FANTASMI DELL'UNIVERSO: I NEUTRINI
di Marco Marchetti

Enrico Fermi, Werner Heisemberg e Wolfgang Pauli
da sinistra Enrico Fermi, Werner Heisemberg e Wolfgang Pauli
in gita sul lago di Como in occasione del congresso Solvay nel 1927

Introduzione

Una delle notizie scientifiche del 2011 che più ha colpito l’immaginario collettivo è stata quella riguardante i cosiddetti neutrini superluminali. È del 23 Settembre 2011 l’annuncio che pacchetti di neutrini prodotti nei laboratori del CERN di Ginevra e inviati verso i laboratori dell’INFN (Istituto nazionale di Fisica Nucleare) del Gran Sasso sono giunti a destinazione, dopo un viaggio di 732 chilometri attraverso la crosta terrestre, con leggero anticipo sui tempi previsti lasciando intravedere la possibilità che i neutrini abbiano viaggiato ad una velocità superiore a quella della luce nel vuoto.Francobollo commemorativo di Albert Einstein (1879 - 1955)

Ciò è in palese contrasto con la teoria della relatività di Albert Einstein (1879 - 1955) secondo la quale la velocità della luce nel vuoto, indicata con la lettera c e pari a 299.792,458 chilometri al secondo, costituisce un limite irraggiungibile e invalicabile da parte di particelle dotate di massa.
La teoria della relatività è una delle teorie più potenti della fisica e, nonostante numerosi tentativi, non è mai stata contraddetta sperimentalmente.

Si capisce allora lo scalpore che questa notizia, che ha fatto subito il giro del mondo, ha immediatamente sollevato.

I neutrini sono fra le particelle più abbondanti dell’universo ma, allo stesso tempo, sono anche fra quelle più elusive poiché interagiscono pochissimo con il resto della materia. Un neutrino può attraversare una lastra di piombo spessa un anno luce come se niente fosse; agli occhi di un neutrino l’universo è quasi completamente trasparente.
Sembra incredibile che gli scienziati riescano a studiare e a comprendere il comportamento di particelle dalle caratteristiche così singolari ed estreme; in effetti la previsione teorica dell’esistenza del neutrino e la sua scoperta sperimentale costituiscono una prova ulteriore della potenza dell’intelligenza umana.

 

francocollo commemorativo di Antoine Henri Becquerel e della sua scopertaLa radioattività

Nel 1896 Antoine Henri Becquerel (1852 - 1908) scoprì che l’uranio è in grado di emettere spontaneamente una misteriosa radiazione.

francocollo con i ritratti di Pietro e Maria CurieDue anni dopo i coniugi Marie (1867 - 1934) e Pierre Curie (1859 - 1906) scoprirono che anche torio, polonio e radio mostrano caratteristiche analoghe.

Il fenomeno fu chiamato radioattività in onore del radio, un nuovo elemento isolato dai Curie a partire da un minerale dell’uranio (pechblenda), che mostra un’emissione di radiazione particolarmente intensa.

A questo punto iniziarono le ricerche per scoprire altre sostanze radioattive e, soprattutto, per cercare di comprendere la natura di ciò che veniva emesso.

Furono individuati tre tipi di radiazione denominati alfa, beta e gamma.

schema delle radiazioni denominate alfa, beta e gamma

La radiazione alfa è quella meno penetrante poiché può essere schermata con un semplice foglio di carta; segue la radiazione beta che può essere schermata con un foglio di alluminio mentre la radiazione gamma è molto più penetrante.

La natura della radioattività divenne chiara quando gli scienziati compresero la struttura dell’atomo.

schema dell'atomoUn atomo può essere immaginato come un minuscolo sistema solare: un nucleo molto piccolo e compatto attorno al quale ruotano alcuni corpuscoli. Nel nucleo possono coesistere due tipi di particelle: i protoni, dotati di carica elettrica positiva, e i neutroni che sono elettricamente neutri. I corpuscoli esterni che ruotano attorno al nucleo sono gli elettroni, particelle dotate di carica elettrica negativa. In condizioni ordinarie il numero di elettroni orbitanti attorno al nucleo uguaglia il numero di protoni al suo interno, le cariche si bilanciano e l'atomo risulta elettricamente neutro. Il numero di protoni presente nel nucleo si chiama numero atomico e si indica con la lettera Z mentre il numero totale di particelle presenti nel nucleo (protoni più neutroni) si chiama peso atomico e si indica con la lettera A.

L’atomo è la parte più piccola in cui si riesce a suddividere la materia senza che questa perda la propria identità; un atomo di rame è completamente diverso da un atomo di piombo ma le particelle (protoni, neutroni ed elettroni) che compongono l’atomo di rame e di piombo sono indistinguibili fra loro.
Ciò che distingue un materiale da un altro è il suo numero atomico, cioè il numero di protoni presenti nel nucleo del suo atomo.
Vediamo qualche esempio.

L’atomo più semplice presente in natura e quello dell’idrogeno il cui nucleo è composto da un solo protone attorno al quale ruota un elettrone; poi troviamo l’atomo di elio all’interno del quale c’è un nucleo composto da due protoni e due neutroni. L’atomo di ossigeno ha un nucleo composto da otto protoni e otto neutroni mentre l’atomo più complesso presente in natura è quello dell’uranio all’interno del quale c’è un nucleo composto da 92 protoni e 146 neutroni.
Una cosa da tenere bene a mente è che gli atomi sono oggetti straordinariamente piccoli; le dimensioni di un atomo di idrogeno si aggirano intorno al decimiliardesimo di metro mentre le dimensioni del singolo protone sono dell’ordine del milionesimo di miliardesimo di metro.

