Sotto lo sguardo del drago il cielo dell’antico oriente
di Annalisa Ronchi


Classificazione di comete in base alla forma (IV secolo a.C.)

 

Con estrema modestia Newton affermava che le sue scoperte erano avvenute perché si era arrampicato sulle spalle di giganti, cioè degli scienziati che erano venuti prima di lui e che avevano creato le basi per le sue esperienze. Oggi noi possiamo dire lo stesso, siamo infatti debitori di quei popoli antichi che hanno costruito per noi la mappa del cielo, denominando e distinguendo quegli stessi astri da cui, ancora oggi, in un’epoca di sofisticatissime tecnologie, partiamo per fare le nostre osservazioni. Tra queste comunità un ruolo di primo piano spetta certamente ai popoli dell’estremo oriente, in special modo ai cinesi, che hanno annotato tutti i fenomeni osservati nel cielo notturno da più di quattromila anni a questa parte, mentre in occidente lo studio meticoloso del cielo ebbe inizio solo verso il XV secolo dopo Cristo.

L’astronomia cinese prese fin dall’inizio un corso in qualche modo diverso da quello della sua controparte euromesopotamica, poiché i cinesi dei tempi antichi non dedicavano molta attenzione al sorgere e al tramontare eliaco degli astri, cosa che al contrario interessava notevolmente babilonesi, egizi e greci. I cinesi si concentravano preferibilmente sulle costellazioni circumpolari, quelle cioè che non sorgono e non tramontano mai, ma compiono invece la loro apparente rivoluzione quotidiana attorno alla Stella Polare, restando visibili per tutta la notte.

L’attenzione di questi astronomi era anche risvegliata da eventi più sporadici e spettacolari, come le apparizioni di moltissime comete tra le quali anche quella di Halley, vista e seguita in occasione di numerosi passaggi. La più antica raffigurazione di comete che si conosca è stata trovata recentemente in una tomba del II secolo avanti Cristo a Ma Wang Tui. Su una striscia di seta arrotolata lunga un metro e mezzo sono stati trovati 29 disegni di comete. È poi stato dimostrato che il contenuto del rotolo risale addirittura al IV secolo avanti Cristo.

Amavano anche le eclissi.

Fra le registrazioni più antiche che si conoscano di un’eclisse c’è questa iscrizione su un osso trovato nei pressi di Anyang, nella Cina nordorientale: «Tre fiamme mangiarono il Sole e si vide una grande stella».

È una descrizione molto stringata, ma diligente, del lampo improvviso che si diffonde nell’ardente atmosfera esterna, o corona, dal disco solare nell’istante in cui esso viene oscurato completamente, e della comparsa improvvisa di un astro (forse Venere) altrimenti invisibile perché oscurato dalla luminosità del Sole.

Questa iscrizione, insieme ad altre ugualmente enigmatiche, furono incise su piastroni di tartaruga e su ossa di animali dai sacerdoti della dinastia Shang in un’epoca imprecisata fra il 500 e il 1000 avanti Cristo. Tali ossa, dette “oracolari”, servivano per la ricerca di consigli soprannaturali, e dopo che il divinatore aveva inciso sulla superficie le domande, venivano esposte al calore. Le incrinature che si formavano davano voce alle risposte, favorevoli o sfavorevoli, degli dei.

Migliaia di queste ossa incise sono state recuperate da siti Shang dopo il 1899 e forniscono quasi l’unico documento delle attività intellettuali, compresa l’astronomia, di questi antichi popoli. Una quantità inestimabile di reperti potrebbe essere stata letteralmente divorata dai cinesi moderni, in quanto un tempo c’era un attivo commercio di “ossa di drago” che i farmacisti riducevano in polvere per venderle come afrodisiaci e analgesici, un po’ come è accaduto nel secolo scorso con le mummie egizie in Europa.

Oltre a riferimenti a eclissi di Sole e di Luna, le ossa oracolari Shang contengono anche notizie riguardo stelle, novae, supernovae, più la spiegazione di come determinare i solstizi e la divisione dell’anno, e cioè misurando il variare della lunghezza di un’ombra solare proiettata da un semplice bastone.

Purtroppo nessuna di queste ossa può essere datata, se non in modo molto generale, per esempio l’eclisse prima descritta potrebbe essere stata nel 1370, nel 1330, nel 1304, nel 1230 o nel 1200 avanti Cristo: tutti anni in cui un’eclisse totale poté essere osservata in quella zona.

Per curiosità si può aggiungere che l’eclisse più antica registrata e la cui data si possa considerare come certa fu registrata su una tavoletta rinvenuta nella città di Ugarit che sorgeva nella Siria nordoccidentale e che recita così: «Il giorno del novilunio del mese di Hiyar (tra aprile e maggio) il Sole fu messo in vergogna. Il Sole tramontò il giorno con Rashap (il pianeta Marte) al suo seguito. Ciò significa che il signore sarà attaccato dai suoi vassalli».

Poiché la città andò distrutta nel 1200 avanti Cristo, l’iscrizione si riferisce certamente all’eclisse del 3 maggio 1375 avanti Cristo e che poteva essere osservata da lì.

