ALLA SCOPERTA DELL’ANTIMATERIA
di Marco Marchetti


Ritratto di Paul Dirac, tracciato del positrone e la macchina della PET

 

Introduzione

la foresta a TunguskaTunguska è una località che si trova nel cuore della Siberia.
Il 30 maggio 1908 fu teatro di un evento apocalittico, una spaventosa esplosione che causò l’abbattimento di sessanta milioni di alberi su una superficie di più di duemila chilometri quadrati.
L’onda d’urto fu talmente potente da sollevare da terra e spostare di qualche metro un testimone oculare situato a sessantacinque chilometri di distanza e fece deragliare alcuni vagoni di un convoglio ferroviario che procedeva sulla transiberiana a seicento chilometri di distanza.

In un primo momento si pensò alla collisione fra la superficie terrestre e un corpo proveniente dallo spazio ma l’assenza di un qualsiasi cratere da impatto rilevata dalle spedizioni scientifiche che, a partire dal 1927, si avventurarono in quella sperduta località, fece cadere questa ipotesi.
Per molti anni l’evento di Tunguska rimase un mistero e in quel vuoto lasciato dalla scienza trovarono spazio le più fantasiose teorie. C’è chi parla dell’esplosione di un’astronave extraterrestre, c’è chi parla di un mini buco nero che avrebbe attraversato il nostro pianeta da parte a parte, c’è chi parla dell’impatto con un grumo di antimateria.

L’antimateria è stata portata alla ribalta dal film Angeli e demoni tratto dall’omonimo romanzo di Dan Brown con la regia di Ron Howard. Nel film una certa quantità di antimateria viene trafugata dai laboratori del Cern di Ginevra e con essa viene costruita una bomba con la quale si intende far saltare per aria il Vaticano.
Ma quanto è realistica un’ipotesi del genere?
E che dire della possibilità di utilizzare l’antimateria per soddisfare i crescenti bisogni di energia del pianeta, ipotesi che trova sempre più spazio nei mass media? E, visto che ci siamo, è davvero concreta la possibilità che il cataclisma di Tunguska sia stato causato da un pezzo di antimateria?

La risposta a queste domande arriverà spontaneamente non appena avremo compreso la vera natura dell’antimateria.

 

Materia e atomi

schema semplificato dell'atomoTutta la materia che ci circonda, dalle più remote galassie a quella che costituisce i nostri corpi, è formata da atomi.
Un atomo può essere immaginato (ma solo immaginato!) come un piccolo sistema solare in miniatura.
Al centro troviamo un piccolissimo nucleo attorno al quale ruotano, come tanti piccoli pianeti, alcuni corpuscoli dotati di carica elettrica negativa che si chiamano elettroni. Il nucleo è composto da due tipi di particelle: i protoni, dotati di carica elettrica positiva e i neutroni sprovvisti di carica elettrica.
In condizioni ordinarie il numero di protoni presenti nel nucleo uguaglia quello degli elettroni che gli ruotano attorno; di conseguenza l’atomo è elettricamente neutro.
L’atomo è la parte più piccola in cui si può suddividere la materia senza che questa perda la propria identità. Ciò vuol dire che, ad esempio, un atomo di ferro è diverso da un atomo di piombo ma le particelle che compongono i due atomi (elettroni, protoni e neutroni) sono indistiguibili fra loro.

Quando si parla si atomi bisogna stare molto attenti poiché si parla di entità veramente molto piccole.
Le dimensioni di un atomo di idrogeno si aggirano intorno al decimiliardesimo di metro mentre le dimensioni di un singolo protone si aggirano intorno al milionesimo di miliardesimo di metro.

Attraverso meccanismi sui cui non indaghiamo gli atomi si aggregano per formare molecole le quali, a loro volta, si aggregano per formare le sostanze di cui è composto il mondo che ci circonda; ad esempio, due atomi di idrogeno e uno di ossigeno si combinano fra loro e formano una molecola di acqua.

