delle stelle lontane viene indebolita, cioè affievolita, dall’espansione dell’universo. Nel 1929 venne fatta l’importantissima scoperta che l’universo in cui viviamo è in espansione, cioè si comporta analogamente alla superficie di un palloncino nel quale venga continuamente pompata dell’aria; un effetto dell’espansione è proprio quello di indebolire (gli astronomi dicono ‘arrossare’) la luce proveniente dagli oggetti lontani.

 

LA LUCE DEL SOLE

Noi siamo talmente abituati alla luce del Sole che spesso ci dimentichiamo dell’importantissimo ruolo che essa svolge nei riguardi della vita sulla Terra: senza la luce del Sole la stragrande maggioranza degli esseri viventi presenti sul nostro pianeta (noi compresi) non potrebbe sopravvivere.

Infatti l’energia trasportata dalla luce solare alimenta il meccanismo della fotosintesi clorofilliana grazie al quale le piante convertono il biossido di carbonio presente nell’atmosfera e l’acqua in sostanze nutrienti necessarie al loro sostentamento. Inoltre le piante sono l’alimento più importante degli animali erbivori che, a loro volta, costituiscono il nutrimento dei carnivori; al vertice della piramide alimentare troviamo infine l’Uomo.

Possiamo allora facilmente immaginare la catastrofe ecologica che avverrebbe sulla Terra nell’eventualità che la luce del Sole venisse improvvisamente a mancare: una vera e propria ecatombe.

La luce cosiddetta visibile è solo una frazione di tutta la radiazione emessa dal Sole; infatti la nostra stella emette continuamente nello spazio luce ma anche onde radio, raggi infrarossi ed ultravioletti, raggi X e gamma. La maggior parte di questa radiazione non riesce però a raggiungere la superficie terrestre (per fortuna!) poiché viene bloccata dall’atmosfera la quale si comporta come un filtro e lascia passare solo le onde radio, la luce visibile e una piccola frazione della radiazione infrarossa.

Nel diciassettesimo secolo Isaac Newton fece una curiosa scoperta. Il grande scienziato, famoso soprattutto per le sue scoperte in campo astronomico, costrinse un raggio di luce solare ad attraversare un prisma di vetro e si accorse che la luce, dopo l’uscita dal prisma, veniva scomposta in sette componenti colorate che partendo dal rosso arrivano fino al violetto: i sette colori dell’iride.

Per capire questo fenomeno è utile immaginare la luce (come del resto qualsiasi altro tipo di radiazione, dalle onde radio ai raggi X) come un insieme di onde; la caratteristica fondamentale di un’onda è la cosiddetta ‘lunghezza d’onda’ definita come la distanza fra due creste o due ventri dell’onda stessa. I colori dipendono dalla lunghezza d’onda dell’onda corrispondente; la componente rossa ha la lunghezza d’onda più grande mentre quella blu e soprattutto quella violetta ha la lunghezza d’onda più piccola. Torniamo adesso all’esperimento di Newton. Il prisma ha la proprietà di deviare la traiettoria dei raggi di luce che lo attraversano (fenomeno della rifrazione); questa deviazione è tanto più alta quanto più corta è la lunghezza d’onda della radiazione incidente. Ecco allora che la componente violetta della luce subisce la massima deviazione al contrario di quello che succede alla componente rossa.

Questa caratteristica della luce solare dà luogo a tutta una serie di fenomeni che, più o meno quotidianamente, avvengono sotto i nostri occhi. Vediamone alcuni.

 

L’arcobaleno. L’estate è una stagione davvero curiosa; può capitare che un temporale si formi praticamente dal nulla e che una splendida giornata di sole si trasformi immediatamente in una buia giornata piovosa. In genere i temporali estivi si muovono molto velocemente e dopo un violento acquazzone, mentre scendono ancora le ultime gocce di pioggia, ecco di nuovo apparire il Sole più brillante che mai. In queste occasioni dalla parte opposta al Sole, sullo sfondo delle nubi ancora cariche di pioggia, appare come per magia uno splendido arco luminoso finemente colorato che attraversa il cielo: l’arcobaleno.

