UCCELLI, MITI E STELLE
di Annalisa Ronchi

Lo spettacolo più grandioso apparso all’uomo fin da sempre è stato il cielo stellato, tanto che probabilmente l’astronomia può essere considerata la prima scienza della storia. Le spiegazioni dei fenomeni naturali, e quindi anche dei fenomeni astronomici, per i popoli antichi si confondevano con la religione e la mitologia: niente di più facile, infatti, considerare il Sole e la Luna come manifestazioni visibili di dei e le stelle come immagini meno palesi di eroi, animali od oggetti di uso più o meno quotidiano.

Nella maggior parte dei casi le stelle di una costellazione non hanno tra loro alcuna connessione reale, la loro distanza dalla Terra può essere notevolmente diversa ed è per semplice coincidenza che formano una specie di disegno ai nostri occhi. Le costellazioni moderne derivano da un elenco di 48, riconosciute dall’astronomo greco Tolomeo nel 150 a.C., elenco ampliato oggi a 88. Tra queste appaiono alcune rappresentazioni di uccelli, precisamente otto, delle quali solo quattro sono proprie dell’emisfero boreale: Aquila, Cigno, Colomba, Corvo (uccelli che da tempi remoti occupano un importante posto nella simbologia e nelle leggende).

Il re degli uccelli, l’Aquila, è presente in scritti antichissimi e sempre sotto valenze positive. Un testo babilonese, purtroppo conservatosi solo in forma frammentaria, narra dell’ascensione al cielo, alla ricerca della pianta della nascita, del re Etana sorretto da un’aquila. Sulle vetrate gotiche è dipinta mentre porta in alto i suoi piccoli, che ancora non sono in grado di volare, per insegnare loro a guardare la luce del Sole. Nella mitologia gallese l’aquila è legata a Lleu Llaw Gyffes, il dio della luce che prese tale forma per sfuggire all’imboscata tesagli dall’amante della moglie. Simbolo dell’Evangelista Giovanni e attributo abituale del profeta Elia asceso al cielo e del Cristo risorto, l’aquila mantiene nell’iconografia cristiana solo significati positivi (forza, rinnovamento, contemplazione, perspicacia, natura maestosa), che corrispondono a quelli che erano considerati gli attributi di Giove, il cui animale simbolo era appunto un’aquila.

La costellazione dell’Aquila, che risale all’antichità, si trova nella Via Lattea ed è una regione abbondante di novae (stelle vecchie che manifestano improvvisi e cospicui aumenti di luminosità, fino a 10.000 volte). La stella più brillante di Aquila, Altair, una stella bianca distante 16,1 anni luce, costituisce uno dei vertici del cosiddetto Triangolo Estivo, visibilissimo sopra le nostre teste appunto nei mesi estivi.

Il Cigno nell’antichità fu un importante simbolo animale. Il suo collo flessuoso e il piumaggio bianco ne hanno fatto l’immagine della purezza, ed è in questa forma che Giove sedusse l’innocente Leda.
È interessante che Omero ne lodi il canto, poiché i cigni erano pressoché sconosciuti nei paesi mediterranei e quelli in grado di cantare comparivano soltanto al Nord.
La mitologia irlandese abbonda di storie di cigni magici, i quali trascorrono parte della loro vita come uccelli e parte come fanciulle: la splendida storia d’amore di Oenghus e di Caer, le origini particolari di Cœ Chulainn e la fuga in volo degli amanti Midhir ed ƒtain contengono descrizioni di cigni magici che portavano catene d’oro e d’argento, evidentemente marchi della loro condizione soprannaturale. Una singolare valutazione negativa del cigno fu espressa nei bestiari medioevali, dove si sottolinea che l’animale, in contrapposizione con il suo candido piumaggio, ha carni completamente nere, raffigurando un’immagine di ipocrisia.

Cygnus rappresenta un cigno che spicca il volo dalla Via Lattea, la cui stella più brillante, Deneb, la coda, una supergigante bianco-azzurra distante 1800 anni luce, è uno dei vertici del già citato Triangolo Estivo, insieme con Altair dell’Aquila e Vega della Lira. Si trova in una regione particolarmente ricca della Via Lattea che, nelle notti buie, si può vedere divisa in due da una banda di polveri scure, chiamata Sacco di Carbone boreale o Fenditura del Cigno. In questa costellazione estiva si trovano alcuni tra gli oggetti più affascinanti, fra i quali una sorgente di raggi X, Cygnus X-1, che si pensa indichi la posizione di un buco nero e si trova nei pressi di h Cygni, e le nebulose Nordamerica, nube di gas luminoso di forma simile a quella del continente nordamericano e l’eterea nebulosa Velo.

Al Corvo si pensa in modo prevalentemente negativo, più di rado viene stimato per la sua docilità. Nei miti celtici i corvi, come mangiatori di carogne e con le loro piume nere, erano particolarmente legati alla morte e, con le loro “voci”, furono associati alle profezie. Si narra che le sue piume, originariamente bianche, furono oscurate dal dio Apollo adirato con un corvo portatore della notizia che l’amata Coronide gli fosse stata infedele. Il primo Cristianesimo rinfacciava al corvo di non avere informato Noè della fine del diluvio, diventando il simbolo di chi, dominato da smanie mondane, rinvia la propria conversione, ed esclama come il corvo cras, cras cioè “domani, domani”.