 

Previsione e scoperta dell’antimateria

Questo patrimonio di conoscenze è molto recente.
L’elettrone fu scoperto nel 1895 da John J. Thomson (1856 - 1940), l’esistenza di un nucleo atomico fu scoperta nel 1909 da Ernest Rurtherford (1871 - 1937) e l’esistenza del neutrone fu accertata solamente nel 1932 da James Chadwick (1891 - 1974).

ritratto di John J. Thomson (1856 - 1940) ritratto di Ernest Rurtherford (1871 - 1937) ritratto di James Chadwick (1891 - 1974)

Fin dai primi anni venti del secolo scorso era ormai evidente che le leggi che governano il nostro mondo sono inapplicabili al mondo degli atomi, cioé nel mondo dell’infinitamente piccolo. Per esempio, grazie alle leggi della Gravitazione Universale, scoperte da Isaac Newton (1642 - 1727), è possibile descrivere e prevedere con estrema precisione il movimento di un pianeta intorno al Sole; se applicassimo le leggi di Newton per descrivere il comportamento di un elettrone intorno al nucleo di un atomo troveremmo dei risultati in completo disaccordo con le osservazioni.

ritratto di Erwin Schrodinger (1887 - 1961)Il mondo dell’infinitamente piccolo è molto diverso dal mondo cui siamo abituati; la disciplina che descrive ciò che accade nel mondo degli atomi si chiama meccanica quantistica.
La meccanica quantistica nacque e cominciò a svilupparsi a partire dai primi anni del secolo scorso.

Nel 1925 il fisico austriaco Erwin Schrodinger (1887 - 1961) presentò una teoria in grado di descrivere il comportamento di un elettrone nel suo movimento attorno al nucleo.
L’equazione di Schrodinger è una pietra miliare della meccanica quantistica ma soffre di due grosse limitazioni; in primo luogo non è in grado di predire correttamente ciò che accade quando l’elettrone si muove con velocità paragonabili a quella della luce. Inoltre la teoria non riesce s descrivere una delle proprietà basilari dell’elettrone: lo spin. L’elettrone ruota su se stesso come un piccola trottola; questa caratteristica si chiama spin.

ritratto di Paul Adrien Maurice Dirac (1902 - 1984)È in questo contesto che entra in scena colui che è universalmente considerato il padre dell’antimateria: il fisico britannico Paul Adrien Maurice Dirac (1902 - 1984). Dirac era una persona chiusa, introversa e di poche, pochissime parole; probabilmente si trovava più a suo agio con i numeri piuttosto che con le persone e in effetti Dirac era dotato di uno straordinario talento matematico. C’è un curioso aneddoto che illustra molto bene il carattere del grande scienziato.

Durante una conferenza che stava tenendo presso l’Università di Toronto, Dirac fu interrotto da uno dei presenti il quale molto cortesemente gli disse: « Non capisco come ha dedotto la formula scritta sulla lavagna ».
Dirac si limitò a fissarlo in silenzio e dopo qualche imbarazzante minuto l’organizzatore dell’incontro chiese a Dirac come mai non rispondesse alla domanda. Dirac molto candidamente replicò « Quella che lei ha espresso non è stata una domanda; è stata un’affermazione ».

Dirac si propose di formulare una teoria in grado di descrivere il comportamento dell’elettrone in qualsiasi condizione.
Il lavoro si concluse nel 1928 con la pubblicazione dell’equazione che porta il suo nome; l’equazione di Dirac è in grado di spiegare il comportamento dell’elettrone in qualsiasi condizione ed è in grado di descriverne correttamente le caratteristiche, spin compreso. Ed ecco la sorpresa: prevede l’esistenza di un’altra particella identica in tutto e per tutto all’elettrone ma di carica l’equazione di Dirac oppostapositivamente venne dato il nome di antielettrone o positrone.. A questo elettrone carico

Va sottolineato il fatto che non siamo davanti alla scoperta di una nuova particella; siamo di fronte solamente alla previsione teorica della sua esistenza. Che poi il positrone esista veramente o no, è un altro paio di maniche.
Nello stesso modo in cui la teoria della Gravitazione Universale prevede che l’orbita di un pianeta sia ellittica e non circolare (previsione poi confermata sperimentalmente), l’equazione di Dirac prevede l’esistenza del positrone. Le previsioni della teoria di Dirac furono accolte con curiosità e scetticismo; dopo tutto il positrone non l’aveva ancora visto nessuno e la domanda più frequente alle conferenze era sempre la stessa: dov’è il positrone?
ritratto di Carl David Anderson (1905 - 1991)
Dirac era alquanto infastidito da domande di questo genere che lui riteneva di secondaria importanza rispetto alla bellezza e all’eleganza matematica della sua teoria. Una volta rispose piuttosto seccato che il positrone poteva benissimo essere il protone; risposta palesemente assurda poiché Dirac sapeva benissimo che il protone ha, sì, carica elettrica positiva ma è quasi duemila volte più pesante dell’elettrone.

