Nastri di luce danzante
l'aurora boreale e l'uomo
di Annalisa Ronchi


Xilografia di Frigjof Nansen basata su schizzo del 1883

 

Deboli accenni di bande colorate appaiono nel buio cielo notturno. Si rovesciano pigramente qua e là, acquistando velocità, e i colori diventano più brillanti e pronunciati. I nastri increspati solcano i cieli in una rapida esultante danza. Sono le Aurore boreali, le meraviglie mozzafiato del nord, le apparizioni ipnotiche e dinamiche di luce che compaiono nottetempo nei cieli artici, che per secoli hanno prodotto innumerevoli emozioni in tutti quelli che hanno avuto la fortuna di vederle: paura, meraviglia, pace, ansia, terrore, eccitazione. Nell'emisfero a sud dell'equatore sono chiamate Aurore australi.

Nel 1600 William Gilbert suppose (e oggi sappiamo giustamente) che la Terra fosse un gigantesco magnete, e infatti il campo magnetico terrestre è un campo bipolare e possiede un polo magnetico nord e uno sud, come una normale calamita o una sbarra di ferro magnetizzata. È un campo molto debole, misurando solo 0,3 gauss (gauss: unità di misura dell'induzione magnetica, pari al valore dell'induzione magnetica nel vuoto in un punto ove il campo magnetico vale 1 oersted), molto meno dell'intensità di una piccola calamita che misura qualche centinaio di gauss, e il suo asse polare è inclinato di circa 11° rispetto all'asse di rotazione. Tuttavia, malgrado sia così debole, esercita effetti non trascurabili.

Il campo magnetico terrestre trattiene un numero enorme di particelle energetiche, sia elettroni che protoni. L'energia di queste particelle e la loro concentrazione dipende dalla distanza dalla Terra e dalla latitudine geomagnetica. La disposizione delle particelle ha l'aspetto di enormi anelli o cinture che circondano il pianeta attorno all'equatore geomagnetico. Sono state individuate due cinture di radiazione, le Fasce di Van Allen (dal nome del loro scopritore): la fascia più interna si trova a circa 2.000 chilometri dalla superficie terrestre e contiene per la maggior parte elettroni, mentre quella esterna, a 16.000 chilometri dalla superficie contiene soprattutto protoni. La regione circumterrestre, considerata nel suo insieme, dove le particelle cariche si muovono sotto l'influenza del campo magnetico della Terra, è denominata Magnetosfera, la quale è separata dallo spazio interplanetario tramite la Magnetopausa.

La produzione di energia da parte del Sole è molto lontana dall'essere costante ma, anzi, fluttua con un ciclo di 11 anni. Durante il periodo di massima attività coincidente con una alta presenza di macchie solari, dalla superficie solare vengono scagliate grandi quantità di particelle nello spazio.

La temperatura superficiale del Sole è approssimativamente di 6.000 °K, molto minore dei 15 milioni di gradi ipotizzati dell'interno. A livello della corona solare poi la temperatura aumenta di nuovo, per raggiungere milioni di gradi. A queste temperature gli urti tra le particelle dei gas possono essere così violente che gli atomi si disintegrano in elettroni e nuclei, e quello che era idrogeno si ritrova ad essere un gas di protoni ed elettroni chiamato plasma. Questo plasma fuoriesce dalla corona solare attraverso un'apertura del campo magnetico solare, creando il famoso “Vento Solare”. Dopo 2-5 giorni di viaggio attraverso lo spazio, il plasma raggiunge il campo magnetico terrestre comprimendolo sul lato illuminato e allungandolo in una sorta di coda sul lato opposto. Poiché le linee di forza del campo magnetico terrestre all'altezza dei poli sono rivolte verso la Terra, le particelle trovano qui un facile varco, e questo spiega la maggior frequenza di aurore alle alte latitudini settentrionali e meridionali. La maggior parte, comunque, è costretta a scivolare intorno al campo magnetico, lungo la magnetopausa.