Il fenomeno della radioattività si spiega con il fatto che i nuclei degli atomi di molti materiali sono instabili e, in tempi più o meno lunghi, tendono a trasformarsi in nuclei di atomi più stabili. Queste trasformazioni si chiamano decadimenti o trasmutazioni.

Prendiamo ad esempio l’atomo di uranio (Z=92, A=238) che abbiamo già conosciuto.
Il nucleo è instabile e si trasforma (cioè decade) in un nucleo di torio (Z=90, A=234) con l’emissione di un nucleo di atomo di elio (Z=2, A=4).
Questo è un esempio di un tipico decadimento alfa ed è il fenomeno che aveva osservato Bequerel; la misteriosa radiazione alfa altro non è che un flusso di nuclei di atomi di elio.

Esaminiamo adesso il carbonio, l’elemento su cui si basa la vita sulla Terra.
Il nucleo dell’atomo di carbonio è composto da sei protoni (Z=6) e sei neutroni (A=12); però, questa varietà di carbonio, a volte denominata
12C, non è l’unica presente in natura.
Infatti esiste un altro tipo di carbonio molto più raro e leggermente più pesante dell’ordinario
12C, denominato 14C, nel cui nucleo sono presenti due neutroni in più (Z=6, A=14). Anche il nucleo dell’atomo del 14C è instabile questa instabilità è diversa da quella del nucleo di atomo di uranio poiché si traduce nella trasformazione di un neutrone in un protone accompagnata dall’emissione di un elettrone; il risultato è che l’atomo di carbonio 14 (Z=6, A=14) si trasforma in azoto (Z=7, A=14). Questo è un esempio di decadimento beta; di conseguenza la misteriosa radiazione beta consiste in un flusso di elettroni.
Il decadimento radioattivo del carbonio 14 è il meccanismo su cui si basa la più famosa tecnica di datazione dei fossili, denominata appunto tecnica del carbonio 14’.

Per quanto riguarda il terzo tipo radiottività, esso consiste nell’emissione di raggi gamma da parte di nuclei atomici instabili che in genere sono il frutto di un precedente decadimento.

 

Il decadimento beta. Colpo mortale alla fisica?

Se vogliamo capire il contesto in cui avvenne la previsione teorica dell’esistenza del neutrino dobbiamo soffermarci un momento sulle tecniche che i fisici hanno a disposizione per lo studio dei fenomeni naturali.

Uno degli strumenti più potenti è il principio di conservazione dell’energia; questa importantissima legge della fisica afferma che l’energia non può essere creata e neppure distrutta: l’energia deve conservarsi e ciò deve avvenire in corrispondenza di qualsiasi fenomeno naturale. Vediamo un esempio.

Supponiamo di lasciare cadere da un’altezza di dieci metri una pallina di materiale elastico (per esempio una di quelle palline cosiddette magiche con cui giocano i bambini). Il principio di conservazione dell’energia afferma che l’energia posseduta dalla pallina dopo l’impatto con il pavimento deve essere uguale a quella posseduta dalla pallina prima dell’impatto; ovviamente in questo bilancio bisogna anche tenere conto della piccola frazione di energia che si trasforma in calore a causa dell’attrito con l’aria e dell’energia che si dissipa durante l’impatto con il pavimento.
È il principio di conservazione dell’energia che ci consente di prevedere che la pallina, dopo il rimbalzo, tende a raggiungere la stessa altezza da cui è partita.

Questa legge fisica si chiama principio poiché non è mai stata dimostrata in maniera rigorosa; siccome non è mai stato contraddetto, il principio di conservazione dell’energia è considerato universalmente valido e non è esagerato affermare che se dovesse venire a mancare tutta la fisica crollerebbe.

Viste le premesse, possiamo immaginare lo sgomento e l’incredulità con cui gli scienziati accolsero, nel 1930, la notizia che il decadimento beta viola il principio di conservazione dell’energia. Vediamo di capire di che cosa si tratta.

Francobollo commemorativo di Niels BohrTorniamo all’esempio già citato del decadimento del Carbonio 14.
Abbiamo visto che il Carbonio 14 (instabile) decade in Azoto (stabile) con l’emissione di un elettrone. Il principio di conservazione dell’energia impone che l’elettrone possegga la differenza di energia fra il nucleo di carbonio 14 e il nucleo di azoto; in realtà si osserva che l’elettrone possiede mediamente solo metà di tale energia mentre l’altra metà sembra semplicemente sparita.
Forse non c'è nulla di strano in tutto ciò. Forse il principio di conservazione dell'energia è sbagliato o, perlomeno, non funziona in questo specifico caso.
Di ciò era convinto Niels Bohr (1885 - 1962), uno dei più grandi fisici nucleari del tempo il quale, nel maggio del 1930, affermò esplicitamente:

« Nello stadio attuale della teoria nucleare possiamo dire che non disponiamo di argomentazioni, empiriche o teoriche, per difendere il principio di conservazione dell'energia nel caso delle disintegrazioni con emissione di raggi beta; anzi il tentare di farlo ci conduce a complicazioni e difficoltà ».Francobollo commemorativo di Wolfgang Pauli

Chi invece non ne voleva sapere di rinunciare al principio di conservazione dell'energia era un altro grande fisico nucleare dell'epoca: Wolfgang Pauli (1900 - 1958). Per Pauli non c'era alcun dubbio che l'energia si conservi; se, nel corso del decadimento beta, viene a mancare dell'energia vuol dire che c'è una particella sconosciuta ed invisibile che se la porta via.