Per fortuna questo stato di cose era destinato a durare molto poco.

Nel 1932 il fisico statunitense Carl David Anderson (1905 - 1991) era impegnato in uno studio sui raggi cosmici che oggi noi sappiamo essere un flusso di particelle provenienti dallo spazio. Rimase colpito da una traccia lasciata nel suo rivelatore da una particella identica ad un elettrone; la stranezza consisteva nel fatto che la traiettoria della particella nel rivelatore si incurvava nel verso sbagliato, come se la carica della particella fosse positiva.
ritratto di Robert Andrews Millikan (1868 - 1953)
Piuttosto incuriosito né parlò con il suo professore, l’ormai anziano e illustre Robert Andrews Millikan (1868 - 1953), il quale cercò di convincere il suo giovane allievo che lo strano evento osservato poteva spiegarsi supponendo che la particella incriminata fosse un elettrone che, anziché muoversi dall’alto verso il basso, si muoveva in senso opposto, cioè dal basso verso l’alto; in questo modo la curvatura della traiettoria ritornava ad essere quella caratteristica di un elettrone.

Anderson non si lasciò convincere e fu la sua fortuna; per verificare l’esatta provenienza della particella mise all’interno del rivelatore una lastra di piombo di modo da rallentare la particella e aumentarne di conseguenza la curvatura della traiettoria. Di lì a poco Anderson riuscì a catturare un’altra particella sospetta ma questa volta non c’era alcun dubbio: la particella si muoveva dall’alto verso il basso ed aveva tutte le sembianze di un elettrone dotato di carica elettrica positiva.

Alla fine il positrone era rimasto casualmente intrappolato in una rete che il giovane Anderson aveva teso per tutt’altri scopi.
La scoperta del positrone fu un trionfo per le teorie di Dirac e anche per Anderson; inutile dire che furono entrambi premiati con il premio Nobel per la fisica.

 

Dov’è l’antimateria ?

L’equazione di Dirac non si applica solamente all’elettrone ma è valida per moltissime altre particelle. Ciò significa è che per ogni particella per cui è valida l’equazione di Dirac deve esistere una controparte identica in tutto e per tutto tranne che per la carica elettrica; queste nuove particelle furono chiamate antiparticelle e il loro insieme costituisce l’antimateria.

Ai tempi di Dirac le uniche particelle note erano protone ed elettrone; oggi se ne conoscono molte di più e le previsioni di Dirac sono state puntualmente verificate. Per esempio, oggi noi sappiamo che protoni e neutroni non sono particelle elementari ma sono formate da triplette di entità fondamentali chiamate quark. Esistono sei tipi di quark: up, down, strange, charm, top, bottom; ebbene per ogni tipo di quark esiste il corrispondente antiquark. Ora nulla vieta che triplette di antiquark possano combinarsi fra loro per formare antiprotoni e antineutroni i quali, a loro volta, possono aggregarsi per formare nuclei di antiatomi; se poi aggiungiamo i positroni ecco che abbiamo degli antiatomi completi.

A questo punto ci accorgiamo che la domanda "Dov’è il positrone?", che tanto infastidiva Dirac, non è affatto superata.
Più in generale è lecito chiedersi: Dov’è l’antimateria? Perché non siamo circondati dall’antimateria oltre che dalla materia?

La spiegazione è molto semplice: materia ed antimateria non vanno per nulla d’accordo.
Quando una particella (per esempio un elettrone) incontra la sua antiparticella (il positrone) accade qualcosa di catastrofico: le due particelle si autodistruggono liberando un fiotto di energia che viene trasportato via da una coppia di raggi gamma. Questo fenomeno di mutuo annientamento si chiama annichilazione (dal greco nihil, nulla). È possibile anche il fenomeno opposto: in certe condizioni energia allo stato puro può materializzarsi sotto forma di una coppia elettrone-positrone; il positrone avrà vita brevissima poiché si annichilerà con il primo elettrone che incontrerà sul suo cammino.

