L'ASTRONOMIA E L'UNIFICAZIONE DELLE FORZE
di Claudio Zellermayer


Traiettorie di un proiettile

 

La fisica di Aristotele: il cielo e la Terra.

Quando l'umanità inizia il suo lungo cammino verso la conoscenza dei fenomeni naturali e, di fatto, nasce la fisica, uno studio del cielo già iniziava a profilarsi. Furono i Greci i primi a dedicarsi con sistematicità allo studio dei fenomeni celesti, naturalmente in un primo momento in chiave religiosa e successivamente in chiave scientifica. Nonostante tutto questo interesse per il cielo questo rimaneva sempre come un qualche cosa di assolutamente alieno alle faccende terrestri, tanto da conquistarsi il diritto di avere una fisica tutta per se. La fisica aristotelica si cura bene di dividere in modo netto fisica terrestre e celeste. La fisica terrestre per sua natura doveva essere imperfetta quindi suscettibile di fenomeni particolari mentre la fisica celeste, anche lei per sua natura, era perfetta, incorruttibile, eterna.

Naturalmente qualche piccola contraddizione era presente ma non disturbava più di tanto l’edificio aristotelico. I corpi celesti erano immutabili, immobili ed incorruttibili. Ogni alterazione di queste condizioni andava spiegata in termini di ingerenze tra la fisica terrestre ed il mondo sublunare. In questo contesto andavano spiegati fenomeni transitori come l’apparizione di comete, supernove, piogge di meteoriti. Certo è che la mancanza di strumenti ottici per le osservazioni non aiutava nessuno a smentire Aristotele e tutti i suoi seguaci che per secoli hanno mantenuto una totale egemonia in questo modo di interpretare la natura.

Il panorama inizia a mutare, presentando crepe sempre più grandi verso il ‘600 ad opera, in prima persona, da Galileo Galilei (1564 - 1642). Queste crepe iniziano con Galileo e non con Copernico perché Copernico, dal punto di vista della fisica, non attua nessuna rivoluzione. Il semplice spostamento dalla Terra al Sole del centro delle rotazioni, per stessa ammissione di Copernico, non voleva mutare la visione aristotelica della fisica ma solo dare un più soddisfacente modello di universo. Invece Galileo è il primo scienziato che si preoccupa di confutare la visione aristotelica del mondo operando misure.

Tutta la fisica aristotelica non aveva prodotto un solo esperimento né una sola misura. Galileo invece grazie alla sua mente inquieta intuisce la necessità di sperimentare, misurare e solo dopo enunciare considerazioni rispetto all’indagine scientifica.

 

Galileo osserva col cannocchiale i corpi celesti

Nel gennaio del 1610 Galileo osserva col suo cannocchiale, opportunamente adattato per l’astronomia, i primi corpi celesti. La sua più nota scoperta sono i quattro principali satelliti naturali di Giove, tuttavia è l’osservazione della Luna che lo porta ad una serie di considerazioni citate nel “Sidereus Nuncius”:

«... da osservazioni più volte ripetute siamo giunti alla convinzione che la superficie della Luna non è affatto liscia, uniforme ed esattamente sferica, come di essa e degli altri corpi celesti una vasta schiera di filosofi ha ritenuto, ma al contrario, diseguale, scabra, ricca di cavità, ricca di sporgenze non altrimenti che la faccia della stessa Terra ...»

In modo molto chiaro Galileo paragona la Luna, un corpo celeste e quindi incorruttibile, alla Terra, oggetto dalla fisica imperfetta. Non solo: nelle pagine successive al testo sopra citato Galileo con considerazioni legate alla fisica terrestre dimostra che la luminosità della Luna è dovuta proprio alle sue scabrosità e non certo ad una sua presunta levigatezza, come invece richiedeva la fisica aristotelica. Non è certo questo il luogo per citare e lodare il genio di Galileo, tuttavia è necessario citare un’altra categoria di studi galileiani che sono necessari in questo breve percorso verso l’unificazione delle forze della natura: lo studio della caduta dei gravi e delle traiettorie dei proiettili.

Un’altra delle caratteristiche della grandezza del genio galileiano è stata la sua capacità di pensare ad esperimenti ideali.

