LA VITA NELL’UNIVERSO
di Claudio Zellermayer

Cercare possibili forme di vita nell’universo non significa cercare se esistono o no gli UFO. L’argomento UFO non verrà minimamente trattato qui. Quello che si vuole fare è di vedere come l’astronomia cerca di dare una risposta alla domanda: «Siamo soli nell’Universo ?»

Innanzi tutto occorre dire che non c’è uno specifico campo dell’astronomia che si occupa esclusivamente di ciò. L’insieme delle conoscenze astronomiche possono apportare tasselli alla ricerca ed eventualmente dare delle risposte parziali.

Sostanzialmente si deve rispondere non ad una sola domanda ma a un insieme di domande:

  1. dove puntare lo sguardo;
  2. quali segnali utilizzare;
  3. che probabilità abbiamo di trovare segnali extraterrestri.

Ognuna di queste domande crea grossi problemi che devono partire da precisi presupposti per restringere il campo di ricerche. Non basta mettersi a osservare con telescopi o radiotelescopi per essere in grado di captare qualcosa. Occorre sapere appunto in che direzione puntare lo sguardo, cosa aspettarci di ricevere e quando e così via. Analizzeremo una per una queste tre domande e cercheremo di capire a che punto siamo.

Tutti i dati astronomici che riguardano il problema della ricerca della vita extraterrestre confluiscono in un unico progetto chiamato progetto S.E.T.I. Search for Extra Terrestrial Intelligence (Ricerca della vita extraterrestre intelligente).

 

Dove puntare lo sguardo

Sapere dove guardare aiuta a restringere il campo di osservazioni. Chi si occupa del progetto SETI non ha a disposizione strumenti sempre pronti all’uso. Occorre diciamo così “fare la fila” con altri astronomi ed aspettare il proprio turno e se le osservazioni non danno frutti (come è prevedibile) non è scontato che ci si possa sempre mettere in fila per osservare. Il tempo di osservazione viene concesso in base all’importanza del progetto a cui si lavora ed attualmente l’astronomia si occupa di ricerche più importanti del progetto SETI. Ad ogni modo è importante partire dal presupposto che gli extraterrestri intelligenti si trovino su dei pianeti ed i pianeti stanno sempre in orbita attorno alle stelle. Quindi il punto di partenza è di scegliere quali stelle osservare. Non tutte vanno bene e soprattutto è fondamentale scoprire se esistono sistemi planetari oltre il nostro, cioè rispondere alla domanda ulteriore: come si forma un sistema planetario?

Un sistema planetario si forma sempre da una stella.

Possiamo studiare come si è formato il Sistema Solare, o meglio come pensiamo che si sia formato per poi cercare quelle stelle che magari stanno formando un sistema planetario. Le stelle si formano sempre all’interno di nebulose diffuse, dalla condensazione del gas in zone di maggiore densità. La protostella che poi darà vita alla stella vera e propria durante la sua nascita accresce la sua massa e tende a contrarsi, cioè schiacciarsi per il proprio peso, diminuendo le sue dimensioni.

A questo processo si accompagna un aumento della velocità di rotazione ed un conseguente appiattimento della sfera della protostella. La forma quindi diventa quella di un disco con un rigonfiamento centrale che è la stella vera e propria. Tutta la materia che forma il disco tende a distaccarsene successivamente data la sempre più elevata velocità di rotazione.

Questa miriade di piccoli “grumi” di materia successivamente si aggregheranno per formare i singoli pianeti. In questo modo si pensa che si sia formato il Sistema Solare. Dato che non si hanno prove concrete che le cose siano andate veramente così, occorre cercare stelle in formazione in altre nebulose e verificare se ci sono questi dischi di materia attorno alla stella, dischi formati da gas e polvere finissima.

Il telescopio spaziale Hubble ha permesso di fotografare all’interno della Nebulosa di Orione (visibile ad occhio nudo in questo periodo dell’anno) proprio alcune di queste stelle in formazione circondate da un disco protoplanetario. È stata una grossa conferma della teoria sulla formazione del Sistema Solare e dei sistemi planetari in generale.