Questa nuova particella fantasma fu chiamata neutrino.

 

Il neutrino. La particella fantasma

Francobollo con il ritratto di rbain Jean Joseph Le Verrier (1811 - 1877)Invocare qualcosa di invisibile e sconosciuto per far quadrare i conti può sembrare un modo di procedere altamente scorretto; in realtà, la stessa tecnica in altri contesti ha dato ottimi risultati.

Per esempio, nel 1840 il matematico francese Urbain Jean Joseph Le Verrier (1811 - 1877) ipotizzò l'esistenza di un nuovo e sconosciuto pianeta per spiegare le anomalie del movimento di Urano, allora ritenuto l'ultimo pianeta del sistema solare.
Il nuovo pianeta fu effettivamente scoperto nel 1846 e fu chiamato Nettuno.

L'ipotesi dell'esistenza del neutrino rappresentò un grandissimo atto di fede nei confronti del principio di conservazione dell'energia poiché risultò subito chiaro che la nuova particella doveva avere delle caratteristiche veramente peculiari per sfuggire in quel modo all'osservazione. In particolare il neutrino doveva essere quasi del tutto incapace di interagire con il resto della materia. É chiaro che scoprire una particella che non interagisce quasi per nulla con il mondo che la circonda è un'impresa quasi disperata.ritratto di Rudolph Peierls (1907 - 1995)

Di ciò era conscio Wolfgang Pauli, il quale quasi si pentì di avere proposto un'ipotesi che aveva del metafisico. In un'occasione ebbe a dire: « Ho fatto una cosa terribile. Ho postulato l'esistenza di una particella che non può essere rivelata ».

Altri due fisici nucleari dell'epoca, Hans Bethe (1906 - 2005) e Rudolph Peierls (1907 - 1995), dopo avere fatto alcuni conti, affermarono che « non si riuscirà mai a vedere un neutrino ».

francobollo commemorativo di James Chadwick (1891 - 1974)Queste fosche previsioni dei fisici teorici non spaventarono gli sperimentali. James Chadwick (1891 - 1974), premio Nobel per la fisica per la scoperta del neutrone, fu il primo a tentare di scoprire il neutrino.

Fallì nell'impresa ma un risultato importante riuscì ad ottenerlo: il neutrino è in grado di attraversare indisturbato 150 chilometri di aria.

Un esperimento più sensibile ideato da Maurice Nahmias fece aumentare il valore trovato da Chadwich fino a 31 mila chilometri.

ritratto di Enrico Fermi (1901 - 1954)Intanto nel 1933 il fisico italiano Enrico Fermi (1901 - 1954) sviluppò una teoria in grado di descrivere nei minimi dettagli il decadimento beta.
Questa teoria incorpora l'intuizione di Pauli e prevede l'esistenza di un fenomeno che poteva risultare molto utile per l'individuazione del neutrino: il decadimento beta inverso.
In questo processo un neutrino interagisce con un protone il quale si trasforma in un neutrone con l'emissione di un positrone, una particella simile all'elettrone ma con carica elettrica positiva. La teoria di Fermi riesce anche a prevedere qual è la probabilità che ha un neutrino di interagire con un protone ed innescare il decadimento beta inverso.
Ma quando Bethe e Peierls eseguirono effettivamente i calcoli si accorsero che sarebbe stato necessario uno spessore d'acqua di mille anni luce per avere una minima speranza che un neutrino inneschi il decadimento beta inverso.

Numeri del genere avrebbero steso il morale di qualunque sperimentatore poiché mille anni luce equivalgono a sessanta milioni di volte la distanza che ci separa dal Sole. A dire il vero, i conti di Bethe e Peierls riguardano la probabilità di interazione di un singolo neutrino ma l'intenzione degli scienziati non era quella di rivelare un neutrino ben preciso: gli scienziati volevano scoprire un neutrino qualsiasi, non importa quale fosse. E allora in questo caso le cose cambiano: è vero che un neutrino ha una probabilità infinitesima di interagire ma se noi abbiamo a che fare con un numero enorme di neutrini e li indirizziamo verso un bersaglio di dimensioni ridotte è chiaro che qualcuno prima o poi interagisce e cade nella trappola.
È lo stesso ragionamento che si applica per le lotterie: se noi compriamo un biglietto di una grande lotteria abbiamo una probabilità molto bassa di vincere il primo premio. Ma se acquistiamo un numero enorme di biglietti è chiaro che le possibilità di vittoria aumentano di molto; anche in questo caso ci interessa che il biglietto vincente sia uno qualsiasi fra quelli che abbiamo acquistato, non uno in particolare.

A questo punto il problema consisteva nel trovare una sorgente di neutrini sufficientemente intensa. L'occasione buona si presentò dopo la fine del secondo conflitto mondiale.

