L'ASTRONOMIA DEI POPOLI CENTROAMERICANI
di Claudio Zellermayer


La canoa celeste, scolpita su due ossi che sono stati trovati nella tomba 116 di Tikal. L’imbarcazione, che rappresenta la Via Lattea,
conduce il Dio del mais al centro dell’Universo nella notte della creazione del mondo (13 agosto 3114 a.C.)

 

Introduzione

Da sempre nella storia dell’umanità l’astronomia ha avuto un ruolo di primaria importanza. Spesso si può annoverare l’astronomia come una delle prime scienze dell’uomo senza peccare di troppa presunzione. L’osservazione del moto dei corpi celesti, in primo luogo il Sole e la Luna e successivamente le stelle ed i pianeti, hanno assunto una importanza sempre maggiore con l’evolversi delle civiltà e con la necessità di ricavare da questi moti informazioni utili per la vita delle civiltà stesse. Solamente l’osservazione sistematica ed accurata del moto del Sole sulla volta celeste poteva permettere, ad esempio, di prevedere in modo corretto il trascorrere delle stagioni e con esso inventare l’agricoltura, stabilire i tempi delle battute di caccia. Anche la previsione delle fasi lunari poteva essere utile per le battute notturne di caccia, in presenza di Luna piena. Gli esempi possono essere infiniti.

Anche le civiltà Centroamericane ed in particolar modo Maya ed Aztechi per citare le più note hanno rivolto il loro sguardo al cielo sia per motivi pratici, come detto precedentemente, che per motivi religiosi e rituali. Tutta l’astronomia dei popoli centroamericani è un complesso meccanismo di riti e numeri, di astronomia osservativa e di astrologia. Per addentrarci un po’ in questo mondo è necessario fare due chiacchiere di astronomia, naturalmente.

 

Moto del Sole, della Luna e dei Pianeti

Per capire un po’ l’astronomia di queste popolazioni diventa fondamentale fare un po’ di astronomia, per molti aspetti già nota alla maggior parte delle persone.

Quando noi diciamo “moto del Sole” è sempre sottinteso il termine “apparente”. Si impara fin da piccoli che il Sole non si muove: il movimento lo possiede la Terra. Per essere più precisi due movimenti fondamentali: la rotazione attorno al proprio asse nelle 24 ore (moto apparente diurno del Sole) e la rivoluzione attorno al Sole nel corso di un anno (moto apparente annuale del Sole). A causa di questi moti terrestri noi vediamo il Sole in movimento. Per effetto della rotazione terrestre noi vediamo il Sole sorgere grosso modo ad Est e descrivere nel cielo una parte di un cerchio per tramontare grosso modo ad Ovest. Inoltre per effetto della rivoluzione terrestre noi, se facciamo attenzione, vediamo che il Sole sorge ogni giorno in un punto dell’orizzonte diverso da quello del giorno precedente. Essendo questo movimento molto lento ci si può accorgere di questo particolare o facendo misure molto precise di giorno in giorno oppure osservando una volta alla settimana.

Analogamente al tramonto capita lo stesso fenomeno: il Sole tramonta sempre in luoghi diversi.

Solo due giorni all’anno, i giorni degli equinozi (21 marzo e 22 settembre) il Sole sorge esattamente ad Est e tramonta esattamente ad Ovest. Oltre ai due equinozi ci sono anche i due solstizi quando cioè il Sole compie nel cielo il percorso più lungo (21 giugno) e più corto (21 dicembre). Tutto ciò è noto all’uomo da quando è iniziato il lungo cammino della conoscenza astronomica, quindi tutte le antiche civiltà hanno studiato per primo il moto del Sole.