Una piccola frazione delle ossa ci ha dato informazioni riguardo il calendario adottato dai popoli Shang, un calendario lunare con un ciclo ripetuto di 60 giorni e “settimane” di 10 giorni, divisione del tempo forse derivata dalla matematica babilonese, molto avanzata, che usava un sistema di numerazione sessagesimale. Come ogni calendario lunare, anche il calendario Shang aveva bisogno di regolari aggiustamenti per sincronizzarlo con i moti del Sole, infatti ogni tre anni si aggiungeva un “mese intercalare”.

 

Alla dinastia Shang successe, attorno al 1100 avanti Cristo, la dinastia Chou, che governò più o meno al tempo di Confucio, il quale compilò gli annali “Primavera e autunno” nel quale compaiono annotate più di trenta osservazioni di eclissi solari avvenute tra il 720 e il 481 avanti Cristo, la più antica serie completa di eclissi che sia mai stata registrata da una civiltà.

I popoli Chou realizzarono molte costruzioni che inglobavano le loro conoscenze di astronomia, pratica questa diffusa in gran parte del mondo antico (pensiamo a Stonehenge, all’Intihuatana di Machu Picchu, a Newgrange, alle piramidi di Giza). Nella valle del fiume Wei, nella provincia dello Shensi, esistono centinaia di “ling”, o tombe a piramide, risalenti al periodo compreso fra l’inizio del periodo Chou e la dinastia T’ang, del 900 dopo Cristo.

Quasi tutte queste opere sono orientate, con errori inferiori al grado, verso i punti cardinali. Le facce Sud-Est di altre due piramidi, risalenti al periodo Han (dal 202 a.C. al 220 d.C.) paiono allineate col punto di levata di Sirio.

Purtroppo non si sa molto della storia o della scienza cinese fino al 200 avanti Cristo circa, per colpa di una sorta di censura operata da Ch’in Shih-Huang, l’unificatore della Cina, che nel 213 avanti Cristo ordinò il “rogo dei libri” per cancellare ogni memoria dei precedenti signori della guerra. Nonostante la perdita di questa massa di documenti, è quasi certo che l’astronomia sia emersa molto presto in Cina, e forse fin dal 1000 avanti Cristo era già stata formalizzata in un rigido e complesso sistema astrologico.

Per contrasto, la storia dell’astronomia cinese dopo il 200 avanti Cristo è straordinariamente ben documentata, con fonti che continuano fino ai tempi moderni.

A partire dalla dinastia Han, gli astronomi cinesi osservarono e registrarono quasi tutti i fenomeni celesti visibili ad occhio nudo: eclissi lunari e solari, comete, novae, congiunzioni di pianeti, occultazioni di stelle e pianeti da parte della Luna, avvistamenti di Venere di giorno, le aurore boreali e persino macchie solari (la più antica annotazione in questo senso è del 28 a.C. «il giorno yi wei del 3° mese del primo anno del regno di Ho Pin, il Sole compare giallo, ma al centro vi sono delle macchie nere, grosse come monete»). Duemila anni fa si prendeva nota dell’ascensione retta (azimut) del Sole per tutte le eclissi di Sole ed erano già stati scritti libri teorici di astronomia.

Almeno una di queste registrazioni è famosa ancora oggi: gli astronomi di corte cinesi riportarono nelle loro cronache di una “stella ospite” nei pressi di z (zeta) Tauri il 4 luglio 1054. La stella brillò così luminosa da poter essere osservata anche in pieno giorno per ben 23 giorni. Al termine di tale periodo si legge: «dal 5° mese del primo anno del regno di Zhi He, è apparsa da oriente una stella nuova non lontana dalla stella Tianguan, questa nuova stella si è andata consumando sino ad oggi, tanto da scomparire». L’esplosione di quella stella nova ha dato vita a M1 (NGC 1952), la Nebulosa Granchio, la splendida nebulosa planetaria che troviamo nella costellazione del Toro.

Come credevano fosse fatto l’Universo? Le teorie sulla struttura dell'Universo compaiono principalmente nel periodo storico compreso tra il 1122 a.C. e il 313 d.C. , e le più seguite furono certamente tre.

La teoria del “Gai Tian”. Le popolazioni antiche dedite all’agricoltura associavano la forma del cielo a quella di una tenda mongola. La forma della Terra era quadrata, quella del cielo emisferica e il cielo combaciava perfettamente con i 4 lati della Terra. Questo concetto è espresso chiaramente nell’affermazione: «la Terra è il carro, e il cielo il suo coperchio». La Terra era costituita da 9 continenti, ognuno circondato da un “piccolo mare” e da un “grande mare”, il quale andava a congiungersi con il cielo sui 4 lati. La Stella Polare era il “punto limite di altezza”, intorno al quale girava il firmamento senza fermarsi, proprio come una ruota di carro attorno al mozzo. Tale teoria scomparve dalla scena perché minata alla base da una incredibile contraddizione: un quadrato (la Terra) e un cerchio (il cielo) non possono combaciare perfettamente!