A proposito del ritardo tra partenza dal Sole del vento solare e arrivo al nostro pianeta, è opportuno riportare che recentemente un gruppo di scienziati delle Università inglesi di Warwick e Durham è riuscito a collegare la prima illustrazione storica delle macchie solari, registrata in Inghilterra nel 1128, con l'apparizione di una aurora boreale osservata 5 giorni dopo in Corea. Il professor Richard Stephenson è stato il primo a prendere in considerazione il più antico disegno di macchie solari noto, apparso nella “Cronaca di John di Worcester” circa 500 anni prima dell'invenzione del telescopio. Questa cronaca medioevale, che copre il periodo che va fino al 1140, contiene la registrazione di numerosi eventi astronomici. Fra questi vi si trovano aurore, comete e piogge di meteoriti, così come eclissi di Sole e di Luna. Una delle registrazioni più interessanti descrive due macchie solari osservate a Worcester l'8 dicembre 1124. Nel manoscritto che contiene la descrizione, il testo latino è accompagnato da un disegno a colori che mostra due grandi macchie sul Sole. Vale la pena sottolineare che si tratta solo del più antico disegno del fenomeno, perché le macchie solari furono osservate dai cinesi 1.000 anni prima, ma essi si limitarono a fornirne una semplice descrizione. Il professor David Willis ha poi notato come l'evento possa essere messo in relazione con l'aurora boreale osservata solo 5 giorni dopo a Songdo (la moderna Kaesong, in Corea) e registrata nel Korio-sa, la cronaca ufficiale coreana di quel tempo.

All'origine dei fenomeni magnetici terrestri (e quindi anche delle aurore) si trova il nucleo della Terra allo stato liquido. Esso è percorso da correnti elettriche dovute all'alta conduttività elettrica dei metalli che lo compongono, soprattutto ferro e nichel. Infatti le particelle cariche, circolanti liberamente nel nucleo liquido, producono un campo magnetico, così come accade in una dinamo.

Dopo aver riunito le registrazioni delle apparizioni giunte da varie spedizioni e da altre fonti, Elias Loomis sviluppò la mappa della frequenza delle manifestazioni delle aurore boreali, mappa che in seguito fu attualizzata utilizzando fonti più sofisticate e sicure come i satelliti.

Le popolazioni che vivono al di sopra della latitudine 65°, nord o sud, possono aspettarsi di osservarla anche per 243 notti all'anno. Solo eventi eccezionali sul Sole possono dar luogo ad aurore a medie latitudini, visibili solitamente come uno splendore rosso vicino all'orizzonte nord o sud.

Ci sono casi eccezionali di aurore polari viste addirittura nei pressi dell'equatore: celebre quella del 25 settembre 1909, osservata a Singapore.

La prima osservazione tramandata di aurore australi sembra essere quella che James Cook fece nel 1773 durante uno dei suoi viaggi di esplorazione.

Le aurore, si stendono in ovali eccentrici, simmetrici nei due emisferi, detti “ovali aurorali”, a partire dai poli magnetici, dove il fenomeno ha la sua origine, e si manifestano con uno scintillante bagliore colorato, infatti le particelle energetiche del vento solare eccitano gli atomi di ossigeno e di azoto atmosferici (i gas più rappresentati nell'atmosfera terrestre), i quali emettono energia sotto forma di onde radio, raggi X e onde di luce visibile.

Il meccanismo che forma le aurore è definito “salto quantico”. Per spiegare il meccanismo, immaginiamo un atomo di idrogeno - il più semplice - che consiste di un nucleo composto da un singolo protone attorno al quale ruota un elettrone solitario. Normalmente l'elettrone ruota in una orbita il più vicino possibile al nucleo e in questo stato l'atomo possiede un minimo di energia. Ci sono altre orbite possibili, più lontane dal nucleo, nelle quali l'elettrone può ruotare, ma qui occorre molta più energia. Quando un elettrone libero collide ad alta velocità con l'elettrone dell'idrogeno, gli cede energia. Il risultato è che il nostro elettrone comincerà a ruotare più lontano dal nucleo. Ma ora è instabile e dato che non può trattenere l'energia ricevuta, deve ritornare all'orbita originale e ciò porta alla liberazione dell'energia in eccesso sotto forma di fotoni di luce. Miliardi di questi salti quantici simultanei creano le aurore. Tutto questo per spiegare semplicemente il fenomeno, ma solo uno piccolissimo numero di aurore è il risultato di salti quantici degli atomi di idrogeno. Il colore verde, il più frequente, è il risultato dei “salti” dell'ossigeno mentre il rosso è di solito dovuto all'azoto.