L’origine di questa debole costellazione risale al tempo dei Greci; nelle sue vicinanze, proprio al confine tra Corvus e Virgo, si trova la Galassia Sombrero, M 104, a spirale con un grande nucleo e una densa banda di polvere che la fanno assomigliare appunto ad un sombrero.

La Colomba, a partire dalle culture antiche, è un importante animale simbolico. Il carattere pacifico e delicato attribuito a questo uccello (in contrasto con il suo reale comportamento), ne ha fatto l’essenza della mitezza e dell’amore, e a volte del timore e della loquacità. Veniva contrapposta all’aquila e al corvo. Gli scultori medioevali la rappresentavano nelle cattedrali gotiche in associazione all’anima e come simbolo specifico dello Spirito Santo. L’istinto che l’aiuta a ritrovare il nido fu sfruttato per portare messaggi fin dall’antichità, in Egitto e in Cina.La costellazione rappresenta la colomba dell’arca di Noè, oppure la colomba mandata innanzi dagli Argonauti per passare incolumi tra le Simplegadi, le rocce mobili alla porta del Mar Nero.

È una costellazione recente, essendo stata inclusa nell’elenco solo nel 1679 e non contiene alcun oggetto interessante per i telescopi dei dilettanti.

Il Tedesco Johann Bayer introdusse dodici nuove costellazioni nel 1603 per sistemare le stelle dell’emisfero australe altrimenti non raggruppate e fra queste appaiono il Tucano, il Pavone, la Gru e l’Uccello del Paradiso.

Il Tucano, considerato il vero pagliaccio fra la gente alata, non può passare inosservato con i suoi colori vivaci ed il becco enorme; a riprova di ciò, furono tra i primi animali esotici che i conquistadores riportarono dal Nuovo Mondo come rare curiosità e in seguito, imbalsamati, fecero bella mostra di sé nelle Wunderkammen di tutta Europa. Secondo una leggenda creola, il tucano sarebbe un uccello estremamente religioso; per bere infatti è costretto ad immergere la punta del becco in acqua per poi scuoterlo in aria, mimando rozzamente il segno della croce.

Tucano è una costellazione vicino al polo sud celeste; i suoi oggetti più notevoli sono la piccola Nube di Magellano e l’ammasso globulare noto come 47 Tucanae.

Il Pavone, originario dell’India, era ritenuto in tutto l’Oriente, per il pomposo dispiegarsi a forma di ruota delle penne della sua coda, un simbolo del Cosmo o del Sole. Nel mondo occidentale era innanzi tutto il distruttore di serpenti, e si spiegavano i colori cangianti delle penne della coda con la capacità di tramutare il veleno in sostanza solare, mentre gli occhi erano considerati simbolo dell’onniscienza di Dio, ma a partire dal Medioevo fino a giungere ai giorni nostri, il pavone simboleggia la boria, il lusso e l’alterigia. Questa dualità si ritrova anche nel contesto iconografico dell’alchimia, in quanto la coda del pavone (cauda pavonis) in alcuni testi è il segno visibile del processo per cui sostanze vili si tramutano in sostanze superiori, in altri simboleggia invece il fallimento di un processo che lascia dietro di sé solo scorie (caput mortuum).

All’interno della costellazione del Pavone si può osservare, con un binocolo, il grande ammasso globulare NGC 6752 che copre quasi metà del diametro apparente della Luna.

L’Uccello del Paradiso in epoca barocca era simbolo di vicinanza a Dio e distacco dal mondo. Il suo antico nome, Paradisea apoda (cioè senza zampe) è dovuto al fatto che gli esemplari catturati venivano affumicati senza piedi e senza ossa e in questo modo giungevano in Europa, dove venivano ammirati con il nome di silfi, spiriti dell’aria, che si nutrivano di rugiada e rimanevano per tutta la vita sospesi nell’aria, lontani dall’impura terra. Solo nel XIX secolo, la ricerca zoologica eliminò questa credenza tanto misteriosa quanto assurda.

L’uccello del paradiso è una debolissima costellazione vicina al polo sud celeste senza oggetti particolarmente interessanti.

La gru, anticamente, era ammirata per la sua presunta capacità di volare senza mai stancarsi, e le sue ali servivano come amuleti contro la stanchezza. In Cina è un’immagine di longevità e della relazione tra padre e figlio, poiché il piccolo della gru risponde al grido dei genitori. Ritenuta, a seconda dei paesi, simbolo di saggezza o, al contrario, di falsità e malvagità, nel 1600 in Europa si leggeva: « ...di notte la gru un sassolino in gola/tiene prudentemente per non cadere inavvertitamente nel sonno» incarnando così il simbolo della vigilanza.

Nella Gru, le stelle d e m Gruis sono due bellissime doppie visibili a occhio nudo.

Per terminare si può fare riferimento ad un esemplare mitologico, la Fenice, l’uccello che risorge dalle proprie ceneri.

Si tratta di una insignificante costellazione introdotta sempre da Bayer nel 1603 in un’area che era nota agli arabi come la Barca, ormeggiata sulle rive del fiume Eridanus; in seguito questa figura venne interpretata come un’aquila o un grifone, sicché l’associazione di quest’area con un uccello era ben stabilita ai tempi di Bayer.

 

BIBLIOGRAFIA

 

Monografia n.31-1998/10


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