La teoria del “Hun Tian”. Il punto essenziale di tale teoria sta nel considerare il cielo sferico e, dato che la Terra è immersa nel cielo, è anch’essa sferica. Queste riflessioni sono dovute a Shen Dao (IV secolo avanti Cristo). Zhang Heng spiegava nel suo Hun tian yi tu zhu, “commentario sulla sfera celeste”: «il cielo è come un uovo di gallina, ed è rotondo come una pallottola di balestra; la Terra è come il tuorlo e giace sola nel suo centro. Il cielo è grande, la Terra è piccola. Nella parte inferiore del cielo c’è l’acqua. Il cielo è sostenuto da Qi (vapore) mentre la Terra galleggia in questa acque. D’estate il vapore sale, e di conseguenza anche la Terra si innalza fluttuando, la sua distanza dal Sole diventa minore, per cui la temperatura si alza; d’inverno il vapore è piuttosto fluido, di conseguenza la Terra si abbassa e la temperatura scende».

La teoria del “Xuan Ye”. Questa teoria nega l’esistenza di un cielo con forma e sostanza. Il colore azzurro è dovuto al fatto che gli occhi non possono vedere oltre un certo limite mentre il cielo è sconfinato. Ne segue che il chiarore e l’oscurità non sono altro che fenomeni apparenti e che il cielo è privo di sostanza e colore. L’idea dell’Universo limitato è presente persino nel sistema copernicano e i cinesi furono tra i primi a concepirlo infinito, con questa teoria.

Il grande cerchio del cielo, o equatore celeste, veniva diviso in 28 sezioni d’arco chiamate Hsiu, “case”, che rappresentavano le divisioni politiche originarie della Cina terrena, e il cielo intero era ulteriormente suddiviso in circa 250 asterismi, o piccole costellazioni, composti da circa 6 stelle ognuno. Più precisamente, alla fine del III secolo dopo Cristo, gli astronomi cinesi avevano creato un sistema con 238 costellazioni formate da un totale di 1.464 stelle, come è possibile constatare osservando il manoscritto Tunhuang, la mappa stellare piatta creata attorno al 940 dopo Cristo. Tale mappa rimase in uso fino al XVII secolo, quando i gesuiti introdussero in Cina le costellazioni occidentali.

Le figure viste dagli astronomi cinesi sono molto diverse da quelle che conosciamo noi, tranne pochissimi casi come, per esempio, ciò che noi definiamo Orione era visto anche qui come una figura umana, ma normalmente i gruppi di stelle considerati erano completamente dissimili da ciò che si considerava in Occidente, come la brillante stella Spica della Vergine e alcune stelle dell’Hydra che, unite, formavano un interessante asterisma. Guardiamo Spica e g (gamma) Hydrae immaginandole come i 2 sostegni di uno steccato, tra di loro si possono vedere 4 stelle poco brillanti disposte diagonalmente in fila (57, 61, 63, 69 Virginis): esse rappresentano un cancello aperto. I cinesi chiamarono questa parte del cielo Tien Mun, “il cancello del cielo”.

In generale essi erano più mondani degli astronomi occidentali nel loro simbolismo celeste, evitando eroi mitologici e dei, ma preferendo aspetti di vita comune. Così le loro stelle e i gruppi di stelle avevano nomi come Imperatore (Ti-wang), Principe della Corona, Eunuchi di Corte (Huan-che), Ministro ai Lavori, Tempio Celeste, Servitori (Shang-su), Cucina Esterna, Casa degli Ospiti, Moneta Celeste, Stella Piangente, Suocero. A volte il nome di un asterisma cambiava a seconda di chi ne stava parlando, ad esempio le sette stelle del Grande Carro nell’antica corte cinese erano il Governo (la Stella Polare era l’Imperatore), ma in campagna i contadini le chiamavano Pih Tow, lo Staio, e i poeti con i mistici chiamavano le famose stelle, Ten Li, la Ragione Celeste. La più famosa costellazione era però quella del Dragone, divenuta in Cina talmente importante (anche per la sua vicinanza al Polo nord celeste e per il fatto che un tempo conteneva la Stella Polare) da diventare simbolo nazionale.

Questa assenza di somiglianza con le costellazioni occidentali testimonia lo sviluppo indipendente di queste civiltà.

Il ruolo dell’astronomia divenne così importante che durante la dinastia Han fu creata una speciale suddivisione del Ministero dei Sacrifici di Stato (sacrificio nel senso di offerta), probabilmente per assicurare che tutti i segni celesti indicassero il tempo propizio per le offerte.

In seguito l’Ufficio Astronomico divenne un ente governativo in piena regola, con il solo incarico di osservare il cielo e di interpretare correttamente i segni celesti (in pratica un Ministero dell’Astrologia), oltre che di mantenere aggiornati il calcolo del tempo e del calendario. L’antica astronomia cinese è famosa in tutto il mondo per l’accuratissima registrazione e la costanza nel tempo delle osservazioni celesti, osservazioni talmente precise da costituire probabilmente la migliore cronaca astronomica dal 2000 avanti Cristo fino ai nostri giorni.