Il principio che accende i cieli è quindi lo stesso utilizzato dalle luci al neon. L'elettricità carica un gas che emette energia sotto forma di luce colorata. Noi produciamo ancora una aurora quando accendiamo un televisore a colori. La sola differenza è che le aurore boreali sono molto più interessanti da guardare.

Un fisico norvegese, Carl Stonner, fu il primo a risolvere il problema dell'estensione delle aurore. Egli prese immagini di due punti molto separati e attraverso le triangolazioni calcolò l'ampiezza del fenomeno. La maggior parte delle aurore ha il bordo inferiore, o base, a un'altezza di 100-115 chilometri e il bordo superiore a circa 320 chilometri.

Esiste una classificazione internazionale delle forme delle aurore che le suddivide in due grandi gruppi a seconda che sia presente o meno una struttura a raggi. Si parla quindi di raggi, drappeggi (simili a veri e propri tendaggi che sembrano ondeggiare in una brezza di luce), corone oppure di archi omogenei tranquilli o pulsanti, di superfici pulsanti, di incandescenze deboli. La classificazione è basata soprattutto sulle descrizioni e sulle fotografie di Stšrmer il cui nome risulta legato all'opera “Risultati di misure fotogrammetriche delle aurore boreali osservate in Norvegia dal 1911 al 1922”.

Alcune mantengono la loro forma per qualche tempo, mentre altre la cambiano continuamente. Anche i colori cambiano dal rosso al giallo, dal verde al blu al violetto e tali variazioni sono un prodotto dell'altitudine della tempesta, della densità e della composizione chimica dell'atmosfera a quella altitudine.

Durante i periodi di forte attività, una singola tempesta può produrre mille miliardi di Watt (unità di misura della potenza elettrica) di elettricità con una corrente di un milione di Ampere (unità di intensità di corrente elettrica).

Le aurore sono state ovviamente il soggetto di teorizzazioni, miti e studi scientifici.

Il primo accurato resoconto delle “Luci del Nord” è un codice etico intitolato “Kongespeil” (molto conosciuto con il titolo di “King's Mirror”), un testo norvegese approssimativamente del 1250. In contrasto con le credenze dell'Europa centrale, nel libro in questione (sobrio e concreto) le aurore boreali vengono descritte come normali fenomeni naturali (a quel tempo ancora inspiegati) chiamati Nordurljos (Luci del Nord):

«... appare come la fiamma di un fuoco intenso visto da lontano. Strali appuntiti di disuguale e variabilissima grandezza dardeggiano verso l'alto nell'aria, così che ora l'uno ora l'altro è il più alto, e la luce ondeggia come una vampata splendente... e talvolta sembra sprigionare scintille come un ferro incandescente estratto dalla forgia. Come la notte termina e si avvicina l'alba, incomincia a impallidire e scompare quando prorompe il giorno... Noi non sappiamo nulla della natura delle Luci del Nord, ma l'uomo saggio propone idee e semplici congetture, e crede solo in ciò che è comune e probabile (e qui seguono una serie di teorie basate sul fatto che le luci del nord sono più comuni in alcuni luoghi che in altri)..».

L'autore, anonimo, usa l'espediente del padre (il “re” del titolo) che istruisce suo figlio sulla linea di condotta da tenere negli affari, per presentare un attendibile libro di testo sui commerci, e sulla vita in generale, nel nord nei primi anni del Medioevo.

Con il tempo le idee del resto dell'Europa influenzarono il pensiero norvegese, così anche in Norvegia furono adottate le bizzarre e dogmatiche opinioni riguardo le aurore.

In ogni tradizione popolare nordica sono contenute notizie riguardo le aurore. Dalle citazioni bibliche alle descrizioni dei rari avvistamenti nel Mediterraneo citate dai filosofi greci e romani («il cielo si è aperto ed ha vomitato fuoco e fumo») come Plinio il Vecchio e Seneca, dalle saghe medioevali nordiche come “The King's Mirror” - che abbiamo visto in precedenza - al folclore Inuit. Storie e miti circa le apparizioni delle aurore hanno avuto un importante ruolo nella spiegazione del mondo naturale intorno a noi.

Aristotele tentò anche di darne una spiegazione scientifica e nel suo “Meteorologica” sostenne che le aurore erano prodotte da vapori che si sollevavano dalla superficie della Terra.

