L’ETA` DEL MONDO CHE CI CIRCONDA
di Marco Marchetti

Monumento alla Terra, Gedda (Arabia Saudita)
Monumento alla Terra, Gedda (Arabia Saudita)

 

Appendice A - Principali orologi naturali
Appendice B - Esempio di calcolo di una data con il metodo Potassio-Argo

 

INTRODUZIONE

«Sessantacinque milioni di anni fa l’impatto con la superficie terrestre di un asteroide o una cometa provocò l’estinzione di intere speci animali e vegetali, fra i quali spiccano dinosauri e ammoniti».

«Trentamila anni fa l’Uomo di Neanderthal scomparve dalla scena europea in maniera non ancora del tutto chiara lasciando in eredità all’Homo Sapiens Sapiens il pianeta Terra».

«Ritrovata tomba neolitica risalente a cinquemila anni prima di Cristo».

Notizie di questo genere sono al giorno d’oggi molto comuni e frequenti e le informazioni che esse recano con sé fanno parte del bagaglio culturale di molte persone; eppure ognuna di queste notizie fornisce lo spunto per una identica domanda alla quale forse non tutti sanno rispondere: come fanno gli scienziati a sapere in quale epoca si è verificato un particolare evento (per esempio l’estinzione dei dinosauri o la scomparsa dell’Uomo di Neanderthal)?

In natura esistono diversi ‘orologi’ e l’uomo ha da tempo imparato ad utilizzarli molto bene. In questa sede noi cercheremo di conoscere gli orologi naturali più importanti dopo di che cercheremo di rispondere ad una serie di domande che ci daranno un’idea dell’età del mondo che ci circonda.

 

OROLOGI NUCLEARI – DENTRO AL CUORE DELL’ATOMO

Gli orologi più importanti sono quelli che si basano sul fenomeno della radioattività; per capirne appieno il funzionamento è necessario compiere un breve viaggio alla scoperta dell’atomo.

L’idea che tutta la materia fosse composta di unità elementari denominate atomi è molto antica; essa fu infatti formulata per la prima volta dal grande naturalista greco Democrito (460-350 a.C. circa) ma solamente nel corso del ventesimo secolo l’esistenza degli atomi venne effettivamente dimostrata e accertata.

La più vistosa differenza fra gli atomi concepiti da Democrito e quelli scoperti nel secolo appena conclusosi sta nel fatto che il grande scienziato greco li considerava unità elementari, cioè indivisibili, mentre invece noi sappiamo che gli atomi hanno una loro struttura per certi versi abbastanza complessa.

Un atomo può essere immaginato come un microscopico sistema solare: al centro un piccolissimo e pesantissimo nucleo attorno al quale ruotano uno o più corpuscoli. Nel nucleo possono trovare posto due tipi di particelle: i protoni, dotati di carica elettrica positiva, e i neutroni, sprovvisti di carica elettrica (cioè neutri come suggerisce il nome); al contrario, le particelle che ruotano attorno al nucleo sono gli elettroni, dotati di carica elettrica negativa. In condizioni ordinarie il numero di protoni presenti nel nucleo uguaglia quello degli elettroni presenti all’esterno del nucleo stesso di modo che le cariche si bilanciano e l’atomo risulta elettricamente neutro.

L’atomo è la porzione più piccola in cui si riesce a suddividere la materia senza che questa perda la propria identità; questo vuol dire che un atomo di alluminio é diverso da un atomo di piombo che a sua volta è diverso da un atomo di oro mentre le particelle (protoni, neutroni ed elettroni) che compongono gli atomi di alluminio, piombo, oro e di tutti gli altri elementi sono perfettamente identiche.

La caratteristica che distingue un elemento da un altro è il numero di protoni presenti nei nuclei dei suoi atomi (numero atomico); un’altra quantità molto importante è il peso atomico, cioè la somma dei protoni e dei neutroni presenti nel nucleo.

Per esempio l’atomo di idrogeno (l’elemento più semplice e diffuso in natura) ha un nucleo composto da un protone (numero atomico 1) e nessun neutrone (peso atomico 1) mentre invece l’atomo di uranio (l’elemento più pesante presente in natura) ha un nucleo composto da 92 protoni (numero atomico 92) e 146 neutroni (peso atomico 92+146=238).