A questo punto sorge immediata un’altra domanda: tutte le stelle possono avere dei sistemi planetari?

La risposta è no, ed è in un certo senso una fortuna. Se così non fosse la ricerca dovrebbe annoverare una quantità impressionante di stelle. Solo nella nostra galassia ci sono circa 100 miliardi di stelle. Vediamo ora perché non tutte le stelle possono avere dei sistemi planetari. Innanzi tutto le stelle non sono tutte uguali. Un fattore discriminante è naturalmente la massa.

Esistono stelle che hanno decine di volte la massa del Sole (che a sua volta ha una massa 300.000 volte maggiore di quella della Terra) e stelle molto più piccole del Sole. Il limite inferiore sotto il quale una stella non si forma è 1/10 della massa solare. Da questo valore in su fino a 70 volte la massa solare, tutte le dimensioni sono possibili.

Tutto dipende da quanta materia c’è nella concentrazione iniziale da cui ha inizio il processo di contrazione gravitazionale che dà il via alla nascita della stella. Dalla massa della stella dipende anche la evoluzione della stessa e la quantità di energia emessa. Le stelle più massicce vivono “poco” (dell’ordine delle centinaia di milioni di anni), le stelle come il Sole vivono più a lungo (dell’ordine dei 10 - 15 miliardi di anni). Durante la fase di formazione della stella, la contrazione gravitazionale genera energia sotto forma di luce ultravioletta e di particelle cariche (Il Vento Solare). Se la stella ha una massa considerevole (superiore alle 10 volte la massa solare) questo “vento” energetico purtroppo spazza tutta la materia ed il gas presenti nel disco protoplanetario. Di conseguenza prima che il disco si trasformi in un sistema planetario viene spazzato via dalla immensa quantità di energia emessa dalla stella.

In questo modo il campo si restringe: da stelle piccole fino a quella con massa inferiore alle 10 masse solari. Vedremo che ci vuole un ulteriore restringimento.

A questo punto comincia la fase più ardua: trovare i pianeti in quelle stelle che hanno i requisiti per possederli. Ci sono due metodi, uno diretto ed uno indiretto. Il metodo diretto consiste nel vedere proprio il pianeta e questo da Terra è assolutamente impossibile: la luce della stella (che tra l’altro illumina l’eventuale pianeta) copre completamente qualsiasi oggetto che si trovi vicino ad essa, in pratica qualsiasi pianeta. Solo con il telescopio spaziale Hubble potrebbe essere possibile “vedere” un pianeta e in ogni caso non delle dimensioni della Terra.

Solo pianeti come Giove o più grandi, posti a distanze considerevoli dalla stella potrebbero essere individuati. Non è molto, ma per un astronomo sarebbe veramente una grande scoperta. I metodi indiretti, quelli che hanno dato frutti, si basano sul concetto che uno o più pianeti possono, con la loro massa, perturbare il moto della stella. Siamo abituati a dire che la Terra e gli altri pianeti ruotano intorno al Sole.

Questa affermazione non è completamente vera. I pianeti ed il Sole ruotano tutti attorno ad un comune centro di massa, che data la sproporzione tra la massa del Sole e quella degli altri pianeti messi insieme si trova all’interno del Sole ma non coincide col suo centro fisico. Questo provoca una rotazione del Sole attorno al suo centro di massa. Un’altra stella che abbia un sistema planetario dovrà fare la stessa cosa. Lo studio della luce delle stelle permette di verificare se questi piccoli spostamenti della stella ci sono o no. Non solo: questi spostamenti (visibili solo nello spettro della luce della stella) permettono anche di calcolare la massa del pianeta che perturba la stella e la distanza del pianeta dalla stella osservata. Questi metodi (misure spettroscopiche e astrometriche) hanno permesso di scoprire alcuni pianeti delle dimensioni di Giove in alcune stelle vicine a noi.