Frederick Reines (1918 - 1998) e Clyde Cowan (1919 - 1974) in laboratorioFrederick Reines (1918 - 1998) e Clyde Cowan (1919 - 1974), due fisici americani, pensarono di utilizzare come sorgente di neutrini il reattore nucleare di Hanford, un reattore progettato per la produzione di plutonio per scopi militari.
I reattori nucleari sono delle sorgenti di neutrini molto intense poiché i prodotti della reazione a Il reattore nucleare di Savannah River
catena che avviene all'interno del nocciolo sono dei potenti emettitori beta. Gli esperimenti condotti ad Hanford a partire dal 1953 non diedero alcun risultato significativo ma consentirono di perfezionare gli strumenti e di acquisire una notevole esperienza.
Nel 1955 Reines e Cowan furono autorizzati ad utilizzare come sorgente di neutrini il nuovo reattore nucleare di Savannah River, molto più potente di quello di Hanford.
Nel giugno del 1956, dopo innumerevoli esperimenti, prove e ripetizioni degli stessi, i due fisici si convinsero che le loro apparecchiature stavano rivelando la bellezza di due neutrini all'ora.

Ormai non c'era più alcun dubbio: dopo 26 anni dalla previsione teorica della sua esistenza il neutrino, la particella fantasma, era finalmente caduto in trappola.

Wolfgang Pauli, immediatamente avvisato della scoperta con un telegramma, non ebbe molto tempo per gioire della scoperta della propria creatura poiché scomparve due anni più tardi, stroncato da un male incurabile.

L'altro grande protagonista, colui che aveva formulato la teoria sul decadimento beta e predetto l'esistenza del decadimento beta inverso, non ebbe neppure la possibilità di gioire. Enrico Fermi si era già spento nel novembre del 1954 anche lui stroncato da una malattia che allora non lasciava scampo.

 

Il mistero dei neutrini solari

Forse non tutti sanno che il Sole è un gigantesco reattore nucleare. L'energia emessa dalla nostra stella sotto forma di luce e calore è dello stesso tipo di quella generata dalle centrali nucleari terrestri: si tratta di energia immagazzinata nei nuclei degli atomi, cioè di energia nucleare, che viene liberata attraverso una serie di reazioni nucleari. Ciò che accomuna le reazioni nucleari che avvengono nel centro del Sole e quelle che avvengono nelle centrali nucleari è l'emissione di una grande quantità di neutrini: il Sole è quindi una potentissima sorgente di neutrini.

L'energia generata nel centro del Sole impiega un milione di anni per raggiungere l'esterno del Sole e disperdersi nello spazio. Al contrario, essendo particelle che interagiscono pochissimo con ciò che li circonda, i neutrini generati nel centro del Sole fuoriescono dalla nostra stella in pochi istanti e, dopo qualche minuto, arrivano sulla Terra; il loro studio potrebbe essere molto importante poiché i neutrini solari sono in grado di fornirci informazioni su ciò che accade nel centro del Sole in tempo reale.

ritratto di John BachallVerso la fine degli anni sessanta del secolo scorso John Bachall, un fisico teorico americano, calcolò il flusso di neutrini in arrivo dal Sole e si convinse che tali neutrini potevano essere rivelati; ritratto di Raymond Davis Jrper far ciò, in collaborazione con Raymond Davis Jr, fu predisposto un esperimento da eseguirsi all'interno di una miniera in South Dakota a 1.500 metri di profondità di modo da eliminare ogni possibile interferenza da parte dei raggi cosmici o di qualsiasi radiazione artificiale.
Cuore dell'esperimento un grande serbatoio riempito con seicento tonnellate di tetracloroetilene, un solvente a base di cloro.
Un neutrino può interagire con un atomo di cloro 37 e trasformarlo in atomo di argon 37, un gas radioattivo che può essere separato chimicamente e rivelato grazie alla sua radioattività. A intervalli di qualche mese si svuota il serbatoio, si separano gli atomi di argon radioattivi e se conta il numero per stimare il numero di neutrini che hanno attraversato il serbatoio e, di conseguenza, il flusso proveniente dal Sole. I primi risultati mostrarono che l'esperimento rivelava solo il trenta per cento dei neutrini previsti; infatti Bachall aveva calcolato che si sarebbero dovuti osservare circa dieci eventi alla settimana ma l'esperimento ne rivelava solamente tre.

La comunità scientifica internazionale accolse questi risultati con scetticismo, ironia e anche ostilità. Non è difficile capirne il perché: da una parte c'era un fisico teorico (Bachall) che si diceva sicuro di avere compreso alla perfezione il funzionamento del Sole; dall'altra uno sperimentale (Davis) il quale diceva di essere in grado di distinguere alcune decine di atomi in mezzo a seicento tonnellate di materia e si stupiva di averne trovato di meno.

Ciò che spronò i due scienziati a continuare il loro esperimento in barba all'opinione della comunità scientifica fu una semplice considerazione: se, come dicevano i loro colleghi, l'esperimento non era perfetto, se si fosse trascurato qualcosa, se c'erano fenomeni spuri o di disturbo il numero di neutrini osservato sarebbe dovuto essere superiore a quello previsto non inferiore.

Per diciotto anni l'esperimento di Bachall e Davis fu l'unico del suo genere e, in mezzo all'indifferenza generale, continuò a rivelare solo il trenta per cento dei neutrini previsti.