Inoltre ogni elemento può presentarsi sotto diverse forme (chiamate isotopi) che si differenziano in base al loro peso atomico, cioè in base al numero di neutroni presenti nei loro nuclei poiché a parità di elemento il numero di protoni è fisso. Facciamo subito un esempio chiarificatore; torniamo all’atomo di idrogeno: abbiamo visto come il nucleo dei suoi atomi sia composto da un protone e nessun neutrone. Questo però è solo il tipo di idrogeno più diffuso; esistono altri due isotopi dell’idrogeno: l’idrogeno pesante (o Deuterio, simbolo D) il cui atomo ha un nucleo composto da un protone e un neutrone (numero atomico 1, peso atomico 2) e l’idrogeno ultrapesante (o Trizio, simbolo T) il cui atomo ha un nucleo composto da un protone e due neutroni (numero atomico 1, peso atomico 3). Altro esempio già noto: l’uranio. Abbiamo in precedenza fatto la conoscenza con l’uranio-238, l’isotopo più diffuso, ma esiste anche il raro uranio-235 (pregiatissimo combustibile per reattori nucleari e ordigni bellici) e l’ancor più raro uranio-233.

Gli isotopi di molti elementi sono, però, instabili cioè tendono spontaneamente a trasformarsi in altri elementi grazie all’espulsione dai nuclei dei loro atomi di particelle e raggi gamma a causa di particolari forze presenti negli stessi nuclei. Queste trasformazioni di elementi in altri si chiamano ‘decadimenti radioattivi’ e la conseguente emissione di particelle e raggi gamma si chiama ‘radioattività’.

Il decadimento avviene ad un ritmo ben preciso secondo una legge temporale (nota 1) altrettanto precisa; in particolare si definisce ‘tempo di dimezzamento’ o ‘tempo di semitrasformazione’ l’intervallo di tempo necessario affinché una certa quantità di materiale radioattivo si riduca della metà. Cerchiamo di chiarire affidandoci al solito esempio: l’uranio-235 si trasforma spontaneamente in Piombo-207 con un tempo di dimezzamento di circa 700 milioni di anni; questo vuol dire se abbiamo una quantità iniziale di un chilogrammo di uranio-235 dopo 700 milioni di anni ne saranno rimasti 500 grammi, dopo altri 700 milioni di anni ne troveremo 250 grammi e così via.

È evidente che quando abbiamo a che fare con un fenomeno (in questo caso il decadimento radioattivo) che avviene secondo una legge temporale ben precisa il fenomeno stesso può essere utilizzato come orologio. Vediamo come.

 

IL METODO DEL CARBONIO-14

Questo ingegnoso metodo per la datazione assoluta di fossili di organismi viventi fu messo a punto nel 1947 dal fisico statunitense W. Libby (1908 - 1980).

Il carbonio (simbolo C) è l’elemento fondamentale sul quale si basa la vita sul nostro pianeta, l’unica forma di vita attualmente conosciuta. Il tipo di carbonio più diffuso è quello di peso atomico 12 (carbonio-12) i cui nuclei atomici sono composti da sei protoni e da sei neutroni; esistono inoltre altri isotopi di questo elemento come il carbonio di peso atomico 14 (carbonio-14) e il rarissimo carbonio-13.

Il carbonio-14 si forma nell’atmosfera a causa del bombardamento degli atomi di azoto da parte dei raggi cosmici; da un punto di vista puramente chimico il carbonio-14 è completamente indistinguibile dall’ordinario carbonio-12 cosicché, legandosi a due atomi di ossigeno, può anch’esso formare molecole di biossido di carbonio (CO2) il quale viene assorbito dalle piante, entra nella catena alimentare e viene assorbito anche dagli animali. Risultato: ogni organismo vivente (noi compresi) contiene una piccola quantità di carbonio-14.

Il carbonio-14, però, è radioattivo e tende a riconvertirsi in azoto con un periodo di dimezzamento pari a 5.730 anni e a questo punto facciamo la singolare scoperta che anche il corpo umano è radioattivo (come del resto quello degli altri organismi viventi) per la presenza nel suo interno di carbonio-14 (e di altri elementi come iodio, cesio, potassio, radon, etc).