È chiaro che trovare pianeti simili a Giove che orbitano attorno ad altre stelle non risolve il problema: su Giove la vita intelligente ed evoluta non può esistere. Ad ogni modo queste scoperte sono una conferma della bontà della teoria sulla formazione dei sistemi planetari.

Per trovare pianeti con una possibile vita intelligente ed in grado di mandare messaggi occorre stabilire come può essere una civiltà extraterrestre. Se la cerchiamo simile a noi, cioè con dimensioni e ciclo vitale paragonabile, quindi non necessariamente con la nostra forma dovremmo essere indirizzati alla ricerca di pianeti simili alla Terra. Se invece tutto ci va bene allora qualsiasi altro pianeta può andare bene.

Nel caso del progetto SETI l’idea è proprio di cercare pianeti come la Terra. In caso contrario potrebbe essere molto complicato immaginare chi e cosa potrebbe essere ciò che cerchiamo.

Affinché sia possibile la vita in pianeti di tipo Terra occorre che la stella attorno a cui orbita sia come il Sole. Questo restringe maggiormente il nostro campo di ricerca.

La stella deve avere una massa compresa tra 0,8 e 1,2 volte la massa del Sole e sarà presto detto perché le stelle più piccole o più grandi pur potendo formare sistemi planetari sono da escludere. La condizione principale affinché un pianeta come la Terra possa sussistere riguarda la sua distanza dalla stella. Prendiamo il caso della Terra. Se la distanza tra la Terra ed il Sole (Unità Astronomica, U.A. pari a 150 milioni di chilometri) fosse di poco minore, diciamo del 5% la Terra sarebbe più calda di parecchi gradi e la vita non sarebbe possibile, così come noi la conosciamo. Non sarebbe cioè possibile la vita intelligente.

Se la distanza fosse di poco maggiore, ad esempio del’ 1%, la temperatura sarebbe glaciale ed ancora una volta ciò renderebbe impossibile la vita sulla Terra. Questi due limiti determinano quella che gli astronomi chiamano la zona abitabile con continuità.

Per le stelle più piccole del Sole, (una massa pari al 17% della massa solare) questa fascia non esiste affatto. Inoltre se le stelle sono più grandi del Sole la fascia abitabile con continuità sarebbe più grande ma queste stelle hanno vita breve e abbiamo visto che sulla Terra sono occorsi 4.5 miliardi di anni di evoluzione per produrre gli esseri umani. Nel tempo di vita di stelle più grandi del Sole non è possibile, almeno per quanto ne sappiamo, lo sviluppo di esseri intelligenti. Stelle meno massicce hanno maggior durata ma il pianeta e la sua zona di abitabile con continuità deve essere più vicino alla stella. Questo comporta effetti mareali e sincronicità tra rivoluzione e rotazione, cioè il pianeta rivolgerebbe sempre la stessa faccia verso la stella.

Ancora una volta questo renderebbe il pianeta inadatto alla vita. In questa ricerca sono anche da escludere i sistemi multipli, cioè sistemi planetari che hanno più di una stella, a causa delle incertezze che comportano. Esistono 15 stelle con le caratteristiche descritte qui sopra, nel raggio di circa 50 anni luce e su queste stelle è puntata l’attenzione degli astronomi.

 

Quali segnali utilizzare

In questo caso le limitazioni sono svariate. Il tipo di segnale deve essere senz’altro un’onda elettromagnetica se non altro perché è il più veloce a propagarsi (299.792,458 chilometri al secondo). Poi si tratterà di decidere quale parte dello spettro utilizzare.

Il segnale deve “bucare” l’atmosfera, se ci limitiamo ad osservazioni da terra, cosa che per il momento si rende necessaria data la mole degli strumenti. Solo le onde luminose e le onde radio possono passare attraverso l’atmosfera e quindi la scelta deve andare su uno di questi due. Il segnale luminoso è da scartare per una serie di motivi: il segnale richiede una energia di emissione molto maggiore di quello radio.