Nel 1986 a Kamioka, in Giappone, entrò in funzione un secondo esperimento per lo studio dei neutrini solari denominato Kamiokande II (da Kamioka Neutrino Detector); questo esperimento individuava gli elettroni strappati alle molecole d'acqua a causa delle collisioni con i neutrini. La tecnica di rilevamento era quindi diversa da quella utilizzata da Bachall e Davis ma i risultati furono gli stessi: Kamiokande II riusciva a rivelare solo il trenta per cento dei neutrini previsti. E fra gli scienziati cominciò a serpeggiare un certo malumore.

Quando un altro gruppo di scienziati giapponesi, impegnato nello studio dei neutrini prodotti in atmosfera dall'interazione con i raggi cosmici, scoprì la stessa discrepanza, la comunità scientifica internazionale finalmente si convinse che stava accadendo qualcosa di molto serio. I casi erano due: le teorie fisico matematiche che descrivono il comportamento del Sole sono sbagliate oppure all'interno del Sole qualcosa non funziona a dovere. In effetti, visto che i neutrini ci informano su ciò che succede all'interno del Sole in tempo reale, osservare solo il trenta per cento dei neutrini previsti potrebbe voler dire che nel Sole avvengono solo il trenta per cento delle reazioni nucleari che dovrebbero avvenire in condizioni normali.

Un Sole malato dunque?

 

L'oscillazione dei sapori

Per capire gli sviluppi di questa spinosa vicenda, bisogna fermarsi un attimo e vedere che cosa accadde nella ricerca sui neutrini dopo la loro scoperta nel 1956.

Nel 1937 fu scoperta una particella molto simile all'elettrone (solo un po' più pesante) che fu chiamato muone; il muone è una particella instabile e decade in un elettrone accompagnato da un secondo tipo di neutrino denominato neutrico muonico per distinguerlo dal neutrino di Pauli e di Fermi che fu chiamato neutrino elettronico.

Inoltre, nel 1974 fu scoperta una terza particella, simile ad un elettrone super pesante, che fu chiamata particella tau; associata alla particella tau fu scoperto un terzo tipo di neutrino che fu battezzato neutrino tauonico. Di conseguenza, verso la metà degli anni settanta si conoscevano tre tipi di neutrini: il neutrino elettronico, quello ipotizzato da Pauli e scoperto da Cowan e Reines, il neutrino muonico e il neutrino tauonico. Inoltre, nella seconda generazione di fisici che si occuparono di neutrini era maturata la convinzione che il neutrino fosse una particella priva di massa e in perpetuo movimento alla velocità della luce. Lo scrivente, non più giovanissimo, ricorda molto bene l'epoca in cui tutti i libri e tutti gli articoli scientifici descrivevano il neutrino come una particolarissima particella senza massa che si muoveva alla velocità della luce. Ma non tutti la pensavano in questo modo.

ritratto di Bruno Pontecorvo (1913 - 1993) Bruno Pontecorvo (1913 - 1993) era un fisico nucleare italiano che fece parte del gruppo di Enrico Fermi a Roma a cavallo degli anni trenta del secolo scorso (i famosi Ragazzi di Via Panisperna). Era il più giovane ed era soprannominato il cucciolo.
Dopo lo scioglimento del gruppo, Pontecorvo si stabilì in Francia; dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale riparò negli Stati Uniti. Non partecipò al progetto Manhattan per la costruzione della prima bomba atomica; pare che ne fu escluso per le sue idee politiche di stampo marxista.
Dopo la fine del conflitto, Pontecorvo si stabilì in Inghilterra e nel 1950, durante una vacanza in Italia, partì improvvisamente per Stoccolma e lì si persero le sue tracce.
In seguito i servizi segreti inglesi lo rintracciarono presso il confine russo-finlandese in compagnia di agenti del KGB (il potente servizio segreto sovietico) e si convinsero che Pontecorvo fosse emigrato in Unione Sovietica. Questa convinzione si trasformò in certezza nel 1955 quando Pontecorvo ricomparve in pubblico per la prima volta dopo la scomparsa e spiegò al mondo le ragioni di questa sua scelta.

In Russia Pontecorvo si occupò anche di neutrini e non accettò mai l'idea che i neutrini fossero privi di massa; dopotutto egli era cresciuto, scientificamente parlando, a Roma con Enrico Fermi e lì nessuno aveva mai affermato che il neutrino doveva essere privo di massa.
Nel 1967 Pontecorvo andò oltre e propose che il neutrino poteva essere soggetto ad un curioso fenomeno: un neutrino che nasce come elettronico con il passare del tempo può trasformarsi in neutrino muonico, poi in neutrino tauonico per poi ritornare nello stato di neutrino elettronico. Questo fenomeno è stato chiamato oscillazione dei sapori poiché gli scienziati non parlano di tipi o famiglie di neutrini bensì di sapori. Sapore è ovviamente un termine tecnico del gergo degli scienziati che non ha nulla a che vedere con la gastronomia e con la sensazione che proviamo quando assaggiamo i cibi. Credo sia inutile sottolineare il fatto che l'oscillazione dei sapori non è un'ipotesi campata per aria ma trova ampia giustificazione nell'ambito della meccanica quantistica, la disciplina che studia ciò che avviene nel mondo degli atomi cioè del mondo dell'infinitamente piccolo.