È facile mostrare ora nei moderni laboratori di fisica che sulla Terra tutti gli oggetti cadono con la stessa accelerazione, indipendentemente dalla loro massa: una piuma ed un martello, se lasciati cadere dalla stessa altezza, arriveranno a terra contemporaneamente. Ovviamente se si prova l’esperimento, il buon senso ci dice (e non si sbaglia) che il martello arriva per primo.

Affinché le cose vadano come ci insegna Galileo occorre che l’esperimento sia compiuto nel vuoto. Sulla Luna, durante una delle missioni Apollo un astronauta ha realizzato l’esperimento con successo. Galileo aveva intuito che il punto cruciale era l’assenza di attrito dovuto all’aria. In modo analogo, durante lo studio del moto dei proiettili Galileo aveva pure capito che se da una certa altura si spara un proiettile e simultaneamente si lascia cadere un oggetto questi due corpi arrivano a terra contemporaneamente.

Ancora una volta il senso comune può suggerirci che il proiettile sia il primo a toccare il suolo. Un normale testo di fisica per le scuole superiori mostra facilmente che sparare un proiettile ha come conseguenza solo il farlo arrivare più lontano rispetto alla verticale e non farlo arrivare prima. La velocità con cui si spara il proiettile è solo una condizione iniziale aggiunta che non altera la spiegazione dell’esperimento.

Quasi seguendo una continuità di intenti e di idee, il fisico inglese Isaac Newton (1642 - 1727) utilizzando il lavoro di Galileo è il vero artefice dell’unificazione della fisica del cielo e della Terra in un’unica fisica universale. La sua teoria della gravitazione ne è la sintesi.

Come arriva Newton a ciò?

Ancora una volta con un esperimento mentale. Newton immagina di porre su una alta montagna un cannone che spara proiettili via via più veloci, cioè con velocità iniziali sempre maggiori. Dall’esperimento di Galileo si è visto che tutto ciò avrà come conseguenza di aumentare la “gittata” ideale del cannone: il proiettile toccherà terra sempre più lontano dal cannone. Nell’esperimento mentale di Newton si può pensare che ad un certo punto la velocità con cui viene sparato il proiettile sia tale che questo non tocchi più terra e si ponga in orbita alla stessa quota della montagna compiendo un percorso circolare (col rischio, sempre ideale, di colpire gli artiglieri del cannone!). In pratica il proiettile pur obbedendo alla legge di caduta dei gravi e quindi cadendo continuamente sulla terra non la raggiungerà mai, a meno che non cambino le condizioni di partenza.

Questo appena descritto è il metodo con cui vengono messi in orbita i satelliti artificiali. Uno shuttle fa la parte della montagna, portando in quota il satellite che viene poi sparato ed inizia il suo percorso. Anche la Luna si comporta allo stesso modo: sta cadendo continuamente sulla Terra. Se si annullasse la forza di gravità, la Luna seguirebbe una traiettoria tangenziale alla sua orbita perdendosi nello spazio, se invece si annullasse la sua rivoluzione lei cadrebbe lungo la verticale, verso la Terra.

Da questo esperimento ideale Newton giunse alla conclusione che il corpo lasciato cadere, il proiettile e la Luna si comportano tutti allo stesso modo: cadono sulla Terra per effetto della gravità quindi una stessa causa (la gravità) spiega un fenomeno terrestre ed uno celeste. La fisica della Terra può essere usata per spiegare i moti dei corpi celesti, unificando in tal modo le due classi di fenomeni. In senso rigoroso questa non è una unificazione di forze della natura ma solo una unificazione di classi di fenomeni.

La nostra storia dell’unificazione delle forze della natura si sposta alla fine del secolo scorso quando il genio di James Clerk Maxwell (1831 - 1879) il più grande fisico teorico dell’800 scopre coi suoi studi teorici che i fenomeni elettrici, magnetici ed ottici sono tre aspetti diversi di una stessa situazione fisica: l’elettromagnetismo. Ancora una volta non è certo questo il luogo dove discutere di questa unificazione tuttavia qualche rapido accenno è necessario. I fenomeni elettrici e magnetici erano già noti ai fisici da molto prima di Maxwell, però inizialmente nessuno li aveva messi in relazione gli uni con gli altri. Solo verso l’inizio dell’800 il fisico danese Oersted aveva notato che un filo percorso da una corrente elettrica è in grado di far deviare l’ago di una bussola.