Fra le discipline scientifiche, l’astronomia ha sempre avuto un ruolo di primo piano. Ciò era dovuto al fatto che i cinesi consideravano l’imperatore qualcosa di divino, che era tale per volere del cielo e di conseguenza tutti i fenomeni che si verificavano sulla volta celeste avevano un evidente riscontro sulla terra, sulle attività umane e soprattutto sul comportamento e le decisioni dell’imperatore. Proprio come in Mesopotamia, dove lo sforzo maggiore degli astronomi era concentrato verso lo studio dei pianeti, che i Babilonesi chiamavano “interpreti”, e in particolare dei movimenti di Giove, perché si riteneva che fosse collegato al futuro del re. Il nome “interpreti” deriva dal fatto che i sacerdoti mesopotamici pensavano che i pianeti svelassero agli uomini il volere degli dei.

Per lo stesso motivo, gli astronomi della corte reale cinese erano responsabili direttamente con la loro stessa vita dell’esattezza delle previsioni delle eclissi o di altri eventuali importanti fenomeni celesti tanto legati alla vita dell’imperatore e della nazione.

Il calendario, in una società tipicamente agricola, era considerato il supremo regolatore di tutte le attività e si credeva che vi fosse una profonda connessione fra cielo e azioni umane: gli astri influenzavano i comportamenti umani e viceversa. Tutto questo ha caratterizzato la vita e le concezioni filosofiche orientali. L’astronomia doveva studiare l’armonia dei fenomeni naturali con i fenomeni umani, poiché quando avvenivano calamità naturali era ovvio che era venuta meno l’armonia e che andava ristabilita al più presto. Tale concezione era talmente radicata nell’animo dei cinesi che quando nell’ottavo secolo avanti Cristo il calendario non era più in sintonia con le stagioni, nessuno pensò di correggerlo ma si provvide a cambiare il Sovrano, poiché non avendo combattuto la corruzione dilagante, non aveva mantenuto l’armonia quindi aveva perduto il “mandato del cielo”.

Per dare maggiore impulso alla connessione esistente tra la figura dell’imperatore e gli avvenimenti celesti, ogni nuovo regnante, non appena saliva al trono, era solito cambiare immediatamente la sede dell’osservatorio astronomico imperiale portandolo adiacente al palazzo della propria città (a seconda della dinastia regnante) ed in seguito cambiava anche le regole che costituivano le basi per la compilazione del calendario, riportandolo in sintonia con il moto del cielo, lasciando così impresse le impronte del proprio passaggio. Con l’avvento del taoismo (“la Via”) fondato da Lao Tzu, la spiegazione della nascita dell’universo è molto filosofica.

Il “tao”, motore universale, è concepito come un principio d’ordine impersonale, unitario, da cui deriva una dualità: lo “yin” e lo “yang”, il sistema di alternanza e di combinazione degli opposti. I due producono i tre “qi”, soffi di energia da cui vengono tutti i cambiamenti e nascono i diecimila esseri (il tao genera l’uno, l’uno genera il due, il due il tre, il tre i diecimila esseri, cioè tutte le creature viventi).

Esiste tuttavia un immaginario più mistico, che non esclude magia e sciamanesimo, poggiando sulla credenza in un mondo reale invisibile, cui lo sciamano può accedere per attingere l’energia riparatrice degli squilibri e dei disordini del mondo. Presenze misteriose animano l’universo: spiriti del cielo e della terra, dei monti e dei fiumi, demoni, antenati che hanno raggiunto dopo la morte la sede degli dei, fantasmi inquieti che appaiono nei sogni in circostanze particolari o si manifestano con grida e lamenti.

Quello che è ritenuto il più antico racconto cosmogonico della Cina, risalente al II secolo avanti Cristo, narra del tempo in cui cielo e terra non avevano ancora forma e l’unica cosa che c’era era una profonda tenebra deserta. Il tao ebbe inizio nell’immenso vuoto, che generò lo spazio e il tempo da cui ebbero origine i soffi. Insensibilmente i soffi assunsero un contorno. L’essenza più leggera e pura, diffondendosi, tessé la trama del cielo, mentre le particelle pesanti e grossolane tracciarono i contorni della terra. La condensazione di ciò che era aereo fu facile, ma più complessa fu l’agglomerazione della parte più greve: per questo il cielo si formò prima della terra. Le energie sprigionate dal cielo e dalla terra costituirono lo yin e lo yang, dalle cui forze concentrate derivarono le quattro stagioni. Le energie emanate dalle quattro stagioni originarono tutte le creature viventi. I soffi caldi dello yang generarono il fuoco, che addensandosi si fece Sole. Dai soffi freddi dello yin defluirono le acque e dalla loro essenza emerse la Luna. I soffi sfuggiti al Sole e alla Luna divennero astri e costellazioni.