Fino a quando l’organismo è in vita la quantità di carbonio-14 che decade viene continuamente rimpiazzata da altro carbonio-14 assorbito dall’ambiente ma quando l’organismo muore il metabolismo si arresta a la quantità di carbonio-14 comincia lentamente a decrescere; di conseguenza misurando la quantità residua di carbonio-14 presente nei resti di un organismo è possibile risalire con molta precisione all’epoca in cui l’organismo è morto.

Grazie a questo metodo è possibile datare i fossili di organismi vissuti fino a 40 mila anni fa; i fossili di organismi vissuti in epoche anteriori contengono una quantità di carbonio-14 troppo esigua per potere essere misurata anche se, con particolari tecniche, si riesce ad arrivare fino a 70 mila anni fa.

 

ALTRI METODI BASATI SUL DECADIMENTO RADIOATTIVO

Altri importanti metodi di datazione assoluta che si basano sul decadimento radioattivo sono i seguenti:

Questi metodi, a differenza di quello del carbonio-14, si applicano ai minerali e consentono di andare molto indietro nel tempo.

La datazione di una roccia può, però, presentare alcuni trabocchetti: si supponga di volere misurare l’età di una roccia con il metodo dell’uranio. Dopo che la roccia si è formata l’uranio (un elemento molto abbondante sul nostro pianeta) in essa contenuto comincia a decadere in piombo; se, però, una infiltrazione di acqua aggiunge o sottrae uranio o piombo le nostre misurazioni potrebbero risultare sbagliate e i nostri calcoli potrebbero fornire per la roccia in questione un’età completamente sballata (facendo prendere agli scienziati dei granchi clamorosi).

Per fortuna la natura è stata molto generosa e ci ha fornito un metodo che consente di aggirare il problema. Quando il magma fuoriuscito dai vulcani si raffredda si formano dei piccoli cristalli estremamente resistenti denominati zirconi (formati da zirconio, silicio e ossigeno) i quali possono intrappolare nei loro reticoli anche atomi di uranio.

Una volta formato lo zircone diventa praticamente impermeabile a qualsiasi agente esterno e può resistere anche miliardi di anni nel corso dei quali l’uranio in esso contenuto decade tranquillamente in piombo. Lo zircone può persino sopravvivere alla completa erosione della roccia in cui si è formato: in Australia occidentale è stato rinvenuto uno zircone vecchio di quattro miliardi e 400 milioni di anni all’interno di una roccia che ha ‘solamente’ tre milardi e 100 milioni di anni.

Per queste loro caratteristiche gli zirconi possono essere considerati dei preziosissimi orologi poiché sono dei veri e propri ‘habitat’ isolati dal resto del mondo in cui è possibile misurare con precisione gli effetti del decadimento radioattivo senza contaminazioni di sorta.

La fissione spontanea è un tipo di decadimento estremamente lento con un tempo di dimezzamento di molti miliardi di anni.

A differenza degli altri decadimenti la fissione è un fenomeno molto energetico e l’energia rilasciata è in grado di modificare la disposizione degli atomi nello zircone; in altre parole l’energia liberata durante una fissione lascia una traccia permanente (fission track) allo stesso modo in cui un uomo che cammini in un campo di grano lascia una traccia del suo passaggio.

Le tracce di fissione possono essere osservate e contate e dal loro numero si risale all’età dello zircone; a causa della estrema lentezza del fenomeno uno zircone può rimanere inattivo anche centinaia di migliaia di anni senza che alcun atomo di uranio decada per fissione. Di conseguenza lo zircone deve essere abbastanza ricco di uranio ma non troppo poiché le tracce di fissione potrebbero essere troppo numerose e le loro sovrapposizioni potrebbero renderne difficoltoso il conteggio.

 

LA DENDROCRONOLOGIA

Questo metodo di datazione consiste nello studio e nel conteggio degli anelli di accrescimento degli alberi.

I vasi conduttori delle piante si modificano a seconda della quantità di acqua presente; inoltre ogni stagione vegetativa comporta un accrescimento del fusto. Di conseguenza nella sezione trasversale di un tronco appariranno degli anelli annuali ognuno dei quali composto da una parte chiara, corrispondente al legno primaverile, e da una parte scura, corrispondente al legno estivo. Dal conteggio e dallo studio degli anelli si riesce a risalire all’età dell’albero e ad attingere tutta una serie di importantissime informazioni riguardo al clima e all’inquinamento.

