LA STELLA PIÙ LUMINOSA DELLA STORIA
di Marco Marchetti

Composit da “Storia di Ravenna a fumetti” di Tonino Pantanelli, 1983
Composit da “Storia di Ravenna a fumetti” di Tonino Pantanelli, 1983

INTRODUZIONE

Anno 1006 d.C.: mentre l’Italia sta faticosamente uscendo dall’Alto Medioevo, i famosi ‘secoli bui’, e si sta avviando verso quello straordinario periodo di rinascita culturale, artistica ed economica che è il Rinascimento, una nuova stella appare nella costellazione del Lupo, situata nelle vicinanze della ben più nota costellazione zodiacale dello Scorpione.

In Europa il nuovo astro passa praticamente inosservato vuoi per la sua posizione molto vicina all’orizzonte ma soprattutto a causa del tracollo della civiltà europea che seguì la caduta dell’impero romano d’occidente; l’antica e gloriosa astronomia greca di Aristarco, Ipparco e Tolomeo é stata completamente dimenticata e le mappe stellari indispensabili per potere notare qualsiasi cambiamento del cielo stellato sono andate perdute o giacciono sotto la polvere negli archivi dei monasteri.

Al contrario la nuova stella viene osservata e registrata dagli astronomi arabi (che avevano raccolto l’eredità dell’astronomia greca), cinesi e giapponesi i quali ce la descrivono talmente luminosa da illuminare il paesaggio notturno. La stella, dopo un periodo iniziale di fulgidissimo splendore, comincia ad affievolirsi e scomparirà dopo tre anni.

Anno 2003 d.C.: al termine di uno studio condotto su ciò che resta di quell’antica apparizione P.Frank Winkler (Middlebury College) e due suoi colleghi riescono a stimare la luminosità che la stella aveva nel momento del massimo splendore che risulta essere molto superiore a quella di Venere (l’oggetto più luminoso del cielo dopo il Sole e la Luna); di conseguenza la stella apparsa quasi mille anni fa nella costellazione del Lupo può a ragione essere considerata la stella più luminosa della storia.

 

STELLE OSPITI

Nel 134 a.C. l’astronomo greco Ipparco (190 - 120 a.C.), considerato uno dei più grandi astronomi dell’antichità, compilò il primo catalogo stellare veramente esauriente degno di tale nome; in esso vi erano elencate 850 stelle fra le più luminose.

Nel suo catalogo Ipparco classificò ogni stella calcolandone la posizione, in base ad un sistema di longitudine e latitudine celesti, e ne stimò la luminosità secondo una scala di ‘grandezze’ o ‘magnitudini’ da lui stesso inventata. La prima magnitudine comprendeva le venti stelle più luminose del cielo mentre la sesta comprendeva le stelle appena percettibili ad occhio nudo in una notte serena senza Luna; in mezzo trovavano ovviamente posto la seconda, terza, quarta e quinta magnitudine.

Questo sistema per la misurazione dello splendore dei corpi celesti è in vigore ancora oggi (con le opportune correzioni per tenere conto dell’aumentata precisione degli strumenti a disposizione). Per i pianeti, che sono mediamente più luminosi della più luminosa delle stelle, si utilizzano magnitudini negative (analogamente a quello che si fa con i valori delle temperature quando queste scendono sotto lo zero). Per esempio Venere, nel momento del massimo splendore raggiunge la magnitudine –4,5; Sirio, la stella più luminosa dopo il Sole, è di magnitudine –1,5; Vega è di magnitudine 0; la Stella Polare, che è una stella di luminosità variabile, oscilla fra la magnitudine 2,1 e 2,2 mentre le stelle più deboli osservabili con il telescopio di Monte Palomar, di cinque metri di diametro, sono di magnitudine 23.

Da notare che ad un gradino di magnitudine corrisponde una variazione di luminosità pari a 2,5. In altre parole una stella di prima magnitudine è due volte e mezza più luminosa di una stella di seconda magnitudine la quale, a sua volta, è due volte e mezza più luminosa di una stella di terza magnitudine e così via.

Il catalogo di Ipparco venne ampliato tre secoli più tardi da Claudio Tolomeo (100 - 170 d.C.), l’ultimo grande astronomo greco antico, e incluso nella sua monumentale opera, l’Almagesto, che, a differenza delle opere di Ipparco andate perdute, è giunta fino a noi.