Osservazione: si potrebbe obiettare come mai Aristotele e i filosofi dell'antichità potessero conoscere le aurore boreali, visto che vivevano in regioni, come Roma e la Grecia, dove le aurore sono molto rare. Sicuramente potrebbero averne sentito parlare ma è anche possibile che a quell'epoca le aurore fossero visibili più a sud di oggi, perché è possibile che allora il polo magnetico fosse in un punto più meridionale dell'attuale. I poli magnetici tendono a vagare con spostamenti notevoli: è certo, per esempio che da oltre in secolo e mezzo fa, cioè da quando fu scoperto da John Ross e dal nipote James, il polo magnetico artico si è spostato verso nord di circa 500 chilometri. Dalla Penisola di Boothia è oggi trasmigrato nell'isola Bathurst, a 1.750 chilometri dal Polo Nord, e più o meno lo stesso è avvenuto per il polo magnetico australe. Chi può dire, sostengono alcuni studiosi, che venti secoli fa i due poli magnetici non si trovassero a 3.000 o 3.500 chilometri dai poli geografici?

Le occasionali aurore viste nel centro-sud europeo hanno creato il panico. Negli ampi drappeggi colorati durante il Medioevo vi si scorgevano vaste armate di angeli che si scontravano in cielo con il risultato di decine di migliaia di contadini che attraversavano l'Europa per giungere in pellegrinaggio alle grandi cattedrali, nella speranza di salvare il mondo dall'imminente Armageddon. Sempre di battaglia in cielo parlavano gli Indiani Eyak e Tlingis dell'Alaska, e anche gli indiani Fox consideravano le aurore come un cattivo presagio di guerra. In altri casi, truppe si precipitarono nelle città vicine per aiutarle da ciò che appariva essere il grande incendio di un assedio.

I popoli del nord hanno escogitato molte leggende e spesso hanno utilizzato in qualche modo la Morte per spiegare le inspiegabili luci colorate.

Secondo i Vichinghi norvegesi i colori delle aurore non erano altro che il sole riflesso dagli scudi delle Walchirie. Esse erano le vergini mandate in battaglia da Odino perché scegliessero gli eroi che dovevano morire e li conducessero nel Walhalla. Quindi i bagliori in cielo segnalavano che le Walchirie erano “al lavoro”, indice di una battaglia in atto da qualche parte. Una volta nel Walhalla, le Walchirie portavano corni colmi di birra agli Einherjar (guerrieri uccisi).

Gli Inuit credono che le persone viventi abbiano due anime. Una è chiamata “il respiro della vita” o “il respiro della luce” e l'altra è l'anima vera e propria. Quando una persona muore, il “respiro della luce” scompare e l'anima giunge nell'aldilà. L'oltretomba non è un luogo di paura ma piuttosto solo una transizione verso qualcosa di nuovo. Agetermiut e Agneriartarfik sono due dei tre mondi della vita ultraterrena. Mentre uno è luminoso nel cielo e l'altro è molto profondo sotto la tundra, entrambi sono riservati ai buoni cacciatori e alle donne che hanno sopportato il dolore di un tatuaggio (?). Il terzo mondo, Noqumiut, è collocato subito sotto la crosta terrestre dove regna continuamente la fame e la pigrizia.

Per gli Inuit canadesi la Terra è piatta e il cielo è una immensa cupola fatta con un materiale duro punteggiato da molti piccoli fori, attraverso i quali puoi vedere luci (le stelle) quando qui è buio. Un sottile ponte unisce il nostro mondo con l'aldilà e i morti sono guidati nel cammino da spiriti dotati di fiaccole luminose.

Secondo gli Inuit della Groenlandia, le aurore (in lingua Inuktitut, “Qiugyat”) sono gli spiriti dei bambini deceduti di morte violenta o nel giorno del loro compleanno.

Ancora gli Inuit pensano che le aurore boreali sono provocate dagli spiriti dei morti mentre danzano o quando, con fianchi e teste cinte con fasce luminose, giocano alla palla con il cranio di un tricheco (un gioco descritto come un misto di rugby, calcio e lotta).

Per gli Indiani del nord degli Stati Uniti, nella direzione del vento del nord vivono i Manabai'wok, che sono nostri amici, ma che noi non possiamo vedere. Essi sono giganti cacciatori e pescatori e tutte le volte che sono fuori con le loro torce a cacciare con la fiocina il pesce noi lo sappiamo, perché poi il cielo brilla ad indicare il luogo in cui si trovano.