Anche il moto della Luna, questa volta un moto reale, è stato a lungo studiato, ma questi studi hanno dato dei grossi grattacapi a chi li compiva. Innanzitutto il fenomeno più evidente riguardante la Luna è quello delle fasi. La Luna non ci appare sempre tutta completa, anzi questo fenomeno avviene circa una volta al mese. Il Sole illumina solamente metà della Luna (così come illumina solo metà della Terra) ma questa metà Luna illuminata non è sempre rivolta verso di noi, così la porzione di Luna che vediamo cambia di notte in notte ed una volta al mese la Luna rimane invisibile (Luna nuova). Il fenomeno delle fasi lunari era naturalmente noto ed abbastanza compreso, mentre il misterioso fenomeno delle eclissi è rimasto praticamente inspiegato fino alla nascita dell’astronomia moderna.

Il fenomeno delle eclissi è legato alle posizioni, nell’ambito del Sistema Solare, della Luna, della Terra e del Sole. Il piano che contiene l’orbita della Luna attorno alla Terra non coincide con quello che contiene l’orbita della Terra attorno al Sole.

Questo è uno dei motivi per cui non si presenta un’eclisse di Sole al posto della Luna nuova ed un’eclisse di Luna al posto della Luna piena. L’altro motivo per cui si verificano le eclissi è legato al fatto che il piano contenente l’orbita lunare ruota su se stesso, compiendo un giro completo ogni 18,6 anni. Solo quindi in particolari condizioni si possono verificare delle eclissi, di Sole o di Luna. La meccanica del fenomeno delle eclissi può risultare complessa a noi che abbiamo notevoli capacità mentali e di astrazione, quindi sarebbe stato ancora più inverosimile che popolazioni che mancavano di tanti concetti a noi noti potessero prevedere questo fenomeno.

Torniamo alla nostra astronomia.

In cielo, si sa, vediamo oltre alle stelle anche cinque dei nove pianeti che compongono il Sistema Solare. In ordine di distanza dal Sole questi sono: Mercurio, Venere, Marte, Giove, Saturno. Ai nostri occhi essi appaiono come le altre stelle, in qualche caso più luminosi delle altre stelle, ma comunque per un occhio profano sono indistinguibili dalle comuni stelle. Solo una osservazione più accurata permette di notare l’unica differenza visibile ad occhio nudo tra un pianeta ed una stella. Le stelle hanno una luce che scintilla, mentre quella dei pianeti mantiene sempre la stessa intensità. È un po’ poco per poterli distinguere, ma un altro aiuto ci può giungere dalle dodici costellazioni zodiacali. Alcune antiche civiltà, in particolar modo quelle mesopotamiche, si accorsero che i pianeti mostravano anche un’altra caratteristica rispetto alle stelle: le loro posizioni nel cielo non erano fisse. I pianeti apparivano dunque come stelle in movimento e la zona di cielo in cui questi movimenti si dipanavano era (ed è tuttora) circoscritta appunto alla fascia delle costellazioni dello zodiaco.
Quindi noi per sapere in quale zona di cielo cercare i pianeti dobbiamo riconoscere qualche costellazione zodiacale.

Noi sappiamo che i pianeti del Sistema Solare, al pari della Terra, compiono delle orbite quasi circolari attorno al Sole. Queste orbite differiscono tra loro per dimensioni e di conseguenza i periodi di rivoluzione dei vari pianeti variano, ad esempio, dai tre mesi di Mercurio ai ventinove anni di Saturno.

I cinque pianeti visibili ad occhio nudo vengono catalogati in pianeti interni e pianeti esterni.

Tale suddivisione è legata alla loro posizione. Sono pianeti interni Mercurio e Venere perché le loro orbite sono più piccole di quella terrestre, sono pianeti esterni Marte, Giove e Saturno perché le loro orbite sono maggiori di quella terrestre. Un altro fatto da aggiungere al nostro discorso riguarda il modo con cui noi vediamo il moto dei pianeti. Le orbite di tutti i pianeti del Sistema Solare, Terra inclusa, sono disposte quasi sullo stesso piano di conseguenza dalla Terra il moto del pianeta non lo si vedrà mai come un moto circolare attorno al Sole, ma come un moto più complicato (un moto elicoidale) lungo la fascia zodiacale. La complicazione del moto planetario è dovuta al fatto che noi osserviamo il moto di un pianeta da un altro pianeta quindi due sono i moti che si mescolano per noi osservatori sulla Terra.