Ai nostri extraterrestri occorrerebbe tutta l’energia del loro pianeta per poterlo lanciare. Inoltre per quanta luce possa fare non potrà mai competere con la luce della stella vicina. I segnali radio sono da preferire perché appunto sono meno energetici e perché le stelle sono cattive radioemittenti. Un forte segnale radio proveniente da una stella non si confonde con la radioemissione della medesima. Le frequenze radio sono tantissime ed anche qui si impone una scelta limitata alla natura della Terra e del cosmo. Sono da scartare lunghezze d’onda inferiori a 3 centimetri perché il segnale si confonde col vapor d’acqua, così come sono da scartare le lunghezze d’onda superiori a 30 centimetri perché in questo caso il disturbo è dovuto alle emissioni radiogalattiche.

È chiaro che tutte queste sono ipotesi che si fanno pensando di ragionare con la testa di esseri extraterrestri intelligenti che vogliono farsi notare. Le frequenze da usare, sempre nell’ipotetico caso di trovarci nella mente di questi esseri potrebbero essere due: 1.420 Mhz corrispondente ad una lunghezza d’onda di 21 centimetri. che è quella caratteristica dell’idrogeno neutro o quella di 1.665 Mhz corrispondente ad una lunghezza d’onda di 18 centimetri. che è caratteristica dell’ossidrile OH.

Questi due elementi danno come prodotto l’acqua e le frequenze comprese tra queste due vengono chiamate il punto d’acqua. Perché dovrebbero essere queste e non altre le frequenze usate?

Non c’è ovviamente un motivo rigoroso, ma dato che noi siamo fatti per il 70% d’acqua e che cerchiamo intelligenze come la nostra, sembra plausibile che ci si metta in contatto mediante questo elemento comune. Inoltre non sarebbe naturale ricevere segnali radio in queste frequenze da stelle.

 

Che probabilità abbiamo di trovare segnali extraterrestri

L’astronomo inglese Drake elaborò una interessante equazione, che naturalmente prese il suo nome, che dovrebbe servire proprio per ottenere la probabilità di trovare questi messaggi.

Vediamo che le enormi incertezze nelle singole probabilità rendono quasi inutile questa equazione.

Equazione di Drake:

N = R x F* x Np x Fh x Fv x Fc x L

dove:

N = numero di civiltà extraterrestri nella Galassia

R = tasso medio di formazione di stelle nella Galassia (10 - 20 all’anno)

F* = frazione di stelle con ecosfera abitabile (0,14)

Np = numero di pianeti attorno a queste stelle (9)

Fh = frazione di pianeti abitabili (1 su 9 = 0,11)

Fv = frazione di pianeti abitabili aventi una forma di vita (minore di 1)

Fc = frazione di pianeti aventi una civiltà intelligente (minore di 1)

L = Longevità di una civiltà (100 anni - 1.000.000 di anni)

Risultato = ?

Come si può vedere, sono troppe le incertezze. Per ora l’astronomia mette insieme ed incamera i dati, indipendentemente dal progetto di ricerca delle civiltà extraterrestri, poi se tutto ciò servirà a rendere più controllabile la probabilità di trovare altre civiltà, ben venga.

 

Nel 1974 fu emesso, a titolo sperimentale, un messaggio contenente tutta una serie di informazioni sulla Terra e sull’uomo.

Questo messaggio, noto come il “messaggio di Arecibo”, dal nome della località dove si trova il radiotelescopio che l’ha emesso, dovrà viaggiare per 25.000 anni prima di giungere alla sua destinazione, un ammasso di stelle nella costellazione di Ercole. Forse una civiltà sarà in grado di ricevere il messaggio, decifrarlo e risponderci. Saremo ancora qui, come umanità, per ricevere la risposta ?

 

Monografia n.6-1996/6


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