Ci si può chiedere che cosa abbia spinto Ipparco a cimentarsi in un’impresa del genere visto che a quei tempi gli oggetti celesti ritenuti più interessanti erano i pianeti. Infatti i primi astronomi erano convinti che Sole, Luna e pianeti influenzassero la Terra e i suoi abitanti; di conseguenza se si fosse riusciti a trovare un meccanismo per descrivere e prevedere i loro movimenti in mezzo alle stelle si avrebbe avuto in mano uno strumento formidabile per prevedere il destino di qualsiasi individuo.

Secondo lo studioso romano Plinio il Vecchio (23 - 79 d.C.) ciò che spinse Ipparco alla stesura del suo famoso catalogo fu l’apparizione di una nuova stella nella costellazione dello Scorpione, una vistosa e spettacolare costellazione dello zodiaco che il grande astronomo greco doveva conoscere molto bene. Ipparco rimase sicuramente molto colpito nel vedere una nuova stella in una zona in precedenza vuota e grande dovette essere il suo stupore quando si accorse che, dopo un primo periodo di grande splendore, il nuovo astro si affievolì fino a sparire senza lasciare traccia.

Ipparco si rese conto che l’apparizione di nuove stelle in mezzo a quelle note poteva essere un fenomeno niente affatto inusuale e se nessuno lo aveva notato fino a quel momento era perché allo studio delle stelle era stata dedicata scarsa attenzione. Per potere riconoscere cambiamenti nel cielo era, però, necessaria una mappa celeste, cioè una carta che riportasse fedelmente posizione e luminosità delle stelle principali.

Nonostante la disponibilità di questo preziosissimo strumento per diciotto secoli nessuna nuova stella venne registrata da parte di astronomi europei. Come mai? Innanzi tutto il declino dell’astronomia greca, poi il tracollo dell’intera civiltà europea che seguì la caduta dell’impero romano d’occidente e infine l’accresciuto potere dello Stato Pontificio che aveva sposato, e successivamente trasformato in dogmi, le idee di Aristotele (384 - 322 a.C.). Secondo Aristotele i cieli sono perfetti e immutabili e questa posizione ben si conciliava con l’ipotesi biblica della creazione del mondo; infatti sostenere che in cielo potessero avvenire dei mutamenti, cioè affermare che il Padreterno si fosse dimenticato di creare qualcosa, poteva risuonare blasfemo.

Il potere della Chiesa si potenziò a tal punto che mettere in discussione le idee di Aristotele significava poi fare i conti con il tribunale dell’Inquisizione che, notoriamente, era tutt’altro che indulgente. Si capisce allora che la voglia di discutere con Aristotele fosse molto scarsa e possiamo bene immaginare che se anche qualcuno avesse notato l’apparizione in cielo di una nuova stella costui si sarebbe affrettato a volgere lo sguardo da un’altra parte magari promettendo solennemente a se stesso di smettere di bere.

Ovviamente non è intenzione dello scrivente liquidare in quattro righe tutta la storia medioevale e parte di quella moderna del nostro paese e dell’Europa in generale; si sta solamente cercando di fare capire come andarono le cose sul fronte astronomico in maniera semplice e concisa.

Per fortuna dall’altra parte del pianeta vi era una civiltà che, almeno fino al 1500, non aveva mai sentito parlare né di Aristotele né tantomeno della Bibbia e della Genesi; stiamo parlando della civiltà cinese i cui astronomi, non avendo idee preconcette sul cielo, registravano con grande accuratezza tutto ciò che veniva osservato sopra le loro teste. Il motivo era sempre lo stesso: la presunta influenza della disposizione degli astri sulla vita della Terra.

L’apparizione di nuove stelle in mezzo a quelle permanenti era un fenomeno ben conosciuto dagli antichi astronomi cinesi; essi le chiamavano ‘stelle ospiti’. Negli annali cinesi furono registrate oltre cinquanta stelle ospiti completamente ignorate dagli astronomi europei; di queste cinque furono particolarmente luminose.

La prima apparve nel 183 d.C. nella costellazione australe del Centauro mentre la seconda, decisamente meno splendente, fece la sua comparsa nella costellazione dello Scorpione nel 393 d.C. Da quello che ci raccontano i Cinesi la stella ospite dello Scorpione rimase visibile per otto mesi ed è probabile che non superò la luminosità di Sirio. Appare quindi comprensibile che non sia sfuggita agli attentissimi astronomi cinesi ma che possa essere passata inosservata ai distratti astronomi europei.

