L'incontro con Padre Lambertini (Marco Marchetti)

Questa storia racconta il mio primo incontro con Padre Lambertini, un nome che a tutti gli astrofili della mia generazione evoca profonde emozioni e vividi ricordi. Per capire il significato di queste poche righe occorre tenere presente che la vicenda si svolge tra la fine dell'inverno e l'inizio della primavera del 1975, un 'epoca nella quale non esistevano personal computers ne tantomeno Internet, non esisteva alcuna rivista di divulgazione astronomica in italiano e i libri seri sull'argomento si contavano sulla punta delle dita di una mano. Inoltre i prezzi dei telescopi non erano proprio alla portata di tutti cosicché la stragrande maggioranza degli astrofili si autocostruiva i propri strumenti; si cominciava con piccoli rifrattori per poi passare a riflettori, in genere newtoniani, con diametri di 150 o 200 mm montati su montature equatoriali.
Qualche intrepido astrofilo si autocostruiva anche gli specchi secondo un procedimento magistralmente illustrato nel libro di Paolo Andrenelli “L'astronomo dilettante” (ed. Sansoni), un classico sull'autocostruzione dei telescopi (presente nella biblioteca ARAR). Io ero reduce dall'autocostruzione del mio primo strumento (chiamarlo cannocchiale o telescopio era fargli un grosso complimento). Per una cifra di poco superiore alle 2000 Lire avevo acquistato da un ottico di Ravenna, ubicato a Ravenna in via IV Novembre di fronte all'attuale libreria Feltrinelli, una coppia di lenti. Si trattava di una grossa lente biconcava da occhiali con un diametro di 60 mm che, diaframmata a 20 mm, avrebbe dovuto fungere da obiettivo e di una piccola lente biconvessa che sarebbe diventata il futuro oculare. Le due lenti erano state fissate alle estremità di un tubo di plastica, raccattato non mi ricordo più dove, montato su un trespolo di legno che ricordava molto vagamente un qualcosa di altazimutale. Il tutto era stato incastonato su un traballante treppiede costruito a partire da tre aste di legno trovate chissà dove.
Padre Lambertini
Sembra incredibile ma il sistema funzionava: le immagini erano chiare, nitide e a fuoco. Peccato che l'ingrandimento fosse infimo se non addirittura inesistente! Occorreva quindi saperne di più. Da un carissimo amico, anch'egli appassionato di astronomia, seppi che le lenti che avevo usato erano del tutto inadatte per questo scopo; occorrevano, sia per l'obiettivo che per l'oculare, gruppi ottici particolari composti da più lenti accoppiate per eliminare i difetti delle singole componenti. Per saperne ancora di più andai a chiedere informazioni presso il negozio di ottica Gatti, presente ancora oggi a Ravenna in via Gelsi, cha allora era gestito da una simpatica signora di nome Gigliola. La signora Gigliola non era esperta di ottica astronomica però mi diede una preziosissima dritta: presso la chiesa di San Francesco c'era un frate (tal Padre Lambertini) che aveva la fama di essere un grande esperto del settore e che aveva radunato intorno a sé un gruppo di giovani appassionati. Piuttosto incuriosito mi recai allora alla chiesa e chiesi informazioni al primo frate che incrociai, un omone vestito di tutto punto con il saio nero, che mi invitò ad aspettare. Di lì a poco si presentò un signore vestito da muratore, sporco di cemento e calcinacci, che mi chiese chi stessi aspettando, "Padre Lambertini" risposi. "Sono io" fu la risposta.
Feci così la conoscenza con una delle persone più straordinarie che abbia mai incontrato. Gli spiegai il mio problema e lui, con un modo di fare e un sorriso che non avrei più dimenticato, mi disse che aveva ciò che faceva al caso mio. Mi invitò a visitare il suo laboratorio (una stanza colma all'inverosimile di strumenti di ogni genere) e da un caos indescrivibile vennero fuori un doppietto da 60 mm di diametro con focale da 600, due oculari ortoscopici da 20 e 6 mm, un oculare da campo e una Barlow molto artigianali (immagino autoassemblati). Mi spiegò il funzionamento dei gruppi ottici con parole molto semplici ma efficaci e mi fece vedere qualche esperimento come lampade che brillavano di una strana luce violacea e pannelli fosforescenti rappresentanti il cielo stellato che al buio brillavano di luce quasi propria. Mi accorsi così che sotto quel carattere mite e modesto si nascondeva una vastissima e straordinaria cultura scientifica. Seppi in seguito che Padre Lambertini era l'ideatore e il costruttore di quegli splendidi presepi viventi che avevo ammirato fin da bambino. Concordammo un prezzo di 20000 Lire per l'obbiettivo e di 5000 Lire per ogni accessorio; però non volle vendermi il prezioso materiale a scatola chiusa e mi invitò per la sera stessa o una successiva (non ricordo bene) per vedere di persona il funzionamento dei gruppi ottici. Mi presentai puntuale all'appuntamento. Padre Lambertini mi ricevette e salimmo assieme sul tetto della chiesa. Da una stanzetta sbucò fuori un tubo da stufa che si rivelò essere un riflettore di tutto rispetto sopra al quale venne fissato, a mo’ di cercatore, un tubo al quale erano state fissate le mie future ottiche (seppi in seguito che il “tubo da stufa” era famoso in tutta Ravenna). Cominciammo ad osservare. Mi ricordo come se fosse ieri un Saturno (che allora come oggi si trovava nei Gemelli) da favola, una Nebulosa di Orione con Trapezio annesso da mozzare il fiato e la doppia di Andromeda che si mostrava in tutto il suo splendore. Durante i giorni seguenti cominciai ad assemblare il tutto. Deciso a non ripetere gli errori precedenti cominciai dal cavalletto. Convinto che un supporto su quattro appoggi fosse più stabile di uno su tre (è una bestialità, lo so, ma l'esame di meccanica razionale l'avrei sostenuto solo cinque anni dopo), mi procurai con mezzi non del tutto leciti (chiamiamolo prestito a tempo indeterminato) quattro robuste assi di legno da un cantiere edile nelle vicinanze di casa mia e le inchiodai alle estremità di una robusta e pesante croce di legno. Alla sommità le assi vennero fissate ad un tassello quadrato di legno e saltò fuori una specie di “quadrippiede” pesante come un macigno ma dotato di un certo grado di stabilità. Subito dopo costruii, interamente in legno, una rozza (ma questa volta efficace) montatura equatoriale. Gli assi erano realizzati con pezzi di un manico di scopa. Ovviamente non c'erano movimenti micrometrici ma quelli macroscopici erano fluidi e servivano egregiamente allo scopo. Alla montatura venne poi vincolato un tubo all'interno del quale erano state fissate le ottiche. Il primo oggetto puntato fu naturalmente Saturno. Uno spettacolo! Erano presenti anche alcuni vicini e i complimenti fioccarono. Questa prima osservazione fu ovviamente seguita da innumerevoli altre. Avevo finalmente un telescopio degno di tale nome interamente costruito con le mie mani.