Molto simile è anche un’altra versione propria delle minoranze che vivevano nelle province sud-occidentali. All’inizio dei tempi c’era soltanto l’oscurità. Il mondo era un enorme uovo che conteneva il caos. Dentro all’uovo dormiva il gigante Pan-ku. Un giorno Pan-ku si svegliò di soprassalto e ruppe il guscio con una scure. Il contenuto più leggero dell’uovo salì in alto a formare il cielo, il più pesante scese in basso e divenne terra. Ma Pan-ku temeva che i due elementi potessero convergere nuovamente e allora si mise a spingere il cielo in su con la testa e a schiacciare la terra in giù con i piedi. Per migliaia di anni il gigante continuò a mantenere il cielo e la terra separati. Soltanto quando fu pienamente soddisfatto del proprio lavoro si lasciò cadere e morì. Ma già mentre stava morendo il suo corpo subì una sorprendente trasformazione. Il respiro si tramutò in vento e nuvole, la voce in tuono, l’occhio sinistro divenne il Sole e il destro la Luna; le membra si trasformarono in montagne, le vene in strade e sentieri, la carne in terreno fertile, i peli in vegetazione; i capelli andarono a formare le stelle del cielo, le ossa e i denti i minerali nascosti nella terra; il sudore si tramutò in rugiada e pioggia. Nessuna parte del corpo di Pan-ku rimase inutilizzata, persino le pulci che lo coprivano divennero gli antenati dei primi uomini.

In questa storia è da notare la posizione umile assegnata all’umanità nell’ordine della creazione: un punto di vista tradizionale per la Cina, che si riflette nei dipinti paesaggistici in cui minuscole figure umane appaiono immerse in enormi scenari ove campeggiano montagne, fiumi, cascate, laghi e alberi.

L’umanizzazione delle figure del mito, orientata in Grecia secondo criteri estetico-corporei (gli dei non erano onniscienti, onnipotenti e onnipresenti e provavano tutte le emozioni dei comuni mortali) e in India secondo un indirizzo etico-spirituale, si manifesta in Cina attraverso la quotidianizzazione. L’imperatore celeste regna su tutto. Sotto di lui è la sfera in cui si muovono Tung-mu, “la Madre d’Oriente” cioè il Sole, e Hsi-mu, “la Madre d’Occidente”, la Luna; più sotto, la sfera delle nuvole e dei venti. Poi montagne e acque, spiriti terrestri e ctonii.

Qualche storia interessante è giunta fino a noi: la mitologia cinese ci racconta di cosa avvenne durante il regno dell’imperatore Yao, molto tempo fa. Come i giorni, raggruppati in decadi nel calendario cinese, i Soli erano dieci, figli di un’unica madre, XiHe e di Di-Jun, dio del cielo orientale, e fratelli delle dodici Lune. Uscendo dalla Valle Luminosa, i Soli si bagnavano nello Stagno Universale e, per asciugarsi, salivano sul grande Gelso Portante, che cresceva in fondo alla vallata. Quello che stava sul ramo più alto ed i nove posati su quelli sottostanti alternavano di continuo le loro posizioni. ma un giorno apparvero in cielo all’improvviso tutti e 10 contemporaneamente. A causa dell’immenso calore da essi generato la terra inaridì, le piante morirono e persino le rocce furono sul punto di fondere. La situazione si fece così grave che l’imperatore Yao pregò Di-Jun di rimettere in riga i figli, ma questi non sentirono ragioni. Allora Di-Jun inviò dal cielo l’arciere Yi, armato di un arco rosso e di 10 frecce bianche. Freccia dopo freccia, Yi cominciò ad abbattere i dieci Soli, ognuno dei quali esplose in una vampata di luce prima di cadere al suolo sotto forma di un corvo a tre zampe con il cuore trafitto da un dardo. L’imperatore Yao si rese conto che l’umanità aveva in realtà bisogno almeno di un Sole e sottrasse dalla faretra di Yi una freccia. In questo modo, uno dei figli di XiHe rimase illeso nel cielo e si evitò che la Terra sprofondasse per sempre nell’oscurità.

Legata a questa storia eccone un’altra, in cui si offre una spiegazione delle “macchie” della Luna. I corvi dei Soli fornivano il nutrimento a Hsi-wang-mu, la Regina Madre d’Occidente ornata di giade, che aveva aspetto umano, ma con coda di leopardo e zanne di tigre, il cui compito era di reggere i fili del destino e di regnare sulla Terra dei Morti. L’arciere Yi chiese a Hsi-wang-mu la magica pillola dell’immortalità. La ottenne, costruendo per lei un palazzo di giada, con scale di agata e legni aromatici, come il legno di pesco il cui aroma scaccia i demoni. Ma poiché gli era stato detto di aspettare un anno prima di ingerire la medicina fatata, la nascose in casa, in una fessura della trave più alta. Sua moglie Heng-e si accorse che dal soffitto pioveva una luce diffusa, accompagnata da un dolce profumo: salì su una scala e trovò la pillola. La ingurgitò senza pensarci su e subito le sembrò di essere senza peso. In quel momento tornò Yi che la trovò sospesa nell’aria che stava scivolando via attraverso una finestra verso il cielo, su, su, fino alla Luna. Per vincere il sapore amaro che sentiva in bocca, Heng-e bevve qualche goccia di rugiada e succhiò un seme di cinnamomo, le sole cose che si trovano lassù. Allora vomitò la pellicola in cui era avvolta la pillola dell’immortalità, che prese la forma della zampa di coniglio rimasta impressa sul disco lunare. Secondo altre versioni, le macchie raffigurano un rospo in cui Heng-e si mutò, pentita per aver lasciato la Terra e disperata per la solitudine in cui si trovava. Ma nella Luna i cinesi vedono anche un albero o una figura femminile.