Un’antica leggenda vuole che alla base dell’arcobaleno si trovi una pentola colma di monete d’oro. Chi ne volesse verificare l’attendibilità e cimentarsi nella ricerca del prezioso contenuto rimarrà un po’ deluso; infatti nonostante tutti gli sforzi per avvicinarvisi l’arcobaleno rimarrà sempre alla medesima distanza.

L’arcobaleno trova spiegazione nei fenomeni di riflessione e rifrazione della luce del Sole all’interno delle gocce di pioggia sospese nell’atmosfera; in altre parole le goccioline di acqua si comportano come minuscoli prismi di vetro in grado di scomporre la luce solare.

L’idea, proposta e verificata per la prima volta dal monaco tedesco Teodorico di Freiberg più di sei secoli fa, venne ripresa da Cartesio e perfezionata da Isaac Newton. La luce del Sole subisce una prima scomposizione (cioè viene rifratta) quando penetra nella goccia, poi viene riflessa dalla parete opposta dopo di che, subendo un’ulteriore scomposizione, fuoriesce dalla goccia e arriva agli occhi dell’osservatore il quale deve, per forza di cose, trovarsi con il Sole alle spalle.

Newton dimostrò matematicamente che la massima intensità luminosa è dovuta all’interazione della luce con le gocce di pioggia che si trovano lungo un arco di circonferenza con l’osservatore situato di fronte al centro di essa. Questo è il motivo per cui è impossibile osservare l’arcobaleno obliquamente; infatti se ci muoviamo lateralmente l’arcobaleno sembrerà muoversi insieme a noi.

Più precisamente la massima intensità luminosa si ha per la luce che penetra nella goccia con un valore ottimale del ‘parametro di impatto’ (la distanza fra la direzione della luce incidente e la linea parallela ad essa che passa per il centro della goccia) e che fuoriesce dalla goccia con una inclinazione di circa 42 gradi rispetto alla direzione di penetrazione. Il risultato è un arco di circonferenza con il centro nel ‘punto antisolare’ (il punto situato a 180 gradi dal disco solare, quindi mai visibile da un osservatore terrestre) con uno spessore compreso fra 38,72 gradi (limite ultravioletto) e 42,86 gradi (limite infrarosso), misurati rispetto al punto antisolare.

Da ciò risulta che l’arcobaleno è visibile quando l’altezza del Sole sull’orizzonte è inferiore a 42 gradi; in altre parole l’arcobaleno non è mai visibile nelle ore centrali della giornata. Oggigiorno è comunque possibile ammirare bellissimi arcobaleni ‘artificiali’ osservando da opportune posizioni l’acqua spruzzata in alto dai potenti impianti di irrigazione molto comuni nelle nostre campagne oppure dai più modesti sistemi di annaffiatura dei giardini domestici.

L’arcobaleno secondario. A volte, esternamente all’arcobaleno principale (arcobaleno primario), appare un secondo arcobaleno con la sequenza dei colori invertita rispetto al primo.

L’arcobaleno secondario è causato da quella luce che fuoriesce dalla goccia d’acqua dopo una ulteriore riflessione e rifrazione. Sempre grazie alle leggi della riflessione e della rifrazione si dimostra che l’arcobaleno secondario deve apparire esternamente a quello primario con uno spessore compreso fra 49,49 gradi (limite infrarosso) e 56,81 gradi (limite ultravioletto) e che la sequenza dei colori deve essere invertita; da ciò segue che l’arcobaleno secondario ha uno spessore doppio rispetto a quello primario ma ha una luminosità ridotta del 43% a causa dell’indebolimento della luce dopo ogni riflessione con la parete interna della goccia.

Si possono inoltre formare anche arcobaleni di ordine superiore al secondo nel caso di ulteriori riflessioni della luce all’interno delle gocce d’acqua.

La banda scura di Alessandro. La fascia scura compresa fra l’arcobaleno primario e quello secondario si chiama ‘banda scura di Alessandro’ dal nome di Alessandro di Afrodisia, un filosofo greco che per primo descrisse il fenomeno nelle sue ‘Cronache’ nel 200 a.C.