Diversa la situazione per quanto riguarda la nuova stella del Centauro; secondo i Cinesi questa stella fu estremamente più luminosa di quella che sarebbe apparsa duecento anni più tardi nello Scorpione. Per alcune settimane il nuovo astro dovrebbe essere stato l’oggetto più luminoso del cielo (dopo il Sole e la Luna) e sembra impossibile che sia passato inosservato in Occidente. E’ pur vero che la nuova stella era situata molto a sud ed era impossibile osservarla da Francia, Germania e Italia mentre sarebbe stata appena al di sopra dell’orizzonte per osservatori situati in Sicilia o ad Atene ma alla latitudine di Alessandria, a quei tempi il più importante centro di scienza e cultura, la stella doveva essere visibile. Eppure nessun astronomo greco ne fa menzione; Claudio Tolomeo, l’ultimo dei grandi, era morto e probabilmente le idee aristoteliche cominciavano a fare i primi danni.

Passano sei secoli durante i quali negli annali cinesi non viene registrata alcuna stella ospite particolarmente luminosa; poi nel 1006 d.C. viene annunciata l’apparizione di una luminosissima stella nella costellazione del Lupo, una zona di cielo adiacente al Centauro, anch’essa situata molto a sud.

Passano appena quarantotto anni e un’altra luminosissima stella cominciò a brillare nella costellazione del Toro; la stella apparsa nel 1054 d.C. (il quattro luglio secondo alcuni calcoli) fu di una luminosità eccezionale (seconda solamente a quella del 1006 d.C.). Il suo splendore era nettamente superiore a quello di Venere, di notte era in grado di proiettare deboli ombre, durante i primi tre mesi era visibile persino di giorno (se si sapeva dove guardare), apparve in una costellazione zodiacale nota e stranota e quindi in una posizione ideale per l’osservazione eppure questa stella passò inosservata sia agli astronomi europei che a quelli arabi. Tutto ciò ha dell’incredibile anche se qualcuno sostiene di averne trovato traccia in un documento arabo e in un manoscritto italiano.

Infine nel 1181 cinesi e giapponesi annunciarono l’apparizione di una nuova stella ospite nella costellazione di Cassiopea, una costellazione situata molto a nord e quindi ideale per l’osservazione in Europa. Anche quest’ultima stella sfuggì agli astronomi europei probabilmente a causa della sua relativamente scarsa luminosità che non superò quella di Vega.

Ma torniamo alla stella del 1006 d.C.; abbiamo visto come essa apparve nella costellazione australe del Lupo, in una posizione che non era propriamente l’ideale per l’osservazione da latitudini boreali. Nonostante ciò essa fu documentata da astronomi cinesi e giapponesi; anche tre astronomi arabi riferiscono della comparsa di questa stella.

E non c’è motivo di stupirsene poiché tutte le testimonianze sono concordi sulla grandissima luminosità del nuovo astro. Stime moderne indicano uno splendore pari a duecento volte quello di Venere (un decimo della Luna piena); trattandosi di un oggetto puntiforme tutta quella luce concentrata in un solo punto ne deve avere fatto un oggetto piuttosto abbagliante da osservare. Essa rimase visibile ad occhio nudo per circa tre anni anche se l’eccezionale luminosità venne mantenuta solo per poche settimane.

Come al solito sul fronte europeo troviamo il silenzio più totale: nessuno si accorse di nulla. Solo due cronache redatte da un monastero italiano e da uno svizzero sembrano fare riferimento ad un qualcosa che potrebbe essere considerato una stella luminosa.

 

CATASTROFI COSMICHE

A partire dal 1572 ricominciarono ad apparire nuove e luminosissime stelle ma ormai in Europa i tempi erano cambiati; grazie al contributo di persone del calibro di Niccolò Copernico (1473 - 1543), Thyco Brahe (1546 - 1601), Giovanni Keplero (1571 - 1630) e Galileo Galilei (1564 - 1642) i dogmi aristotelici, dopo venti secoli di danni, erano stati finalmente presi a calci ed erano state poste le basi dell’astronomia moderna.

Oggi noi sappiamo che queste misteriose apparizioni altro non sono che apocalittiche esplosioni stellari; possiamo avere esplosioni parziali chiamate ‘novae’ (dal latino ‘nuove’) durante le quali la stella si libera solamente dei suoi strati superficiali ed esplosioni totali denominate ‘supernovae’ durante le quali quasi tutta la stella si autodistrugge.

Come è facile immaginare le supenovae sono estremamente più luminose delle novae; è ormai definitivamente assodato che le stelle ospiti del 1006, 1054, 1181, 1572 e della seguente del 1604 furono supernovae.