Oggi sappiamo che è la Terra a girare intorno al Sole ma fino a qualche secolo fa si teneva conto solo dell’esperienza sensoriale e quindi del fatto che il Sole si muove nel cielo, e in Cina, come in molte parti del mondo, si riteneva che viaggiasse a bordo di un carro. Ma l’alternarsi del giorno e della notte è stato spiegato anche così: «al di là del mare di nord-ovest, dove sorge il monte Ts’ang-wei, vive uno spirito rosso, Tsulong, che ha volto umano e corpo di serpente. Non mangia, non dorme, non respira. Può scatenare pioggia e vento e, soffiando forte, produrre tuoni e lampi. Quando chiude gli occhi l’oscurità scende sulla Terra e quando li apre appare il giorno, ed illumina le Nove Tenebre, cioè gli angoli bui della Terra, al centro e nelle otto direzioni».

L’orbita lunare e l’orbita terrestre giacciono su due piani leggermente inclinati che si intersecano in due punti (i nodi) congiunti dalla cosiddetta “linea dei nodi”. Solo lungo questa linea si può avere il perfetto allineamento tra Sole, Terra e Luna e la casualità che i dischi del Sole e della Luna appaiano della stessa grandezza apparente (è un gioco di prospettiva) dà le eclissi, di Luna o di Sole. Nella eclissi di Sole, distinguiamo le eclissi totali (se la Luna è in perielio, cioè alla minima distanza dal Sole) ed eclissi anulari (se la Luna è in afelio, quindi alla massima distanza dal Sole).

In molti paesi del mondo, l’eclisse è spiegata con un animale o un essere mitico che tenta di divorare l’astro e in genere si reagisce provocando rumori per spaventarlo e quindi allontanarlo. Gli antichi cinesi credevano che un Drago cercasse di divorare il Sole, mentre era Il Cane Celeste o un cinghiale a divorare la Luna. Per scacciare questi pericoli i cinesi facevano molto rumore suonando tamburi, percuotendo pentole e scoccando frecce . Questa tradizione è sopravvissuta in un certo senso fino al secolo scorso, quando la Marina Imperiale Cinese usava sparare con le proprie armi da cerimonia durante le eclissi, per scacciare simbolicamente il Drago invisibile.

In Giappone invece, si usava ricoprire i pozzi per evitare che vi cadesse del veleno proveniente dal cielo oscuro.

Uno dei fenomeni più evidenti che riguarda la Luna sono le fasi lunari, le quali sono dovute alle varie posizioni che il nostro satellite assume, nel corso della sua rivoluzione, rispetto alla Terra e rispetto al Sole.

Per i cinesi, le fasi lunari erano dovute ad un enorme cinghiale, nascosto tra le nuvole, che si divertiva a mordicchiare il nostro satellite naturale, mangiandoselo addirittura interamente in caso di eclissi. Evidentemente la Luna è dotata di un eccezionale potere di rigenerazione del proprio corpo!

I miti erano utilizzati anche per descrivere l’aspetto del cielo e le posizioni degli astri, come la storia del “guardiano della Via Lattea” Niu Lang.

Il pastore Niu Lang viveva solo ed era molto povero: possedeva solo un vecchio bue e poca terra. Il bue era però un genio buono e un giorno che vide il suo padrone particolarmente mesto, gli disse: «Non affliggerti della tua solitudine, ti aiuterò a trovare moglie».
Il mattino dopo, seguendo le indicazioni del bue, il pastore si recò ad un’ansa del fiume, dove l’acqua scorre tranquilla. Qui, nascosto tra le canne il giovane vide sette fanciulle bellissime che stavano facendo il bagno, ignare dello spettatore che le stava osservando.
Erano le fanciulle celesti che erano scese sulla terra per rinfrescarsi. Niu Lang si avvicinò lentamente alle vesti abbandonate sulla riva e ne rubò una che poi corse a casa a nascondere. Tornato al fiume, vide che tutte le fanciulle celesti erano risalite in cielo tranne una. Appena scoro il pastore, la ragazza si mise a protestare : «Io sono Zhi Nu, la Tessitrice, figlia dell’Augusto di Giada, l’Imperatore del Cielo Yu Huang! ridammi la mia veste che senza di essa non posso tornare a casa».
«Neanche per sogno, tu sarai la mia sposa!» rispose Niu Lang.
Così i due si unirono in matrimonio e da quella unione nacquero un bimbo e una bimba. Un giorno la Tessitrice chiese nuovamente al marito la sua veste e Niu Lang pensò che non c’erano più pericoli di fuga e gliela restituì. Non appena indossata la veste, Zhi Nu si alzò in volo e sparì. Ma il bue disse: «Non temere, appendi due cesti ad un bastone e sistemaci i bambini. Poi caricali sulle spalle e attaccati alla mia coda». In un baleno il bue schizzò verso il cielo, portandosi dietro il pastore ed i figli. Appena giunto in cielo, Niu Lang si recò al meraviglioso palazzo dell’Augusto di Giada.
Entrò in un grande salone: il pavimento era tutto di soffici nuvole mentre il soffitto mostrava un’ampia vola di arcobaleni sostenuti da pilastri di giada. Seduto su un trono d’oro e d’argento c’era l’Augusto. Il giovane gli raccontò la sua disavventura e lo pregò di restituirgli la moglie.
«Grande padre - spiegò la Tessitrice - io amo mio marito e i miei figlioli ma sono una creatura celeste e non posso più vivere sulla terra».
L’Augusto disse: «poiché quest’uomo ha sposato mia figlia, gli concedo l’immortalità. Vivrà per sempre nel cielo accanto a sua moglie. Però gli inganni di entrambi vanno puniti, così metto tra loro un fiume celeste, la Via Lattea, Tianhe, che li separi per sempre».
Il pastore e la tessitrice piansero amaramente e andarono mestamente a collocarsi nel luogo che era stato loro assegnato. Ancora oggi chi alza gli occhi al cielo li può vedere: da una parte la costellazione della Tessitrice, che gli uomini in occidente chiamano Aquila con Zhi Nu che è la stella Altair, e dall’altra parte la costellazione del Pastore, la Lira, con Niu Lang trasformato in Vega. Gli dei ebbero pietà dei due innamorati e convinsero l’Augusto a mitigarne la pena. Una volta all’anno, il 7° giorno del 7° mese, i due sposi possono incontrarsi. In quel giorno tutte le gazze salgono in cielo con un rametto nel becco e intrecciano un grande ponte sul fiume di stelle.