È tempo di tornare ai neutrini solari. Quando il problema della penuria di neutrini venne finalmente affrontato nella dovuta maniera, alcuni scienziati notarono una curiosa coincidenza che forse coincidenza non era: tre sapori di neutrini e trenta per cento di neutrini individuati rispetto a quelli previsti; questi scienziati capirono che il problema forse non risiedeva nella fisica teorica né tantomeno nel Sole. La soluzione del problema andava ricercata nel neutrino stesso. Gli esperimenti di Bachall e Davis e Kamiokande II erano predisposti per rivelare i neutrini elettronici; su questo nessuno aveva avuto nulla da ridire poiché il Sole produce solo neutrini elettronici ma è chiaro che se i neutrini elettronici prodotti dal Sole, durante il viaggio verso la Terra, oscillano continuamente da un sapore all'altro c'è solo una probabilità del trenta per cento di catturare dei neutrini elettronici.

Schema del Solar Neutrino Observatory Nel 1999 entrò in funzione il Solar Neutrino Observatory a tremila metri di profondità in una miniera canadese; questo esperimento era in grado di rilevare qualunque sapore di neutrino.
I risultati presentati nel 2002 furono inequivocabili: se si tiene conto dei tre sapori, il flusso di neutrini che arriva sulla Terra coincide con quello previsto. Quindi i conti di Bachall erano giusti come del resto le misure di Davis e, soprattutto, da ciò emerge che il Sole è in splendida forma e gode di ottima salute. Questa fu la prima conferma della teoria di Pontecorvo.
Il Sole produce solamente neutrini elettronici ma, a causa dell'oscillazione dei sapori, solo un terzo di essi arriva sulla Terra sotto forma di neutrino elettronico; un terzo giunge sottoforma di neutrino muonico e l'ultimo terzo arriva sottoforma di neutrino tauonico.ritratto di Edoardo Amaldi (1908 - 1989)

A Pontecorvo fu consentito di ritornare in Italia per pochi giorni solamente nel 1978, in occasione del settantesimo compleanno di Edoardo Amaldi (1908 - 1989), l’unico del gruppo romano di Fermi che rimase e continuò a lavorare in Italia.
L’ultimo viaggio di Pontecorvo in Italia risale al 1992, tre anni dopo la caduta dei muri che avevano diviso in due l'Europa; era un uomo anziano, stanco ed era afflitto dal morbo di Parkinson. In questa occasione manifestò tutto il suo rammarico e la sua disillusione sostenendo che la fuga in Unione Sovietica si era rivelato un terribile errore.
Non ebbe il tempo di gioire per la prima conferma della sua teoria sull'oscillazione dei sapori dei neutrini poiché si spense a Dubna, la città dove aveva sempre vissuto durante la permanenza in Unione Sovietica, nel 1993.

 

I neutrini e la massa mancante dell'universo

I neutrini sono fra le particelle più abbondanti dell'universo; ogni istante miliardi di neutrini attraversano ogni centimetro quadrato della nostra pelle e vi sono un milione di neutrini per ogni fotone. Se effettivamente il neutrino possiede una massa, la massiccia presenza di neutrini nell'universo potrebbe spiegare in tutto o in parte uno dei più grandi misteri dell'astronomia contemporanea: la natura della materia oscura.

Fin dal 1930 gli astronomi sanno che nell'universo è presente molta più materia di quella che ci mostrano i telescopi i quali, per forza di cose, ci mostrano solo la materia illuminata: per esempio la materia contenuta nelle galassie che sono illuminate dalla luce delle centinaia di miliardi di stelle situate nel loro interno.

Ma se si studiano i movimenti delle stelle all'interno una galassia si scopre che le stelle si muovono come se la galassia in questione fosse molto più massiccia (fino a dieci volte di più) di quanto mostrato dai telescopi. Inoltre se si studiano i movimenti delle singole galassie all'interno degli ammassi si osserva che le galassie si muovono come se l'ammasso che le contiene fosse molto più massiccio di quanto osservato. A questa materia non illuminata è stato dato il nome di materia oscura (dark matter in inglese) ed è sei volte più abbondante della materia illuminata.

Per un certo periodo di tempo il neutrino sembrò essere la soluzione ideale del problema: una particella molto elusiva, poco massiccia ma talmente abbondante da potere giustificare in parte o in tutto la materia oscura. Le moderne simulazioni al computer, però, hanno mostrato che se la materia oscura fosse composta di neutrini, l'universo si sarebbe evoluto in maniera completamente differente e attualmente sarebbe molto diverso da quanto appare. Di conseguenza, per quanto affascinante, l'ipotesi dei neutrini fu abbandonata e la ricerca della materia oscura si orientò in altre direzioni.

A tutt'oggi la natura della materia oscura rimane un mistero.

 

OPERA e i neutrini superluminali: la fine di un sogno

OPERA è un acronimo per indicare un esperimento volto allo studio dell'oscillazione dei sapori dei neutrini.

schema dell'esperimento OPERA

I neutrini prodotti presso i laboratori del CERN a Ginevra, dopo un viaggio di 732 chilometri attraverso la crosta terrestre, giungevano presso i laboratori dell'INFN (Istituto Nazionale Fisica Nucleare) nel Gran Sasso in Abruzzo dove venivano analizzati e studiati. Portavoce di OPERA era Antonio Ereditato, direttore del laboratorio di alte energie all'Albert Einstein Center for Fundamental Physics dell'Università di Berna.