Nell’astronomia dei popoli centroamericani un pianeta in particolare assumeva una importanza capitale: il pianeta Venere. Su questo pianeta ci soffermeremo un po’ di più.

Al pari degli altri pianeti anche Venere compie un’orbita quasi circolare impiegando 224 giorni circa. Ciò significa che dopo questo periodo Venere si ritrova nella stessa posizione del Sistema Solare, per un osservatore che veda l’orbita di Venere da una prospettiva esterna al Sistema Solare stesso. Osservando Venere dalla Terra le cose stanno in un modo leggermente diverso. I pianeti noi li vediamo spostarsi tra le stelle avendo come sfondo le costellazioni dello zodiaco quindi anche Venere avrà come sfondo una di queste costellazioni quando noi lo osserviamo. Notte dopo notte Venere si sposterà fra queste costellazioni e solamente dopo 584 giorni lo rivedremo nella medesima costellazione di partenza. Come mai 584 e non 224?

Perché mentre Venere compie la sua orbita attorno al Sole anche la Terra compie il suo tragitto. Dopo 224 giorni Venere sarà effettivamente nello stesso punto della sua orbita, ma non la Terra: lei impiega 365 per tornare al punto di partenza, quindi affinché si ripristinino le condizioni di partenza occorrono appunto 584 giorni. Questo viene chiamato il periodo sinodico di Venere.

Una situazione analoga capita anche agli altri pianeti.

Ad esempio il periodo sinodico di Marte è di 780 giorni mentre il suo periodo di rivoluzione di 687. Anche Marte acquista una certa importanza nell’astronomia dei popoli centroamericani.

Tornando a Venere, c’è un altro aspetto molto importante legato all’astronomia mesoamericana. Venere è un pianeta interno; la sua orbita è più piccola di quella terrestre quindi la distanza massima apparente di Venere dal Sole ha un determinato valore fisso chiamato elongazione massima. Questo valore è un angolo e per Venere vale circa 45°. Tutto ciò tradotto significa che Venere lo si potrà vedere solamente in due situazioni ben distinte: subito dopo il tramonto verso ovest non troppo distante dall’orizzonte oppure prima dell’alba verso est anche qui non troppo distante dall’orizzonte. Venere quindi segue il tramonto del Sole o ne precede il suo sorgere. Quando Venere è visibile dopo il tramonto viene anche chiamato Stella della Sera o vespero; quando invece è visibile prima dell’alba viene denominato Stella del Mattino o Lucifero. Non sarà mai possibile quindi vedere Venere nel cuore della notte ed in posizioni alta rispetto all’orizzonte.
Ai nostri occhi Venere appare come l’oggetto celeste più luminoso in assoluto dopo il Sole e la Luna ed a seconda della posizione rispetto al Sole sarà il primo astro a comparire dopo il tramonto del Sole (stella della sera) o l’ultimo a sparire prima dell’alba (stella del mattino). Il periodo sinodico di Venere, i 584 giorni, possono essere suddivisi in quattro momenti. Venere appare come stella della sera per 246 giorni ed in questo periodo è, come detto, visibile dopo il tramonto in posizioni via via diverse fino a giungere ad un’altezza massima dall’orizzonte di circa 45°. Poi per 14 giorni Venere sparisce dal cielo perché viene a trovarsi nella direzione del Sole che di conseguenza lo offusca. In seguito per altri 246 giorni Venere appare come stella del mattino e, come detto, visibile prima dell’alba per poi sparire nuovamente dal cielo per 78 giorni quando ancora una volta viene a trovarsi in direzione del Sole. Dopodiché il ciclo ricomincia.
I quattro numeri da ricordare sono: 246 - 14- 246 -78. Vedremo come questi numeri erano noti approssimativamente, alle popolazioni centroamericane e come a questi numeri fossero legati i loro riti ed alla loro fine.