Verso la metà del secolo scorso il fisico sperimentale Michael Faraday aveva scoperto il fenomeno dell’induzione elettromagnetica: un campo magnetico variabile (una calamita in movimento) era capace di produrre una corrente in un circuito chiuso. Già si pensava ai fenomeni elettrici in termini di forze e proprio Maxwell introduce la nozione di campo di forze.

Solo la fisica teorica poteva mettere in relazione i campi elettrici e magnetici tramite una serie di quattro equazioni: le equazioni di Maxwell dell’elettromagnetismo. Una carica elettrica statica genera un campo elettrico che riempie lo spazio circostante. Una carica elettrica in moto, cioè una corrente elettrica, oltre ad un campo elettrico genera anche un campo magnetico. I campi elettromagnetici si propagano poi sotto forma di onde elettromagnetiche e la velocità di propagazione di tali onde è esattamente quella della luce. Maxwell inevitabilmente arrivò alla conclusione che anche la luce è un’onda elettromagnetica particolare dello spettro della radiazione elettromagnetica.

Dopo la morte di Maxwell il fisico tedesco Hertz fece un esperimento che dimostrava che la teoria di Maxwell era corretta: era possibile produrre altri tipi di onde elettromagnetiche che avevano le medesime caratteristiche delle onde luminose. Inoltre la propagazione delle onde elettromagnetiche doveva avvenire nel vuoto, iniziando in questo modo a creare crepe nella teoria dell’etere. L’etere era considerato il sistema di riferimento assoluto rispetto al quale tutti i corpi celesti si muovevano. La teoria di Maxwell indirizza la fisica di fine ottocento alla ricerca di questo sistema di riferimento che doveva riempire lo spazio interstellare e che doveva essere il mezzo di propagazione delle onde elettromagnetiche.

La mancanza di riscontri alla presenza dell’etere induce il giovane Einstein ad enunciare nel 1905 la teoria della relatività ristretta, teoria che ha come suo postulato principale la costanza della velocità della luce in tutti i sistemi di riferimento. La velocità della luce quindi è un limite invalicabile per le velocità.

Da queste premesse, nel 1916, sempre Einstein enuncerà la teoria della relatività generale ovvero una nuova teoria della gravitazione dove le grandi masse dei corpi celesti sono capaci di modificare la geometria dello spazio o meglio, dello spazio-tempo. La teoria della relatività generale diventa poi lo strumento principale ed indispensabile per la cosmologia moderna. Per qualsiasi tipo di modello cosmologico proposto per l’universo è indispensabile applicare la teoria della relatività generale.

Durante la prima metà di questo secolo i cosmologi teorici elaborano tutta una serie di modelli per descrivere la natura dell’universo, partendo dai dati osservativi, primo tra tutti l’espansione dell’universo, scoperta dall’astronomo americano Edwin Hubble verso la fine degli anni ‘20 durante il suo studio sulle velocità di allontanamento delle galassie. L’espansione osservata della materia dell’universo crea i presupposti per la teoria del Big Bang del 1948 ad opera di George Gamow e collaboratori.

La teoria del Big Bang è uno degli argomenti di astrofisica più noti a tutti. Se è osservata un’espansione delle galassie allora si può pensare che in epoche remote la materia fosse più costipata cioè fosse costretta in un volume più piccolo. Portando all’estremo questo ragionamento si può pensare che tutta la materia potesse trovarsi condensata in una regione piccolissima di spazio e che per un motivo ignoto ci sia stata una esplosione che avrebbe dato vita all’espansione che oggi si osserva.

La teoria del Big Bang ha mostrato una sua validità solo nel momento in cui la fisica delle particelle cioè dell’infinitamente piccolo, ha dato risposte sul comportamento della materia nelle condizioni di pressione, densità e temperatura che si avevano al momento del Big Bang. Quasi tutte le evidenze osservative a livello cosmologico sono previste dalla teoria del Big Bang. Questa teoria però presenta dei problemi quando si va ad analizzare cosa è successo nel primo centesimo di secondo dopo l’esplosione. Certamente ci si potrebbe contentare di sapere tutto dal primo centesimo in poi, ma la scienza per sua natura deve cercare il più possibile di dare risposte agli interrogativi che la natura ci pone. Per cercare di capire cosa sia successo in quel primo centesimo di secondo gli astrofisici hanno bisogno dell’aiuto dei fisici delle particelle proprio perché la materia, se si può chiamare così, si trovava in condizioni tali che la sua natura può essere svelata solo dai fisici che studiano l’infinitamente piccolo. Qui riprendiamo il nostro cammino dell’unificazione delle forze.