Il 23 settembre 2011 l'annuncio choc che di lì a poco si sarebbe guadagnato la prima pagina di giornali e telegiornali di mezzo mondo: i neutrini prodotti al CERN giungevano al Gran Sasso con 60 miliardesimi di secondo di anticipo rispetto ai tempi previsti; ciò implicava il fatto che i neutrini avevano viaggiato ad una velocità superiore a quella della luce nel vuoto violando palesemente la teoria della relatività di Einstein.

Il 18 novembre 2011 la prima conferma: lo stesso esperimento condotto con modalità leggermente diverse forniva gli stessi risultati ottenuti in precedenza. Non era la conferma definitiva del clamoroso risultato ma poco ci mancava, dicevano alcuni commentatori.

Per capire l’importanza di una scoperta del genere bisogna tenere presente il fatto che la teoria della relatività è una delle teorie più potenti ed affidabili a disposizione degli scienziati. Nella sua versione cosiddetta ‘ristretta'’, presentata nel 1905, la teoria della relatività rivoluziona i concetti di spazio, tempo, materia ed energia; spazio e tempo risultano profondamente connessi l’uno con l’altro e materia ed energia risultano due facce diverse della stessa medaglia. È in questo contesto che emerge la previsione che la velocità della luce del vuoto è irraggiungibile per quanto riguarda le particelle materiali ed insuperabile per quello che concerne la trasmissione di informazioni in generale. Nella sua versione cosiddetta ‘generale’, presentata nel 1916, la teoria della relatività supera la visione newtoniana e descrive la gravità non come forza attrattiva fra corpi materiali ma come effetto della curvatura dello spazio-tempo sui corpi in movimento.

La teoria della relatività non è mai stata contraddetta e tutti i fenomeni previsti, alla portata dell’analisi sperimentale, sono stati puntualmente verificati. Si capisce allora che all’eventuale superamento della teoria della relatività sarebbe seguito l’inizio di un’epoca di grande attività e fermento nel campo della fisica, un’epoca d’oro che tutti i fisici, teorici e sperimentali, sognano di vivere.

Il grande sogno era quindi in procinto di diventare realtà?

ritratto di Sheldon Glashow (1932)ritratto di Andrew CohenLa teoria della relatività ha ormai superato il secolo di vita e in tutti questi anni ha dimostrato di essere un osso veramente duro. Dopo il primo clamoroso annuncio, Sheldon Glashow (1932), premio Nobel per la fisica nel 1979, e Andrew Cohen raccomandarono grande prudenza.

Un qualunque neutrino che viaggi a velocità superiori a quelle della luce dovrebbe irradiare energia e lasciare dietro di sé una scia di particelle più lente.
In secondo luogo l’eventuale superamento della velocità della luce nel vuoto da parte dei neutrini è palesemente in contrasto con un altro fenomeno osservato venticinque anni fa.

Nel 1987 all’interno della Grande Nube di Magellano, una piccola galassia di forma irregolare situata a 170 mila anni luce di distanza dalla Terra, apparve una supernova.
Le supernovae rappresentano la fase finale della vita di una stella molto massiccia; a causa di profonde instabilità che si instaurano al suo interno, la stella si autodisintegra con una immane esplosione. Il fenomeno si manifesta con l’apparizione in cielo di una nuova stella che raggiunge un picco di luminosità dopo di che si attenua e, nel giro di qualche tempo, sparisce alla vista. Durante l’esplosione viene emessa una grande quantità di neutrini; ora se i neutrini anticipano la luce di 60 miliardesimi di secondo su un percorso di 732 chilometri, quelli provenienti dalla Grande Nube di Magellano sarebbero dovuti arrivare tre anni prima rispetto alla radiazione luminosa.
In realtà i neutrini e la luce emessi dalla supernova arrivarono praticamente in contemporanea.

Il 22 febbraio 2012 la doccia fredda.
In quella data arrivò l’annuncio che i risultati dell’esperimento OPERA erano inficiati da un problema di tipo strumentale: l’effetto combinato di un connettore di una fibra ottica non completamente avvitato e un effetto legato all’orologio del computer che acquisisce i dati ha portato a sovrastimare la velocità di propagazione dei neutrini. Ripristinati correttamente gli strumenti e ripetuto l’esperimento, i neutrini hanno ripreso a comportarsi come previsto dalla teoria di Einstein.

A differenza di molti commentatori che hanno parlato di flop e di figuraccia, ritiengo che i ricercatori di OPERA, scientificamente parlando, si siano comportati in maniera ineccepibile.
Hanno effettuato degli esperimenti, hanno creduto di scoprire qualcosa di molto importante, hanno pubblicato i risultati delle loro ricerche indicando come erano stati ottenuti, hanno invitato altri gruppi a ripetere lo stesso esperimento e hanno continuato a cercare possibili errori eventualmente commessi. E alla fine gli errori sono stati trovati.

 

CURIOSITÀ ---

Pubblicare sempre i risultati degli studi e delle ricerche ?

Questa è una storia che dovrebbe far riflettere coloro che hanno dubitato della serietà professionale dei ricercatori di OPERA e che sono convinti della necessità di annunciare i risultati delle proprie ricerche o dei propri studi solo quando si è assolutamente sicuri (cioè mai, visto che nella scienza la sicurezza al cento per cento non esiste). È una storia che ha una morale per comprendere la quale non è necessaria la completa comprensione degli aspetti tecnici che seguono.