Si capisce allora che un mondo composto di materia come il nostro è un posto molto ostile per l’antimateria; infatti in natura l’antimateria non esiste in forma stabile. Particelle di antimateria possono occasionalmente crearsi in alcuni processi nucleari ma hanno vita brevissima: si annichilano con la prima particella che incontrano.

 

Produzione e confinamento dell’antimateria

I positroni scoperti da Anderson si producono dall’interazione fra i raggi cosmici e le particelle dell’atmosfera terrestre. Un altro fenomeno naturale in cui si producono positroni è il decadimento beta in virtù del quale all’interno degli atomi di alcuni materiali instabili un protone si trasforma in un neutrone e la carica positiva in eccesso viene trasportata da un positrone. Abbiamo appena visto, però, che i positroni creati in questo modo hanno vita brevissima; in un mondo composto esclusivamente da materia l'antimateria non ha vita facile. Se si vuole studiare in dettaglio, l'antimateria deve essere prodotta artificialmente e poi deve essere conservata, cioè confinata, per un tempo che sia il più lungo possibile.

Il confinamento dell'antimateria è un problema molto complesso poiché dovrebbe essere chiaro che le pareti dell'eventuale contenitore non possono essere costituite da materia; se così fosse vi sarebbe un'immediata annichilazione. Si capisce allora che l'antimateria va confinata in contenitori con pareti immateriali, cioè costituite da campi di forza.

Per scopi di studio, l'antimateria viene prodotta negli acceleratori di particelle che sono apparati molto complessi (e anche molto costosi!) in cui fasci di particelle di varia natura vengono convogliati in tunnel sotterranei e gradualmente accelerati. Al momento opportuno le particelle che compongono il fascio vengono fatte collidere frontalmente con altre che provengono dalla direzione opposta; dall'energia liberata in queste collisioni possono emergere coppie di particelle e antiparticelle (per esempio protoni e antiprotoni). Le antiparticelle devono essere immediatamente separate dalla materia (pena l'immediata annichilazione); per far ciò vengono convogliate in un tunnel secondario, all'interno del quale è stato precedentemente fatto un vuoto molto spinto, e costrette a girare in circolo da potenti magneti. L'impossibilità di realizzare un vuoto perfetto fa sì che il tempo di confinamento sia comunque molto limitato.

 

L’asimmetria cosmica fra materia e antimateria

Abbiamo detto e ribadito che in natura l’antimateria non esiste in forma stabile. Però ciò che vale sulla Terra non è detto che valga per l’intero universo; in altre parole potrebbe esistere qualche regione più o meno remota composta di antimateria. Dopotutto abbiamo visto che nulla vieta l’aggregazione di antiparticelle in antiatomi i quali potrebbero dare vita ad antimondi eventualmente abitati da antiuomini.

Se nell’universo esistono regioni di spazio composte da antimateria nelle zone di confine con le regioni composte di materia dovrebbero essere presenti numerosi fenomeni di annichilazione. Ora l’annichilazione fra materia e antimateria lascia una firma ben precisa: l’emissione di raggi gamma che sono facilmente individuabili. Ora nulla di ciò è mai stato osservato; possiamo così concludere che l’universo osservabile è composto di materia al di là di ogni ragionevole dubbio. Di sicuro è composto di materia il sistema solare e tutti i corpi che lo compongono dato che molti di essi sono stati visitati da sonde automatiche e non è stato osservato alcun fenomeno di annichilazione.

E a questo punto la vecchia domanda « Dov’è l’antimateria?», che ci ha accompagnato durante il nostro viaggio, torna di nuovo alla ribalta in una forma un po’ modificata: «Perché l’universo è composto esclusivamente di materia?».

A questa domanda non è ancora stata data una risposta precisa. Materia e antimateria furono create in grandissime quantità subito dopo il Big Bang che, secondo le più recenti stime, avvenne circa tredici miliardi e settecento milioni di anni fa. Subito dopo l’antimateria si annichilò con la materia e scomparve nel corso di un fenomeno che è stato chiamato Grande Annichilazione. Dirac era convinto che fra materia e antimateria dovesse esistere una simmetria totale ma, se così fosse, materia e antimateria dovrebbero essere state create in quantità esattamente uguali e dopo la Grande Annichilazione l’universo si sarebbe ritrovato completamente vuoto e noi non saremmo qui a discuterne.