La banda scura di Alessandro si forma a causa delle debolezze delle riflessioni interne alle gocce d’acqua corrispondenti ad angoli di fuoriuscita dalle stesse compresi fra l’arcobaleno primario e quello secondario.

Al contrario, la zona situata all’interno dell’arcobaleno primario risulta particolarmente luminosa a causa della luce che fuoriesce dopo il primo impatto con la parete interna della goccia.

 

L’azzurro del cielo. Le persone che, come lo scrivente, sono appassionate di trekking o in generale della montagna saranno sicuramente rimaste colpite dall’intenso azzurro del cielo visibile dalle alte quote.

D’altra parte chi ha osservato le fotografie scattate sulla Luna dagli astronauti avrà sicuramente notato che il cielo, osservato dalla superficie del nostro satellite, appare nero come la notte con il Sole che splende in mezzo alle stelle.

Perché il cielo, osservato dalla Terra, è azzurro? La risposta va ricercata nel fenomeno della diffusione della luce del Sole da parte delle molecole che compongono l’atmosfera terrestre. Infatti, a differenza della Luna, la Terra possiede una densa atmosfera composta dal 75% di azoto, dal 21% di ossigeno e da una minima percentuale di biossido di carbonio e altri elementi.

Quando la luce del Sole penetra nell’atmosfera terrestre essa urta contro le molecole che formano l’atmosfera stessa; ogni urto fa sì che parte della luce incidente si sparga in tutte le direzioni (fenomeno della diffusione). Lo stesso effetto è visibile nei locali chiusi molto fumosi, illuminati da una lampada centrale, nei quali la luce sparpagliata (diffusa) dal fumo sembra spalmata in tutto l’ambiente.

Siccome le dimensioni delle molecole dell’atmosfera sono molto più piccole della lunghezza d’onda della luce il fenomeno deve essere interpretato secondo il modello teorico proposto da Lord Raleigh il quale prevede che il fenomeno della diffusione sia molto più efficace per le basse lunghezze d’onda (in particolare l’intensità della luce diffusa decresce con la quarta potenza della lunghezza d’onda); in altre parole la componente azzurra della luce solare viene diffusa in misura molto maggiore rispetto alla componente rossa.

Questo è il motivo per cui il cielo appare azzurro tranne che in direzione del Sole dove la luce mantiene il suo colore prevalentemente giallo; questa è anche la ragione per cui di giorno le stelle non sono visibili. La Luna, al contrario, essendo priva di atmosfera consente di ammirare Sole e stelle sullo sfondo di un cielo perennemente buio.

 

Il rosso dell’alba e del tramonto. A differenza dell’azzurro del cielo, per osservare uno splendido tramonto o un’alba suggestiva la montagna non è molto indicata; è meglio trovarsi in riva al mare, magari dopo una pioggia che ha ripulito l’aria. Ciò che colpisce di più in queste occasioni è il rosso con cui si infiamma il cielo in direzione del Sole. Perché il cielo si tinge di rosso?

La risposta si trova sempre nella diffusione della luce solare. Quando il Sole si trova in prossimità dell’orizzonte (all’alba oppure al tramonto) la luce che giunge fino a noi ha attraversato l’atmosfera nella direzione del suo massimo spessore, ha subito un grande numero di processi di diffusione e di conseguenza si è impoverita della sua componente azzurra.

 

LE STAGIONI

Ci sono persone convinte che in estate le temperature siano molto più alte che in inverno perché la Terra si trova più vicino al Sole; questa conclusione potrebbe avere un suo fondamento se si pensa che l’orbita percorsa dalla Terra intorno al Sole non è circolare bensì ellittica e che il Sole non si trova al centro dell’ellisse ma leggermente spostato; vi sono quindi periodi in cui la Terra è più vicina al Sole e periodi in cui il nostro pianeta transita più lontano dalla nostra stella. In realtà la Terra si trova nel punto della sua orbita più vicino al Sole durante i primi giorni di gennaio e la differenza fra distanza massima e minima dal Sole non è sufficiente per giustificare sbalzi di temperature di trenta gradi e oltre.

Di conseguenza la spiegazione dell’alternarsi delle stagioni va ricercata in tutt’altra direzione, più precisamente nell’inclinazione dell’asse attorno al quale ruota la Terra.