Per calcolare l’età di un albero senza tagliarlo si effettuano dei veri e propri ‘carotaggi’, cioè si prelevano dei tasselli di legno in corrispondenza del raggio del tronco e si studiano gli anelli eventualmente confrontandoli con altre carote di alberi vicini o abbattuti in precedenza di modo da potere andare sempre più indietro nel tempo. Grazie al rinvenimento di tronchi intatti immersi nei sedimenti a all’esistenza negli Stati Uniti delle imponenti e vecchissime sequoie gli scienziati sono potuti risalire fino a migliaia di anni fa.

 

L’OROLOGIO MOLECOLARE

Questo metodo di datazione si è imposto nel corso dell’ultimo decennio; esso si basa sul fatto che alcuni geni di una specie mutano con velocità relativamente costanti. Se si conoscono questi ritmi di mutazione è possibile confrontare i geni di due specie viventi e calcolare quanto tempo fa gli organismi appartenenti alle due specie avevano un progenitore comune.

Per esempio con questo metodo gli scienziati hanno scoperto che uomo e scimpanzé fino a circa otto milioni di anni fa avevano un antenato comune.

 

METODI DI DATAZIONE RELATIVA

Le tecniche di cui abbiamo parlato finora sono tecniche di datazione assoluta, cioè permettono di risalire direttamente, con margini di errore più o meno grandi, all’epoca desiderata.

Esistono altresì metodi di datazione relativa che ci consentono di valutare se una roccia è più antica o recente di un’altra. Queste metodologie comprendono metodi stratigrafici, basati sul concetto per cui la successione delle rocce dal basso verso l’alto corrisponde alla successione degli eventi geologici che le hanno prodotte, metodi paleontologici, basati sull’utilizzo dei fossili intrappolati nelle rocce stesse, e metodi litologici, basati sul concetto che, in aree molto ristrette, rocce uguali presentano età uguali.

Queste tecniche vanno comunque usate con molta prudenza; soprattutto il metodo stratigrafico poiché particolari eventi geologici potrebbero avere completamente ribaltato la successione degli strati.

In quest’ambito riveste particolare importanza il paleomagnetismo. La Terra è un magnete e come tutti i magneti ha un polo nord e un polo sud. Oggi i poli magnetici quasi coincidono con il poli geografici ma, per ragioni che probabilmente hanno a che fare con il flusso e il riflusso del materiale magnetico al di sotto della crosta terrestre, in passato vi sono stati alcuni periodi di polarità inversa durante i quali i poli magnetici erano invertiti rispetto a quelli geografici; in altre parole il polo nord magnetico si trovava in vicinanza del polo sud geografico e il polo sud magnetico si trovava vicino al polo nord geografico.

Ora quando il magma eruttato dai vulcani si solidifica i minuscoli cristalli magnetici in esso contenuti si dispongono a seconda della polarità presente in quel momento; quindi studiando le rocce eruttive è possibile cartografare queste alternanze di polarità magnetica risalendo fino ad alcuni milioni di anni fa che possono poi essere datate con i metodi del decadimento radioattivo.

 

L’ETA` DEL MONDO CHE CI CIRCONDA

I metodi di datazione fin qui discussi sono quelli più importanti ed usati. Il panorama, per ovvi motivi di spazio, non è completo; vi sono diverse altre tecniche di datazione, come la racemizzazione degli amminoacidi o la luminescenza a stimolazione ottica, per la conoscenza dei quali rimandiamo il lettore alla consultazione di testi specializzati.

A questo punto siamo pronti per un’escursione temporale che, a partire dalla nostra epoca, ci porterà indietro nel tempo fino al primo mitico istante del Big Bang.

Secondo la tradizione la Sindone è il lenzuolo nel quale venne avvolto il corpo di Gesù Cristo dopo la crocefissione.

Secondo l’analisi del carbonio-14 condotta su alcuni frammenti la tela di lino conservata a Torino risalirebbe ad un periodo compreso fra il 1260 e il 1390 d.C. (ma per alcuni scienziati la questione è ancora controversa).

Nel Settembre del 1991 due turisti tedeschi, durante un escursione sulle Alpi dell’Otzal fra Italia e Austria, scoprirono casualmente ai piedi del ghiacciaio Hauslabjoch, a più di tremila metri di quota, il cadavere mummificato perfettamente conservato di uomo che emergeva parzialmente dal ghiaccio.