Un’altra storia parla della Tessitrice.

Dong Yong non avendo di che pagare il funerale del padre, si vendette come servo per provvedere alla sepoltura. Incontrò una giovane che gli propose di accettarla come moglie. Il padrone chiese a Dong Yong cosa sapesse fare la donna.
«Sa tessere».
«Allora per riscattarti falle tessere cento pezze di fine seta».
Dopo dieci giorni al telaio la donna terminò il lavoro e disse al marito «Io sono la Tessitrice del Cielo, e mio padre, l’Imperatore Celeste, commosso dalla tua pietà filiale, mi ha mandato per aiutarti a pagare il tuo debito». Poi salì nell’azzurro.

 

In Corea l’astronomia fu fortemente influenzata dai cinesi.

Attorno al 50 avanti Cristo le varie tribù indipendenti e continuamente in lotta fra di loro della penisola di Corea furono amalgamate in tre regni - Silla, Paekche, Koguryo - sotto la “benedizione” della Cina. E nello stesso periodo fu introdotta anche la scrittura cinese, il cui uso nel 400 dopo Cristo era diventato abbastanza comune anche se non era agevole far coincidere gli ideogrammi cinesi con i suoni della lingua coreana che solo dal 1446 è scritta con uno speciale alfabeto nazionale. Il coreano è infatti una lingua isolata e non è ancora stato possibile trovare affinità con altre lingue.

Nel secolo VII il regno di Silla, alleato dei cinesi e poi loro nemico, riuscì a unificare la Corea, abbattendo tutti gli altri staterelli e portando la capitale a Kyongju, che si trova 340 chilometri a sudovest di Seul. E proprio in questa città è stata edificata una fra le strutture in pietra più antiche della Corea e uno fra gli osservatori più antichi che si conoscono, la Cheom-seong-dae.

Questa strana torre in pietra, a forma di bottiglia, è stata costruita nel 657 dopo Cristo durante il regno della regina Singdok. Tale “piattaforma per osservare le stelle”, è alta 9,30 metri e presenta una forma rastremata, passando da un diametro di base di 5,2 metri ai 3,2 metri del collo.
La torre è composta da 366 blocchi di granito curvi, ciascuno dei quali è lungo 76 centimetri e alto 30 e disposti in 28 strati. Il numero delle pietre coincide quindi con il numero dei giorni di un anno bisestile, mentre il 28 corrisponde al numero delle case nello zodiaco tradizionale cinese.
Nel muro della torre, verso sud, esiste un’apertura che consentiva agli astronomi di penetrare all’interno della costruzione, per poi arrampicarsi fino alla piattaforma superiore per compiere le loro osservazioni.

 

Anche in Giappone l’astronomia fu fortemente influenzata dai cinesi, e anche qui il sistema di scrittura cinese divenne di uso generale intorno al 400 dopo Cristo. Siccome il Giappone ha conosciuto solo una famiglia imperiale, dagli inizi della storia scritta a tutt’oggi, non è stato possibile compilare una “cronologia dinastica” di stile cinese. I riferimenti all’astronomia sono perciò disseminati in storie private, diari personali e archivi accademici. Il sistema astronomico si può cominciare a considerare ben sviluppato intorno alla metà del VII secolo, ma come per gli astronomi coreani, anche i giapponesi furono fortemente influenzati dalla metodologia e dalla filosofia cinese, in altri termini, i loro obiettivi furono primariamente astrologici.

Il primo osservatorio giapponese sorse grazie ad un sacerdote di nome Mim.

Mim nel 608 dopo Cristo fu inviato in Cina a studiare astronomia e buddismo, imparò quindi ad osservare e ad interpretare gli eventi celesti insoliti. Col sostegno dell’imperatore Temmu, il 5 febbraio 675 Mim inaugurò il primo osservatorio ad Asuka e nello stesso periodo fondò il Dipartimento Imperiale di Astronomia. La città di Asuka è oggi una città morta e lo stesso osservatorio è stato abbandonato più di mille anni fa e ne restano solo due megaliti decorati da incisioni e solchi orientati verso i punti dei solstizi e degli equinozi del Sole.