Da ciò si deduce che, durante le primissime fasi di vita dell’universo, entrarono in gioco uno o più meccanismi in grado di creare un piccolo eccesso di materia rispetto all’antimateria; gli scienziati hanno stimato che per ogni dieci miliardi di antiprotoni furono creati dieci miliardi e uno protoni. Questo piccolissimo eccesso di materia sopravvisse alla Grande Annichilazione ed è ciò che oggi compone i cento miliardi di galassie presenti nell’universo osservabile.

Il problema è noto con il nome di asimmetria cosmica fra materia e antimateria; la natura dei meccanismi che innescarono questa asimmetria è ancora sconosciuta.

 

Epilogo

L’antimateria, un tempo molto abbondante, scomparve dal nostro universo più di tredici miliardi di anni fa e da allora non è più ricomparsa, se non nelle effimere forme di cui abbiamo già parlato.

A questo punto dovrebbe essere chiaro che l’utilizzo dell’antimateria per la realizzazione di ordigni esplosivi è un’impresa molto ardua, praticamente impossibile (almeno rispetto alle conoscenze attuali). Per realizzare una bomba bisogna in primo luogo procurarsi, cioè produrre visto che in natura non esiste in forma stabile, l’antimateria e poi confinarla per un tempo che può essere anche molto lungo; infatti una bomba deve esplodere nel luogo e nel momento che decidiamo noi altrimenti c’è il rischio che ci scoppi fra le mani. Abbiamo visto che la produzione di antimateria avviene in grandi laboratori dotati di complesse e costose apparecchiature; a tutt’oggi sono state prodotte quantità irrisorie di antimateria al costo di decine di milioni di dollari. Il problema del confinamento è ancora più complicato di quello della produzione; abbiamo visto che si riescono a confinare solo poche decine di antiparticelle per brevissimi periodi di tempo. Se proprio si vuole costruire una bomba meglio ripiegare sul vecchio tritolo molto più facile da reperire, da maneggiare, da confinare e in grado di provocare altrettanti danni.

Per quanto riguarda l’utilizzo dell’annichilazione materia-antimateria per produrre energia, valgono le stesse considerazioni.
In questo caso, però, c’è un’ulteriore complicazione.
Supponiamo per un istante di aver risolto il problema della produzione e del confinamento dell'antimateria; a questo punto potremmo pensare di produrre antimateria, farla annichilare con una corrispondente quantità di materia e sfruttare l’energia così liberata. E proprio qui nasce un grosso problema: per produrre antimateria occorre energia e l’energia recuperabile dal processo di annichilazione è, nella migliore delle ipotesi, la stessa che abbiamo impiegato per il processo di produzione.
Ci troviamo nelle stesse condizioni di un venditore di automobili il quale, dopo avere acquistato un’autovettura dalla casa madre al costo di 15.000 euro, la mette sul mercato e non ha alcuna speranza di ricavarci più di 15.000 euro. Meglio che cambi mestiere.
Per la produzione di energia meglio continuare a fare affidamento sui combustibili fossili e sull’uranio che, da solo, è in grado di soddisfare le esigenze dell’umanità per molte migliaia di anni.

E Tunguska?
Credo che ogni commento aggiuntivo sia superfluo. A Tunguska può essere successo di tutto fuorché l’impatto con un frammento di antimateria.

Oggi prevalgono due ipotesi: l’impatto con un meteorite che sarebbe esploso in atmosfera (ciò spiegherebbe l’assenza di un cratere) oppure l’impatto con il nucleo di una piccola cometa che, essendo composto prevalentemente da ghiaccio, si sarebbe disgregato senza lasciare tracce evidenti.

 

Spunti per ulteriori approfondimenti . . .

 

Appendice A – L’equivalenza fra massa ed energia

Una delle conseguenze più spettacolari della teoria della relatività ristretta, pubblicata da Albert Einstein (1879 - 1955) nel 1905, è l’equivalenza fra materia ed energia. Secondo la relatività materia ed energia non sono due entità distinte ma sono le due facce della stessa medaglia ed è possibile passare indistintamente da una forma all’altra. In altre parole vi sono fenomeni in cui è possibile la liberazione, in tutto o in parte, dell’energia racchiusa nella materia oppure la creazione di materia a partire da energia allo stato puro.