Come accennato in precedenza la Terra ruota intorno al Sole una volta all’anno lungo un’orbita ellittica che giace su un piano; oltre al movimento di rivoluzione intorno al Sole tutti sanno che la Terra possiede un movimento di rotazione su se stessa che avviene una volta al giorno attorno ad un asse immaginario passante per i poli. L’asse in questione non è perpendicolare rispetto al piano su cui giace l’orbita (se così fosse non esisterebbero stagioni) ma è inclinato di circa 67 gradi. Vediamo le conseguenze di questa inclinazione sull’emisfero nord del nostro pianeta, l’emisfero che contiene anche l’Italia.

Abbiamo detto che durante i primi giorni di gennaio la Terra si trova nel punto dell’orbita più vicino al Sole. Verissimo, ma in quel periodo l’inclinazione dell’asse fa in modo che l’emisfero nord della Terra si trovi dalla parte opposta al Sole; di conseguenza il Sole si trova sempre molto basso sull’orizzonte, i suoi raggi arrivano molto obliqui e faticano non poco a riscaldare l’ambiente. Dopo sei mesi la situazione si capovolge: durante i primi giorni di luglio la Terra si trova nel punto dell’orbita più lontano dal Sole ma l’inclinazione dell’asse fa sì che l’emisfero nord si trovi inclinato in direzione del Sole cosicché la nostra stella appare molto alta sull’orizzonte e i suoi raggi colpiscono il terreno molto più direttamente favorendo il generale innalzamento delle temperature.

Per quanto riguarda l’emisfero sud le cose vanno esattamente in maniera opposta: troviamo l’estate durante i nostri mesi invernali e l’inverno durante i nostri mesi estivi poiché quando l’emisfero nord è inclinato in un verso quello sud è inclinato nel verso opposto.

Quasi tutta la vita sulla Terra è condizionata dall’alternarsi delle stagioni. Si pensi alle splendide fioriture di peri e peschi visibili nelle nostre campagne in primavera, alla raccolta della frutta in estate, al lento e malinconico cadere delle foglie in autunno e al lungo sonno invernale in attesa del successivo risveglio primaverile. Si pensi ancora a tutti quegli animali che, incapaci di resistere alle rigide temperature invernali, si rifugiano nel letargo oppure affrontano lunghissimi viaggi per svernare in paesi dai climi più miti. Si pensi infine all’aspetto presentato dalle nostre spiagge il 15 di agosto e lo si confronti con quello presentato il 15 di gennaio.

Tutto ciò è riconducibile all’inclinazione dell’asse terrestre sul piano dell’orbita, una caratteristica che a prima vista può sembrare insignificante ma che in realtà condiziona tutta la nostra esistenza.

 

Il Sole di mezzanotte. Il meccanismo dell’alternarsi delle stagioni può essere compreso più facilmente utilizzando un mappamondo (nel quale l’asse terrestre è ben visibile) e una lampada per simulare rispettivamente la Terra e il Sole.

Osservando con attenzione il mappamondo possiamo accorgerci che durante l’estate in un emisfero la zona che si trova attorno al polo corrispondente è talmente esposta al Sole da impedire il sopraggiungere della notte; in altre parole in quel periodo il Sole non scende mai sotto l’orizzonte, cioè non tramonta mai. Questo è il famoso fenomeno del Sole di mezzanotte visibile durante le rispettive estati nell’emisfero nord al di sopra del Circolo Polare Artico e nell’emisfero sud al di sopra del Circolo Polare Antartico. Il fenomeno prende il nome dal fatto che alla mezzanotte locale il Sole è ancora ben visibile al di sopra dell’orizzonte.

Procedendo nella nostra simulazione ci accorgeremmo, altresì, che durante l’inverno la zona attorno al polo è talmente inclinata in direzione opposta al Sole che il Sole stesso non appare mai; in altre parole in quel periodo il Sole rimane sempre al di sotto dell’orizzonte e la notte regna incontrastata. In queste occasioni è possibile osservare il meno famoso fenomeno della ‘Luna di mezzogiorno’, cioè la Luna piena visibile durante il mezzogiorno locale in piena notte.

 

Monografia n.95-2003/12


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