In un primo momento si pensò ad uno sfortunato escursionista, poi si cominciò a parlare di un soldato della prima guerra mondiale, poi il cadavere venne attribuito ad un uomo vissuto in epoca medievale; infine la mummia fu esaminata anche da Reinhold Messner, che si trovava casualmente in zona, il quale, fra lo scetticismo generale, ipotizzò un’età di tremila anni.

L’analisi del carbonio-14 effettuata su alcuni campioni della mummia e del suo equipaggiamento ha sciolto ogni dubbio: l’uomo ritrovato fra i ghiacci, battezzato ufficialmente “Uomo dello Hauslabjoch” (Uomo del Similaun è un’invenzione giornalistica dovuta al fatto che non lontano dal luogo del ritrovamento sorge il Rifugio Similaun), ha un’età compresa fra 5.200 e 5.300 anni.

Questa è una delle più grandi scoperte archeologiche di tutti i tempi: il cadavere di un uomo preistorico perfettamente conservato con tanto di abbigliamento ed equipaggiamento, una testimonianza di inestimabile valore del nostro lontano passato.

Anche in questo caso il fossile si presta molto bene all’analisi con la tecnica del carbonio-14 dalla quale risulta che il cranio ha 12 mila anni.

Il cranio in questione apparteneva ad uno degli ultimi esemplari di tigre dai denti a sciabola poiché la specie si estinse verso la fine dell’ultima glaciazione, circa 11.500 anni fa.

Se la scoperta dell’uomo dei ghiacci fu sensazionale quella di Lucy non fu da meno.

Nel Novembre del 1974 due paleoantropologi americani, mentre stavano perlustrando una zona del deserto etiopico denominata Afar, scoprirono lo scheletro fossile di un antichissimo australopiteco.

Gli australopitechi sono fra i più antichi antenati dell’uomo; infatti essi presentano caretteri tipicamente scimmieschi e caratteri decisamente umani. L’ultima specie di australopitechi si estinse più di un milione di anni fa.

Allo scheletro, battezzato ufficialmente con il nome di “Australopithecus Afarensis”, fu affibbiato il nomignolo ‘Lucy’ (dalla canzone dei Beatles ‘Lucy in the sky with diamonds’ che riecheggiava in continuazione durante la festa che si tenne nel campo degli scienziati in occasione della scoperta) con il quale è conosciuto a livello internazionale.

La scoperta fu così importante principalmente per due motivi: in primo luogo fu subito chiaro che Lucy era l’australopiteco più primitivo (e quindi anche più antico) allora conosciuto; inoltre lo scheletro è completo al quaranta per cento, una percentuale che ha del miracoloso per gente abituata a lavorare con frammenti di ossa e qualche dente.

Vista l’antichità del fossile il metodo del carbonio-14 non è più utilizzabile; però l’utilizzo contemporaneo del metodo del potassio-argo, di metodi stratigrafici e paleomagnetici e del metodo delle tracce di fissione ha permesso di datare con un certo grado di precisione il materiale all’interno del quale giaceva Lucy.

Le prime stime fornirono un’età di tre milioni e 500 mila anni; misure più recenti indicano un valore leggermente più basso pari a circa tre milioni e 180 mila anni.

Tecniche basate sul decadimento radioattivo indicano che lo strato inferiore ha un’età di due miliardi di anni (quasi la metà degli anni del pianeta) mentre metodi paleontologici indicano che lo strato superiore ha 250 milioni di anni; comunque il fiume Colorado ha cominciato a scavare la gola solamente cinque o sei milioni di anni fa.

Le prime distinte tracce chimiche di vita ritrovate sul nostro pianeta sono state scoperte in Groenlandia nella più antica roccia sedimentaria conosciuta; la datazione è stata possibile poiché la roccia era circondata da altra roccia leggermente più recente all’interno della quale sono stati individuati degli zirconi risalenti a tre miliardi e 900 milioni di anni fa.

Un altro zircone ha permesso di scoprire l’età della roccia più antica della Terra: quattro miliardi e 30 milioni di anni.