In fisica per parità si intende la proprietà di alcuni fenomeni i quali rimangono inalterati se si cambia il segno alle coordinate spaziali del sistema di riferimento; sotto certi aspetti ciò equivale a osservare il fenomeno in questione riflesso in uno specchio cioè a scambiare la destra con la sinistra. Quando un fenomeno che avviene nella realtà è indistinguibile dalla sua immagine speculare si dice che 'conserva la parità'.

Per esempio, il movimento della Terra intorno al Sole è un fenomeno che conserva la parità poiché se osserviamo lo stesso movimento riflesso in uno specchio non noteremmo alcuna differenza per esempio nella durata del giorno o dell'anno; in altre parole non siamo capaci di distinguere il movimento reale da quello riflesso nello specchio.
Secondo esempio: se diciamo ad un uomo di alzare la mano sinistra vedremo la sua immagine riflessa nello specchio alzare la mano destra (provare per credere!). Questo è un fenomeno che non conserva la parità; si dice che è un fenomeno chirale. Infatti noi siamo perfettamente in grado di distinguere il fenomeno reale dalla sua immagine speculare.

Fino al 1957 gli scienziati erano convinti che tutte le leggi di natura conservassero la parità; nessuno aveva dimostrato una cosa del genere ma visto che la parità è conservata dalla forza di gravità, dall'elettromagnetismo e dall'interazione nucleare forte si era diffusa una convinzione di stampo quasi religioso che tutte le leggi di natura dovessero conservare la parità. L'interazione nucleare debole, introdotta da Enrico Fermi nel 1933 per descrivere il decadimento beta di cui abbiamo diffusamente parlato in precedenza, era l'ultima arrivata. Tanta era la convinzione che anche l'interazione nucleare debole doveva conservare la parità che nessuno si era preso la briga di controllare.

I fisici Tsung Dao Lee (1926) e Chen Ning Yang (1922)Nel 1957 Tsung Dao Lee (1926) e Chen Ning Yang (1922), due fisici di origine cinese che erano cresciuti professionalmente con Enrico Fermi a Chicago, studiando i decadimenti beta di alcune particelle individuate nei raggi cosmici scoprirono che i decadimenti beta non conservano la parità, cioè sono chirali.
Grazie a questa scoperta i due salirono alla ribalta internazionale e si aggiudicarono il premio Nobel.

francobollo commemorativo di Abdus Salam (1926 - 1996)E questa è la parte allegra della storia; ora arrivano le note dolenti.

Nel 1956 Abdus Salam (1926 - 1996) era uno studente pakistano di dottorato presso l'Università di Cambridge.
Mentre Yang e Lee stavano facendo le loro prime storiche osservazioni sui raggi cosmici, Salam era da tempo impantanato in delicate questioni matematiche e non riusciva a venirne fuori.
Durante il ritorno da un viaggio negli Stati Uniti, mentre si trovava in aeroplano, Salam ebbe la classica folgorazione: le difficoltà con cui stava lottando sembravano svanire di colpo se si ammetteva che il decadimento beta fosse chirale.

Appena ritornato a Cambridge ne parlò con il relatore della sua tesi di dottorato, quel Rudolph Peiers che abbiamo già conosciuto, il quale però espresse tutta la sua disapprovazione consigliandogli vivamente di lasciare perdere queste idee.
Per nulla convinto, Salam contattò colui che era considerato il massimo esperto in materia, Wolfgang Pauli, il quale gli rispose che proporre idee così stupide era il modo migliore per rovinarsi la carriera. Profondamente amareggiato Salam non ebbe il coraggio di pubblicare ciò che aveva intuito cosa che invece fecero Yang e Lee l'anno seguente e per questo vinsero il Nobel.

Abdus Salam non fu più la stessa persona; nemmeno il Nobel vinto nel 1979, in comproprietà con Sheldon Glashow e Steven Weimberg (1933) per l'unificazione dell'interazione nucleare debole con l'elettromagnetismo, riuscì a rimarginare quell'antica ferita.

 

Neutrino: particella di Dirac o di Majorana ?

Anche per il neutrino esiste la relativa antiparticella, denominata antineutrino.
In effetti la particella che accompagna l’elettrone nel decadimento beta del carbonio 14, del quale abbiamo discusso in precedenza, non è un neutrino ma un antineutrino. Visto che il neutrino è sprovvisto di carica elettrica c’è una questione riguardo la sua natura che non è ancora stata risolta.ritratto di Ettore Majorana (1906 - ?)
francobollo commemorativo di Paul Dirac (1902 - 1984)

Non è ancora chiaro se il neutrino coincide con la propria antiparticella, come sosteneva il fisico italiano Ettore Majorana (1906 - ?) misteriosamente scomparso nel 1938, oppure se neutrino e antineutrino sono particelle diverse, come sosteneva il fisico britannico padre dell’antimateria Paul Dirac (1902 - 1984).

Se il neutrino fosse una particella di Majorana dovrebbe essere possibile individuare un rarissimo fenomeno denominato doppio decadimento beta senza neutrini; l’esperimento NEMO-3, sotto il traforo del Frejus, e l’esperimento GERDA, presso il Gran Sasso, sono stati realizzati per lo studio del doppio decadimento beta.

A tutt’oggi la controversia è ancora aperta.

 

Monografia n.123-2012/2


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