In natura quando si va ad analizzare bene il carattere delle forze che agiscono si scopre che si possono distinguere ben quattro tipi di forze che si mostrano a noi in modi ben diversi per intensità e per le entità fisiche che sono coinvolte.

La più presente di tutte è la forza gravitazionale ben descritta nella teoria della gravitazione di Newton.

Tale forza è solo attrattiva e coinvolge le masse. Due corpi qualsiasi a causa delle loro masse (non del peso) si attraggono con una forza proporzionale al prodotto delle masse ed inversamente proporzionale alla seconda potenza delle distanze. In pratica se noi allontaniamo due masse la loro forza gravitazionale calerà di quattro volte se la distanza raddoppia, di nove volte se la distanza triplica e così via. Nessun corpo si respingerà per sola forza di gravità. Altro discorso invece per le forze elettromagnetiche, che come abbiamo visto erano già state unificate da Maxwell. Le cariche elettriche possono attrarsi o respingersi a seconda del loro segno. Gli elettroni sono particelle cariche negativamente mentre i protoni hanno carica positiva. Due protoni o due elettroni (stessa carica) si respingono mentre un protone ed un elettrone si attraggono. Sebbene le forze elettromagnetiche abbiano, se paragonate alla gravità, un’intensità decisamente superiore, noi non veniamo distrutti dalle forze elettriche perché la materia è elettricamente neutra. In natura le cariche positive e negative sono praticamente in ugual numero. Le forze elettromagnetiche possono essere schermate mentre la forza gravitazionale no.

Le altre due forze mancanti all’appello sono legate alla natura atomica della materia. Elettroni e protoni insieme ai neutroni (particelle senza carica) formano gli atomi e gli atomi formano noi.

Il nucleo di un atomo è formato da protoni e neutroni. Come fanno i protoni a stare insieme?

In base al discorso precedente queste particelle dovrebbero respingersi tra loro, cosa che tentano di fare. Tuttavia all’interno del nucleo dell’atomo agisce una forza detta “nucleare forte” che riesce a tenere vicini, contro la loro volontà, i protoni. Tale forza, per quanto intensa sia non ha un raggio d’azione consistente. Per questo motivo gli elettroni che orbitano attorno al nucleo non sentono l’azione di questa forza.

Poi esiste un’altra forza detta “nucleare debole” che però coinvolge processi che non hanno nessun riscontro astronomico.

Tuttavia verso gli anni ‘70 un gruppo di fisici mostrò che alle alte energia (raggiunte negli acceleratori di particelle) sia la forza nucleare debole che la forza elettromagnetica sono due aspetti della stessa forza chiamata da allora “elettrodebole”. Nel momento in cui l’energia in gioco diminuisce la forza elettrodebole assume i due aspetti sopra enunciati. Questa scoperta, che valse il nobel ai tre fisici che ne furono i padri, indirizzò la fisica teorica verso il tentativo di unificare anche le altre forze della natura. Nei primi attimi di vita dell’universo le condizioni fisiche della materia (temperatura, pressione, densità) dovevano essere tali da consentire questa unificazione. La forza elettrodebole e la forza nucleare forte dovrebbero essere a loro volta aspetti di una medesima forza.

Questa ulteriore unificazione chiamata in sigla GUT (Great Unification Theory, teoria della grande unificazione) sarebbe alla base del “modello inflazionario”.

Il modello inflazionario è di fatto una teoria astrofisica che permetterebbe di rendere conto di tutti, o quasi, i problemi lasciati aperti dalla teoria del Big Bang che, come accennato prima, non è in grado di dire come era l’universo nel suo primo centesimo di secondo di vita.

Ancora una volta non può essere certamente questo il luogo dove fare anche solo dei cenni sul modello inflazionario. Il livello di speculazione teorica a cui si spingono tali prodotti della mente non solo sono tremendamente complicati ma, date le energie in gioco nei processi teorizzati, dal punto di vista sperimentale non potranno mai essere verificati. Il nostro discorso si ferma qui anche se manca ancora una unificazione: la GUT con la forza gravitazionale. Per ora i fisici teorici, al riguardo di questa unificazione, sono ancora, come si dice, in alto mare.

 

Monografia n.39-1999/7


Torna alla Home Page di Testi & Trattati