 

Astronomia dei popoli centroamericani

Senza entrare nei meriti della storia vera e propria delle popolazioni centroamericane, dal punto di vista astronomico quello che si può dire è che esisteva un filo conduttore tra Aztechi, Maya, Totonachi, Toltechi ed altre culture che abitavano la zona dell’odierno Messico, il Guatemala, l’Honduras ed El Salvador.

Sostanzialmente i riti, le divinità e le conoscenze astronomiche erano le stesse per tutti, certamente i nomi dati alle divinità erano diversi ma i corpi celesti adorati erano i medesimi. In tutte queste culture il pianeta Venere occupava il posto principale.

La leggenda di Venere-Quetzalcoatl era conosciuta universalmente.

Gli Aztechi, ad esempio, usavano appunto il nome di Quetzalcoatl mentre i Maya lo indicavano come Kukulkan. Fra tutte le civiltà quella che senz’altro aveva dato maggior peso all’astronomia era quella dei Maya. In particolare, oltre alla suddetta leggenda che poi vedremo in dettaglio, i Maya avevano redatto calendari, sia civili che rituali in cui la matematica e le combinazioni possibili di numeri ed astronomia avevano una grandissima importanza.

Ai Maya si deve l’invenzione del numero zero e la numerazione posizionale. Ovviamente quando i Conquistadores arrivarono nel Nuovo Mondo queste conoscenze l’Europa le aveva già acquisite da altre civiltà, tuttavia, retrodatando il tutto si verifica che tali scoperte sono da accreditare alla civiltà Maya. Numerazione posizionale significa che quando si scrive un numero, ad esempio 1435, ogni cifra assume un valore diverso a seconda della posizione che occupa nel numero: il numero 1 sta per mille, il 4 per quattrocento, il 3 per trenta. Se si scambia il 4 col 3 automaticamente cambia il valore di entrambi i numeri. Nella numerazione romana tutto ciò non esisteva. La numerazione posizionale quindi implica l’invenzione del numero zero. I Maya anziché usare la numerazione in base 10 usavano quella in base 20, incolonnando i numeri. Lo zero era rappresentato da una conchiglia, le unità da un punto e cinque unità da un trattino orizzontale. Quindi in un numero scritto in colonna, la prima cifra in basso rappresentava le unità, la seconda le ventine (noi usiamo le decine), la terza le quattrocentine (noi usiamo le centinaia) e così via. Può sembrare complicato, ma è decisamente meglio dei numeri romani. Basta provare a fare le addizioni coi numeri romani e con i numeri arabi (i nostri) per capire la differenza!!!

Altra conquista molto importante era quella dei calendari. I Maya avevano due calendari: uno rituale chiamato tzolkin ed uno civile chiamato haab.

Il calendario rituale tzolkin era di 260 giorni suddivisi in 13 mesi di 20 giorni l’uno. Ogni mese aveva un numero ed ogni giorno un simbolo di una divinità. Le singole divinità avevano poi i loro significati e di conseguenza le date rituali erano l’equivalente dell’astrologia caldea. Il calendario civile haab invece era composto da 365 giorni suddivisi in 18 mesi di 20 giorni l’uno a cui si andavano ad aggiungere tutti insieme 5 giorni considerati infausti chiamati uaieb dai Maya e nemontemi dagli Aztechi.

Perché il calendario tzolkin era di 260 giorni ?

È ancora un mistero. L’ipotesi che può avere un senso è che 260 è esattamente un terzo di 780 che è il periodo sinodico di Marte, però è solo un’ipotesi. Di conseguenza ogni giorno aveva due date, una civile ed una rituale. In base alla diversa durata dei due calendari solamente ogni 52 anni si aveva la stessa combinazione. Questo periodo era definito il “grande giro del calendario” ed in queste occasioni la civiltà Maya compiva grandi rituali anche sanguinari per propiziare l’inizio di un nuovo ciclo.

Le civiltà centroamericane che avevano tutte le stesse radici culturali vivevano nel terrore che ogni 52 anni il mondo finisse.

Gli Aztechi in particolare erano una società totalmente dominata dai sensi di colpa e come vedremo questa è stata in un certo senso la causa del loro crollo.