Inoltre queste esplosioni lasciano dei residui sotto forma di nubi o di filamenti di gas e materia in espansione. Per esempio nel punto dove apparve la supernova del 1054 ora splende una nebulosa, la famosa Crab Nebula (Nebulosa del Granchio), che si sta espandendo alla velocità di mille chilometri al secondo. Se non fosse per la presenza di questo spettacolare fossile avremmo potuto anche pensare che l’apparizione del 1054 potesse essere stata soltanto una suggestiva favola orientale.

Ebbene è stato recentemente annunciato (Marzo 2003) che alcuni astronomi hanno determinato la distanza della supernova del 1006 e di conseguenza la luminosità raggiunta nel momento del massimo splendore.

Oggi tutto ciò che rimane di quell’antica catastrofe è un debole guscio sferico in espansione largo mezzo grado. Il residuo della supernova fu individuato per la prima volta nel 1965 grazie alla sua emissione radio mentre nel 1976 venne individuata una componente di raggi X; in quello stesso anno vennero anche rivelati alcuni deboli filamenti osservabili in luce visibile.

P. Frank Winkler (Middlebury College) e due suoi collaboratori hanno studiato alcune immagini digitali ottenute nel 1987, 1991, 1998 e 2002 per cercare di determinare la velocità angolare con la quale si sta oggi espandendo ciò che resta della supernova. Secondo queste misure il guscio si sta espandendo con una velocità di 0,28 secondi d’arco all’anno mentre altri astronomi avevano trovato, con mezzi spettroscopici, una velocità lineare pari a 2.900 chilometri al secondo. Dal confronto di questi due valori si trova la distanza della supernova che risulta essere a cavallo dei 7.100 anni luce.

Nota la distanza siamo finalmente in grado di fornire una risposta ad una vecchia domanda: quale fu la luminosità dell’antica supernova del 1006?

Alcune evidenze osservative forniscono l’indicazione che essa fu una supernova moto particolare che gli astronomi chiamano di ‘tipo Ia’(uno a); questa classe di supernovae ha una caratteristica molto importante: la luminosità intrinseca raggiunta nel momento del massimo splendore è sempre la stessa ed è nota con precisione. Questo fa sì che le supernovae di tipo Ia siano degli eventi di straordinaria importanza poiché se, ad esempio, ne appare una in una lontana galassia dalla misura del picco di luminosità gli astronomi sono in grado di calcolare la distanza della supernova stessa e quindi della galassia che la contiene.

Nel nostro caso abbiamo a che fare con il problema opposto: determinata la distanza con altri metodi e nota la luminosità intrinseca si può ricavare la luminosità che la stella ebbe in cielo nel momento del massimo splendore.

I calcoli mostrano che la stella ospite della costellazione del Lupo raggiunse una magnitudine compresa fra –7,1 e –7,9, una luminosità dodici volte superiore a quella di Venere. Lo splendore non fu quindi così elevato come sembravano indicare le prime stime ma fu comunque tale da potere tranquillamente affibbiare alla supernova del 1006 il titolo di ‘stella più luminosa della storia’.

 

EPILOGO

Durante i quattro miliardi e mezzo di anni di vita del nostro pianeta numerosissime supernovae illuminarono il cielo; purtroppo non c’era nessuno in grado di registrare il fenomeno per poterlo tramandare alle generazioni future. Però abbiamo visto che il cosmo, almeno per un certo periodo di tempo, conserva i fossili di quelle antiche catastrofi.

In particolare la scoperta nella costellazione australe della Vela di alcuni deboli filamenti di materia in espansione e di una pulsar (una stellina estremamente piccola e compatta in rapidissima rotazione su se stessa che a volte può rappresentare un ulteriore residuo di supernova) indica che circa 12 mila anni fa una supernova esplose a soli 1.500 anni luce dalla Terra. Lo splendore della nuova stella dovette essere spaventoso, in grado di far impallidire anche la luminosissima supernova del 1006; stime attuali indicano una magnitudine pari a –10 cioè una luminosità leggermente inferiore a quella della Luna piena. Un secondo piccolissimo ma luminosissimo Sole si accese e illuminò per un certo tempo i giorni e le notti del nostro pianeta.

Un evento del genere è impossibile che non sia stato notato (a meno che un’epidemia di cecità generale avesse colpito tutte le creature del pianeta); sicuramente la videro i nostri antenati ma in quell’epoca si era ancora in piena preistoria, la Terra stava per uscire dal terzo e ultimo periodo della grande glaciazione Wurm e i primi bagliori di quella che noi chiamiamo civiltà sarebbero apparsi solo seimila anni più tardi.

Tutte le altre antichissime apparizioni, invece, si sono perse fra le nebbie e le pieghe del tempo.

 

Monografia n.88-2003/5


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