Ciò è mirabilmente sintetizzato nella famosissima formula E = mc2; questa relazione, di cui quasi tutti hanno sentito parlare, ci indica che la materia può essere convertita in energia (e viceversa) e che il tasso di cambio fra materia ed energia è il quadrato della velocità della luce nel vuoto (299.792,458 km/s), cioè un numero grandissimo.
Si vede allora che la materia è un formidabile serbatoio di energia; infatti anche in una piccolissima porzione di materia è immagazzinata una grandissima quantità di energia. Per esempio, dalla conversione completa di un grammo di materia in energia si ottengono 90.000 miliardi di joules che è l’energia ricavabile dalla combustione di 3.200 tonnellate di carbone di buona qualità o di 2.200 tonnellate di olio combustibile.

L'annichilazione fra materia e antimateria è un classico esempio di conversione di materia in energia mentre la creazione di materia e antimateria che avviene negli acceleratori di particelle è un esempio di conversione di energia in materia.

L'annichilazione è un processo di produzione di energia estremamente efficiente poiché consente di liberare tutta l'energia immagazzinata sotto forma di materia. Per farsi un'idea ricordiamo che la fissione nucleare, il processo che sta alla base del funzionamento delle centrali nucleari e delle bombe atomiche, e la fusione nucleare, il processo che sta alla base del funzionamento del Sole e delle bombe H, consentono di liberare solo una piccolissima percentuale dell'energia contenuta nella materia che partecipa al processo di fissione o di fusione.

 

Appendice B – La tomografia ad emissione di positroni

Schema della La tomografia ad emissione di positroni (PET)

La tomografia ad emissione di positroni (PET, dall'inglese Positron Emission Tomography) è una tecnica di medicina nucleare che consente di localizzare all'interno del cervello o di altri organi la concentrazione di una sostanza, somministrata in precedenza al paziente, marcata con un radioisotopo in grado di emettere positroni.
Il positrone emesso ha vita brevissima poiché incontra subito un elettrone e si annichila emettendo due raggi gamma con la stessa energia (511 Kev) che si propagano in direzioni opposte. Grazie al fatto che questi fotoni sono originati nello stesso istante e hanno la stessa energia possono venire facilmente rilevati da particolari appar

ecchiature (i tomografi PET-CT) ed è quindi possibile identificare con la massima precisione il punto in cui si sono originati.

Vediamo di capire meglio come vanno le cose. Quando pensiamo le varie parti che compongono il nostro cervello lavorano con intensità diverse. L'energia per alimentare queste attività viene fornita dagli zuccheri presenti nel sangue; se si riesce a misurare la concentrazione degli zuccheri all'interno del cervello si è in grado di ottenere un'indicazione sull'attività di questo organo. Per far ciò al paziente si somministrano, per via endovenosa, piccole quantità di desossiglucosio combinato con il fluoro-18; il fluoro-18 è un elemento radioattivo in grado di emettere positroni. Questa sostanza, denominata FDG (FlouroDeoxyGlucose), si comporta esattamente come il glucosio e si accumula in misura maggiore in certe condizioni che possono anche indicare l'insorgenza di patologie come i tumori. Grazie alla PET è possibile seguire il percorso del tracciante nel corpo del paziente e, in seguito, all'interno dell'organo che si vuole esaminare. I punti in cui avvengono le annichilazioni dei positroni, che indicano la posizione del tracciante, possono essere elaborati al computer per ottenere precise immagini sulla funzionalità dell'organo preso in esame.

La PET si sta affermando sempre più in campo oncologico, neurologico e cardiologico. Viene effettuata per seguire le varie attività fisiologiche del cervello, del cuore e nello studio dei tumori del fegato, della mammella e del pancreas. Grazie alla PET è possibile ottenere immagini tridimensionali indicanti le dimensioni e l'eventuale diffusione dei tumori le quali sono di grande aiuto nel momento in cui bisogna decidere quale terapia adottare. Inoltre è possibile verificare run-time l'efficacia della cura per capire se è opportuno portarla avanti oppure sospenderla.

La PET può essere di aiuto anche nella diagnosi di forme depressive nelle persone anziane, dei problemi di memoria legati all'età e del morbo di Alzheimer.

 

Monografia n.122-2012/1


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