Il mito della creazione qui raccontato sembra ricalcare alcuni miti occidentali, pensiamo ad Orfeo ed Euridice, per citare il più noto.

Nella mitologia scintoista giapponese, Izanagi e Izanam, rappresentano gli antenati originali, la prima coppia. Il loro mito è narrato nel Kojiki (storia degli eventi dell’antichità), scritto nel 712 dopo Cristo. Essi erano in alto, nella discesa del cielo, e furono scelti dagli dei per creare la terra. Venne data loro una lancia coperta di gemme e, in piedi sul Ponte Fluttuante del cielo, spinsero in giù la lancia ed estrassero dell’acqua salmastra. Accumulando questa acqua formarono l’isola di Onogoro. Qui essi si unirono e diedero vita alle otto isole che costituiscono il Giappone. Quindi la coppia continuò a dare alla luce isole e dei finché Izanami non morì dando alla luce il dio del fuoco. Allora Izanagi, inconsolabile, scese nella “Terra delle Tenebre” (Yomotsukuni) nella speranza di riportarla indietro. Accese un dente del pettine portava con sé per illuminare la via, ma trovò solamente il corpo in disfacimento della sposa. Fuggì inorridito e sentendosi macchiato da quel ravvicinato incontro con la morte, andò a lavarsi al mare. Da ogni abito che si toglieva e da ogni parte lavata del suo corpo nacque un nuovo dio. Quando Izanagi si lavò il viso, dall’occhio sinistro emerse la dea del Sole, Amaterasu, e dall’occhio destro il dio della Luna, Tsuki-yomi.

Data la profonda influenza che la Cina esercitò sul Giappone, è difficilissimo separare i concetti puramente giapponesi da quelli importati dalla Cina. Alcuni studiosi hanno persino ipotizzato che l’accostamento di due divinità, una maschile e una femminile, come Izanagi e Izanam, sia il risultato del tentativo di riprodurre in un contesto giapponese la nozione cinese di Yin e Yang.

Seguendo la tradizione scintoista, la famiglia imperiale giapponese ha continuato a proclamarsi, sino alla morte di Hirohito, discendente della dea del Sole Amaterasu.

L’idea che aree della Terra corrispondono a zone del cielo era ovviamente comune anche in Giappone. Gli eventi quali guerra, catastrofi, cambiamenti territoriali, che avvenivano nei domini terrestri, erano associati con eventi complementari nel cielo e viceversa. Qualche volta terribili eventi terrestri potevano essere realmente ma, ovviamente, casualmente associati con qualche evento inusuale come comete o eclissi. O meteoriti, come nel caso che segue.

Il settore celeste corrispondente al dominio terrestre della remota città giapponese di Tosa (oggi Kochi, sull’isola di Shikoku, nel sud del Giappone) è la costellazione che include le stelle chiamate Neko-no-Me, “Occhi di Gatto”, (oggi Castore e Polluce dei Gemelli).

L’8 novembre 1698 è stato registrato: «Verso le 12 e 30 il fuoco divampò nel castello. Bruciarono 12 palazzi governativi, 170 case di Samurai e circa 2.000 case di civili. Molti rimasero feriti o morirono. Il fuoco fu spento verso le 22».

Quella stessa notte grandi meteoriti, Dai-Ryuusei, volarono attraverso Ishuku, “il Pozzo”, asterisma incluso nei nostri Gemelli: «Ryuusei volavano come se dovessero tessere rapidamente una veste, e molte persone lo hanno visto».

Le meteoriti osservate erano le Leonidi che, naturalmente, non avevano niente a che vedere con l’incendio della giornata appena trascorsa!

Curiosità: esiste per i cinesi una correlazione tra parti del corpo, punti cardinali e il cosmo. La testa è il cielo, i capelli sono le stelle (i capelli cadono e anche le stelle lo fanno), occhi e orecchie sono rappresentanti del Sole e della Luna. Il potere vivificatore della pioggia è rivisto nel sangue e i vari vasi sono i fiumi. I 4 mari corporei (lo stomaco, mare d’acqua; l’aorta, mare del sangue; il mediastino, mare dei polmoni; il cervello, mare del midollo osseo) rappresentano i 4 mari cosmici. Lo scheletro è il corrispettivo delle montagne, le 12 grandi articolazioni sono i 12 mesi e le 360 piccole articolazioni sono i 360 giorni dell’anno, i muscoli rappresentano la terra. Le 4 membra sono le 4 stagioni, le 8 regioni del corpo sono gli 8 trigrammi dei Ching mentre le 9 aperture del corpo sono le 9 parti del cielo e i 5 visceri sono i 5 elementi. Interessante è la similitudine del cuore con la Costellazione dell’Orsa Maggiore, dove le sette stelle del Grande Carro sono i sette orifizi del cuore.

 

Ogni alba porta un nuovo giorno,
lavando con la luce della speranza
le macchie e la polvere
dello spirito vuoto
di ogni giorno passato.
R. TAGORE

 

Monografia n.93-2003/10


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