La civiltà Maya ebbe il suo massimo splendore in un periodo che va dal 300 d.C. al 900 d.C. All’arrivo degli spagnoli questa civiltà era stata praticamente assorbita da quella Azteca che ne aveva recepito leggende ed astronomia. Nei pochi reperti scritti sono state decifrate tutte le fasi astronomiche di Venere, chiamato dai Maya Noh Ek (stella grande) e che rappresentava il dio Kukulkan. Il numero 584, il periodo sinodico di Venere, appare in tutti questi reperti.
Facciamo due conti e scopriamo che 5x584 = 8x365 = 2920, altro numero “magico” ai Maya.
Cinque anni sinodici di Venere corrispondono a 8 anni haab. Il numero 2920 è anche divisibile per 20. Per i Maya il ciclo di Venere doveva iniziare sempre lo stesso giorno sacro: 1 ahau.
Ricordiamo che dal punto di vista astronomico le quattro stazioni di Venere hanno la durata: 246 (stella della sera) 14 (congiunzione inferiore o breve incontro) 246 (stella del mattino) 78 (congiunzione superiore o lungo incontro). Per i Maya la durata era: 250-8-236-90. Anche i Totonachi, vissuti grosso modo nello stesso periodo (700 d.C.), avevano rilevato una durata diversa: 244-14-244-81.

 

La leggenda di Quetzalcoatl

Questa che segue è una delle tante versioni della leggenda, elaborata dall’astronomo Gerarld S. Hawkins che, tra l’altro, ha fatto degli studi accurati di archeoastronomia.

«C’erano cinque dee della luna, tutte sorelle, che salirono un giorno sulla cima di un colle a fare penitenza per i loro peccati. La prima aveva nome Coatlicue e indossava una gonna di serpenti intrecciati. Il sole era suo marito ed era stato reso luminoso e possente da lei. Coatlicue stette in cima al colle e fu resa gravida, La vita si mosse dentro di lei. Alcuni dicono che accadde quando una piuma colorata toccò il suo seno. Altri dicono che il sole pose uno smeraldo nella sua bocca, e così fu che accadde. Al tempo giusto ella si ingrossò e fece nascere il grande dio, che fu chiamato Quetzalcoatl. Il suo nome significava serpente con piume e penne”. Egli aveva un gemello che viveva nel mondo degli spiriti e che talvolta assumeva la forma di un cane.

Ma Coatlicue aveva già una grande famiglia. Alcuni dicono che avesse 400 figli, tutti guerrieri. Altri dicono che il numero fosse 4000. I figli gridarono: «Chi è colui che ha reso gravida nostra madre?».

Quando venne detto loro che era stato il sole furono pieni di odio per lui. Fecero guerra al dio sole. I 400 fratelli fecero guerra, uccisero il sole e seppellirono il suo corpo nella sabbia. Un avvoltoio volò da Quetzalcoatl che aveva l’aspetto di un ragazzo di 9 anni e gli raccontò dell’assassinio. Un coyote, un’aquila e un lupo aiutarono Quetzalcoatl a trovare il corpo e un esercito di talpe lo portò nel buio mondo sotterraneo per raggiungere le ossa. Per vendicare la morte di suo padre egli combatté e uccise tutti i 400 guerrieri. Gli dei trasformarono Quetzalcoatl nella forma di un uomo bello con ampia fronte, dalla pelle fine, con grandi occhi e una barba chiara. La sua faccia era sporca di nerofumo onde mostrare che apparteneva al buio cielo notturno. Indossava una collana di conchiglie marine e dal suo dorso pendeva un uccello quetzal dalla lunga coda, il bellissimo uccello verde che vive sulla cima degli alberi, nella giungla. Come uomo gli fu data la forza e un cuore puro. Egli disdegnava lussuria e piaceri e rinunciava a compiere sacrifici umani. Viveva in un tempio con 4 stanze rivolte ad est, ovest, nord e sud, rivestite d’oro, di smeraldi, di conchiglie di mare e d’argento. Da un colle a Tollan si poteva udire la sua voce per una distanza di 10 leghe. Egli si trasformò in una formica nera e rubò il grano alle formiche rosse. Quando percorreva la terra sotto forma di uomo insegnava alla gente a coltivare il frumento e a fare vasi di terracotta. Era pacifico, resisteva a tutte le tentazioni ed era pieno d’amore per tutte le cose. A mezzanotte usava andare sulle rive di un torrente con sua sorella a bagnarsi e pregare.