Il sistema solare si formò a partire dalla condensazione di una gigantesca nube di polveri e di gas; la parte centrale della nube andò a formare il Sole mentre con il materiale presente nelle zone periferiche si formarono i pianeti.

Negli anni ’50 il geochimico americano Clair Patterson confrontò il contenuto di uranio e piombo di alcune rocce terrestri con quello contenuto in alcune meteoriti: tutti i campioni indicavano una origine comune. Patterson calcolò per la Terra un’età pari a quattro miliardi e 550 milioni di anni.

Il Sole, insieme a tutte le stelle visibili ad occhio nudo e a miliardi di altre invisibili poiché troppo lontane o troppo poco luminose, si trova all’interno di un gigantesco agglomerato, di forma vagamente lenticolare, chiamato galassia; la galassia ha un diametro che si aggira intorno ai 100 mila anni luce e contiene dai 100 ai 200 miliardi di stelle.

Fino al 1924 era opinione largamente diffusa che la galassia fosse l’intero nostro universo; poi, con l’entrata in funzione del telescopio di Mount Wilson (allora il più grande del mondo), gli astronomi scoprirono che la nostra galassia è solamente una fra le tante e che il nostro universo è immensamente più grande di quanto creduto fino ad allora.

Alla luce delle conoscenze attuali l’universo può essere immaginato come un insieme di decine di miliardi di galassie separate da immensi e sterminati spazi vuoti; per dare un’idea delle distanze in gioco ricordiamo che la galassia esterna più vicina alla nostra, la galassia di Andromeda, dista due milioni e 300 mila anni luce mentre le galassie più lontane attualmente conosciute si trovano a distanze superiori ai dieci miliardi di anni luce.

Sempre nel corso degli anni ’20 fu scoperto che tutte le galassie si allontanano l’una dall’altra con velocità proporzionali alla distanza; questa importantissima scoperta mostrò in maniera inequivocabile agli astronomi che l’universo in cui viviamo si sta espandendo allo stesso modo in cui si espande la superficie di un palloncino quando vi soffiamo dentro.

È evidente che, se l’universo è in espansione, in passato il suo volume doveva essere più piccolo; supponendo di tornare sempre di più indietro nel tempo arriveremo ad un’epoca in cui tutta la materia dell’universo era concentrata in un volume molto piccolo.

Questi sono, in sintesi, i presupposti sui quali si basa la teoria del Big Bang oggi quasi universalmente accettata. Secondo questa teoria l’universo ebbe inizio con una gigantesca esplosione a partire da uno stato infinitamente caldo e denso; di conseguenza chiedersi quanti anni ha il nostro universo significa chiedersi quanti anni fa è avvenuto il Big Bang.

Per far ciò è necessario conoscere il tasso di espansione dell’universo, cioè come varia la velocità di recessione delle galassie in funzione della distanza, una quantità che viene espressa tramite un numerello denominato ‘costante di Hubble’, in onore di Edwin P. Hubble (1889-1953) scopritore dell’espansione; ma questo non basta. Infatti é lecito supporre che, a causa dell’effetto frenante della gravità, l’espansione in passato doveva essere più forte rispetto ad oggi; di conseguenza per una valutazione corretta dell’età dell’universo oltre alla costante di Hubble è necessario conoscere anche questo tasso di rallentamento dell’espansione, una quantità che viene espressa tramite un altro numero denominato ‘parametro di decelerazione’.

Le misure della costante di Hubble e del parametro di decelerazione sono molto difficili da effettuare; le ultime stime realizzate intorno alla metà degli anni Novanta indicano per l’universo un’età pari a tredici miliardi di anni.

Purtroppo questo valore è troppo piccolo per potere essere accettato; infatti stime effettuate sulle stelle più vecchie contenute negli ammassi globulari (grossi agglomerati di centinaia di migliaia di stelle che si trovano all’esterno della nostra galassia) indicano per queste ultime un’età che può arrivare fino a quattordici miliardi di anni. È evidente allora che l’universo non può essere più giovane degli oggetti in esso contenuti. E così la teoria del Big Bang entrò in una grossa crisi (con grande gioia dei pochi e irriducibili detrattori della teoria stessa).