Gli Indiani Athabaska ritenevano che le aurore fossero i riflessi della danza del fuoco di folletti e, similmente, per gli Aborigeni australiani è una danza degli dei. Per i nativi dello Sri Lanka si tratta, ancora oggi, di un messaggio di Buddha.

Anche la scienza ha avuto le sue bizzarre opinioni riguardo la natura delle aurore. Alcuni scienziati teorizzavano che la forza dei ghiacciai in movimento producesse fiamme, oppure parlavano di periodiche eruzioni di colossali quantità di calore sotterraneo provenienti dalle profondità della Groenlandia mentre altri pensavano a estese cinture di ghiaccio che riflettevano la luce solare nel cielo serale o i bagliori di un fuoco ardente al centro della Terra.

Ma cosa accadeva quando apparivano le aurore?

Alcuni Inuit pensavano che le aurore fossero infauste, e per respingerle agitavano i coltelli taglienti o le scagliavano contro getti di urina.

Anticamente all'apparire delle luci cangianti, gli Inuit dell'Alaska nascondevano i loro figli dalla potenza nociva delle aurore perché credevano che se un bambino le indica durante la loro apparizione, esse venivano e lo portavano via per strappargli la testa e giocare con essa, mentre i Sami svedesi proteggevano le loro donne dai raggi luminosi. Oppure si diceva che guardarle avrebbe danneggiato gli occhi.

Da sempre si afferma che le aurore sono accompagnate da suoni misteriosi e affascinanti. Il mistero del suono delle aurore ha intrigato esploratori, scienziati e abitanti del nord. Tradizioni orali riportano di un “frusciare” o “sibilare” durante i rapidi movimenti delle aurore. ma, fino ad oggi non esistono registrazioni di tali suoni. Onde radio di frequenze molto basse prodotte da sorgenti a grandi altitudini hanno suggerito un possibile meccanismo del suono associato alle aurore. Esiste la possibilità che oltre l'apparizione visibile, una persona può percepire, ma non udire realmente, l'aurora.

Lo studio delle aurore è molto importante, poiché l'attività aurorale può interferire con le comunicazioni radio e con i satelliti. Inoltre, dato che le aurore consistono in correnti elettriche fortissime, durante una intensa tempesta magnetica, una aurora può produrre correnti elettriche in conduttori eccessivamente lunghi come oleodotti, linee dell'alta tensione e telefoniche con il risultato di malfunzionamenti e cali di tensione.

A dispetto dei guai tecnici che le aurore possono causare, molti le vedono come meraviglie della natura. E alcuni miti popolari persistono. Per esempio si crede che attraverso il fischiare o il battere le mani, una persona può guidare le movenze delle aurore ed intavolare addirittura con loro una conversazione. Altri credono che si possa controllare l'aurora sputando verso di lei, ma non è raccomandabile raccontare questo ad un gruppo di ragazzini.

Simili alle aurore per quanto riguarda la stranezza dell'aspetto, ma di tutt'altra origine, sono le illusioni ottiche (miraggi) descritte, insieme con le aurore, dagli esploratori polari che spesso, in passato, le confondevano fra loro. Si tratta di raggi luminosi che rimbalzano fra ghiaccio e nuvole basse, creando un'opalescenza accecante e fantastici abbagliamenti: sono causati dalla deviazione dei raggi solari, che cadono obliquamente quando passano attraverso strati di aria fredda. Si formano allora delle pallottole lanuginose di ghiaccio cristallino (“Snowdown”), che nell'aria che si scalda più velocemente della neve sottostante creano effetti spettacolosi: false lune, ruote luminose e raggi prodotti dai prismi di cristallo di ghiaccio. Allo sbalordito osservatore appaiono così immagini sdoppiate, la più bassa delle quali capovolta, aloni fantastici intorno al Sole, doppi Soli (“pareli”), doppie e triple Lune (“paraseleni”). Agli esploratori che raccontavano queste fiabesche meraviglie spesso non veniva dato credito, ma oggi la fotografia ha reso loro giustizia, donandoci vedute impensabili a testimonianza dell'aspetto segreto e sorprendente della natura.

 

Le stelle intorno alla bella Luna
nascondono il loro volto luminoso
quando lei, piena,
emana tutto il suo splendore
sopra la Terra.

 

Monografia n.87-2003/4


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