Ma il tempo lo cambiò al punto che la sua faccia non era più umana. Gli occhi erano infossati, la pelle pallida e raggrinzita, le palpebre infiammate. Quando si guardò in uno specchio egli vide la sua debolezza e disse: «Se il popolo mi vede griderà “È debole, è pallido!” e mi uccideranno».

Perciò Quetzalcoatl si ritirò in un nascondiglio. Un nemico ingannevole ed astuto lo raggiunse e gli parlò. Il nemico lo rivestì con un abito di piume fini. Gli dipinse di rosso le labbra, come quelle di una donna, gli dipinse la fronte di giallo come il sole e gli mise una barba fatta di belle piume di uccello. Quando ebbe finito, il nemico gli mostrò lo specchio e Quetzalcoatl fu compiaciuto.

Tre nemici lo portarono nella loro casa. Gli recarono il succo inebriante della pianta di maguey e dissero: «Bevi!» ma egli rifiutò ricordando i suoi voti. Quetzalcoatl intinse le dita nella coppa e aveva un buon sapore. Così ne bevve 5 coppe piene. Col vino divenne brillo e i suoi servi pure. La compagnia non condusse più una vita pura e divennero molto crudeli. Quetzalcoatl mandò a chiamare sua sorella e anch’essa bevve 5 coppe e divenne brilla col vino. Ci fu musica e ci fu festa nella casa e tutti i piaceri sensuali. Fratello e sorella giacquero assieme e peccarono.

Trascorse il tempo e Quetzalcoatl sprofondò in una disperazione totale. Sentiva di non essere più un dio, di non essere il celebrato figlio della dea con la gonna di serpenti. Andò a cercare un responso dagli oracoli. I segni erano tutti contro di lui. Decise di fare penitenza per i suoi peccati. Ordinò che venisse fatta una bara di pietra e vi giacque come morto, alcuni dicono per 4 giorni altri per 8. Seppellì il suo oro e tutte le sue ricchezze e ingiunse al suo popolo di marciare con lui verso est, verso il litorale dicendo: «il dio-sole mi chiama a lui, devo andare».

Egli migrò con i suoi seguaci verso la terra del sole. «Non voltatevi indietro» diceva, «Tenete un passo fermo; perverrete a qualcosa». Lungo il cammino i demoni lo spogliarono delle sue arti, dell’agricoltura, dell’arte di fare gioielli, della scrittura e della poesia.

Quando arrivò alla spiaggia, Quetzalcoatl indossò la veste reale piumata e coprì la sua faccia con una maschera turchese. Un rettangolo giallo era dipinto sulla sua fronte. Alcuni dicono che egli salì su una zattera magica sospinta da serpenti e navigò al largo, dicendo al suo popolo che un giorno sarebbe ritornato come dio e nobile re. Altri dicono che raccolse della legna e costruì una catasta per un grande fuoco vicino alla spiaggia. Vi si gettò sopra finché fu consumato nel gran calore. Le ceneri del suo corpo si trasformarono subito in uccelli del paradiso. Il suo cuore sorse dalle fiamme e salì nel cielo del mattino e il suo sangue divenne Venere-Quetzalcoatl, la stella splendente del mattino. Dal suo trono in cielo Venere scaglia frecce sul mondo, contro guerrieri, sacerdoti e imperatori e contro il popolo intero».

 

La fine degli Aztechi

La storia della fine dell’Impero Azteca è nota a chiunque si interessi dell’epoca dei Conquistadores. Hernan Cortes scrisse di suo pugno cinque lettere-relazioni indirizzate a Carlo V re di Spagna dove narra minuziosamente la cronaca di quei fatti. Come è stato possibile che qualche centinaio di spagnoli, aiutati occorre dirlo da popolazioni sottomesse dagli Aztechi, abbia conquistato un impero e distrutto una civiltà?

Forse Cortes ha approfittato di certe conoscenze astronomico-rituali che hanno dato la spinta al crollo.

Cortes sbarca a Tabasco, casualmente, mentre Venere si trova nella fase del lungo incontro quando secondo la leggenda Quetzalcoatl cerca le ossa del padre-sole. Cortes sbarca con circa 400 spagnoli, 16 cavalli, cannoni, polvere da sparo, armature di acciaio. I cavalli non erano conosciuti nel Nuovo Mondo. Agli autoctoni un cavaliere spagnolo a cavallo appariva come un tutt’uno che poi si separava in due parti. Cortes prende a bordo un’indigena di nome Malinche che poi diventerà la moglie di Cortes. Malinche era una principessa di una tribù assoggettata dagli Aztechi e che naturalmente li odiava. Malinche impara lo spagnolo e forse racconta a Cortes la leggenda di Venere-Quetzalcoatl.

Cortes riparte e naviga sottocosta come “sospinto dai serpenti” per poi sbarcare a Veracruz il 21 aprile 1519 proprio all’inizio del nuovo ciclo di Venere (stella della sera). Montezuma o meglio Muteczuma come scritto nelle lettere di Cortes era oltre che imperatore anche sacerdote e interpreta l’arrivo di Cortes come il ritorno di Quetzalcoatl ed ordina ai suoi sudditi di riverirlo.

Cortes durante il viaggio verso Montezuma si allea con i nemici degli Aztechi e giunge alla capitale Tenochtitlàn o Temixtitlàn (ora Città del Messico) dopo 244 giorni, in occasione del breve incontro quando secondo la leggenda Quetzalcoatl è nella fase ingannevole e subdola. Nella seconda lettera-relazione è anche trascritto il dialogo tra Montezuma e Cortes, dialogo in cui Montezuma racconta a Cortes che lo stava aspettando come impersonificazione di Quetzalcoatl. Montezuma cede il suo palazzo a Cortes che però lo invita a restare e quindi lo induce a peccare e poi lo fa arrestare come responsabile di una insurrezione degli Aztechi.

Nel maggio del 1520 avvenne una congiunzione tra Venere e Marte e gli Aztechi tennero una cerimonia per il dio-Marte-Huitzilopochtli: una congiunzione planetaria significa che i due pianeti appaiono ravvicinati l’uno all’altro in cielo. In occasione della cerimonia gli Aztechi assediano il palazzo in cui si trova ospite-prigioniero Montezuma che nel sedare la rivolta viene ucciso dai suoi sudditi o forse dagli spagnoli. In seguito alla rivolta Cortes e la sua spedizione sono costretti a fuggire da Tenochtitlàn. Poi la storia ci racconta il triste epilogo della vicenda. Cortes insieme ad un esercito formato da popolazioni ostili agli Aztechi assedia Tenochtitlàn (al cui interno era scoppiata un’epidemia di vaiolo importata dagli europei) e la distrugge, uccidendo anche l’ultimo discendente di Montezuma: Cuahutemoc.

Successivamente la conquista spagnola e la forzata conversione al cattolicesimo delle popolazioni locali distruggono le culture, perdendosi in tal modo molte delle conoscenze astronomiche raggiunte da queste civiltà. I meccanismi così rigorosi dei moti dei pianeti, la “magia” della matematica e delle combinazioni dei numeri sono forse stata una delle cause della fine di tutto ciò.

Naturalmente le conoscenze del moto di Venere non sono le uniche nozioni astronomiche di queste civiltà. Anche loro come le altre civiltà del passato avevano la loro cosmologia, i loro nomi delle costellazioni del cielo, nomi soppiantati da quelli europei dopo la distruzione di queste civiltà. Tuttavia in questa sede ci si deve limitare, per motivi di tempo, a queste poche nozioni preliminari.

 

Monografia n.33-1999/1


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