Ma non tutto è perduto. La teoria potrebbe essere salvata se si ammette che l’espansione dell’universo, anziché essere rallentata, sia accelerata; in altre parole oltre all’effetto frenante della gravità dovrebbe esistere un effetto accelerante sconosciuto. È evidente che se l’universo è in espansione accelerata la sua età deve essere maggiore di quei tredici miliardi di anni che tanto infastidiscono gli astronomi.

Ebbene nel 1998 uno studio condotto su un particolare tipo di supernovae (terrificanti esplosioni stellari) ha fornito indizi molto consistenti a favore di una espansione accelerata; in altre parole esisterebbe una componente accelerante (di origine ancora non del tutto chiara) che supera la componente frenante dovuta alla gravità. L’età dell’universo si dovrebbe allora collocare fra quindici e diciotto miliardi di anni (e molti astronomi tirarono un grosso sospiro di sollievo).

 


Appendice A
Principali orologi naturali


Metodi basati sul decadimento radioattivo
:

Uranio-Piombo (minerali) ….…………………………………... da 1 milione a 4,5 miliardi di anni

Rubidio-Stronzio (minerali) …………………………………… da 60 milioni a 4,5 miliardi di anni

Potassio-Argo (minerali) …………………………………………… da 10.000 a 3 miliardi di anni

Tracce di fissione (minerali, vetro naturale) …………………...… da 500.000 a 1 miliardo di anni

Disequilibrio della famiglia dell’Uranio
            (minerali, conchiglie, ossa, denti, corallo) ……………………..….……. da 0 a 400.000 anni

Carbonio-14 (conchiglie, legno, ossa, denti) ………………………………….. da 0 a 40.000 anni


Metodi di eposizione a radiazioni
:

Termoluminescenza (minerali), Luminescenza a stimolazione ottica
            (minerali, vetro naturale) …………………………….…………………. da 0 a 500.000 anni

Risonanza elettronica di spin
            (minerali, smalto dei denti, conchiglie, corallo) …..…………….. da 1.000 a 1 milione di anni


Altre metodologie
:

Paleomagnetismo (minerali) ……………………………………. da 780.000 a 200 milioni di anni

Racemizzazione degli amminoacidi (carbonati di origine biologica) …….. da 500 a 300.000 anni

Idratazione dell’ossidiana (vetro naturale) ……………………………….. da 500 a 200.000 anni

Dendrocronologia (anelli degli alberi) ………………………………………… da 0 a 12.000 anni

Lichenometria (licheni) …………………………………….………………... da 100 a 9.000 anni

 


Appendice B
Esempio di calcolo di una data con il metodo Potassio-Argo

Come accennato in precedenza questa tecnica viene usata per calcolare l’età di campioni di minerali. Si può procedere nella seguente maniera:

1 ) Con procedimenti standard di laboratorio si misura la dimensione del campione e il suo contenuto di potassio; da queste misure si ricava che il campione contiene un decimo di grammo (1/10 g) di potassio.

2 ) Si calcola la velocità di decadimento annua per un campione di tali dimensioni. In un grammo di potassio il potassio-40 decade in argo-40 alla velocità di 3,5 atomi al secondo. Abbiamo visto come la velocità di decadimento dipenda dalla quantità di materiale radioattivo presente; però in questo caso la velocità di decadimento è talmente bassa (il tempo di dimezzamento del potassio è pari a un miliardo e trecento milioni di anni) che, per intervalli di tempo non troppo lunghi (qualche milione di anni), possiamo ritenerla costante nel tempo.

Di conseguenza la velocità di decadimento annua di un grammo di potassio è pari a:

3,5 atomi/secondo x 31.536.000 secondi/anno = 110.376.000 atomi/anno

e quella di un decimo di grammo è pari a 11.037.600 atomi/anno. In altre parole un decimo di grammo di potassio produce 11.037.600 atomi di argo-40 all’anno.

3 ) Si vaporizza il campione e lo si invia ad un particolare strumento (lo spettrometro di massa) per valutare quanti atomi di argo-40 sono presenti nel campione. Questa è un’operazione delicata poiché nel campione vaporizzato potrebbe essere presente una certa quantità di aria residua che a sua volta contiene tracce di argo-40 il quale andrebbe ad inficiare i nostri calcoli.

Per discriminare l’argo-40 prodotto nel decadimento da quello presente nell’aria residua si sfrutta il fatto che nell’aria è presente un altro isotopo dell’argo, l’argo-36, il quale non compare nel decadimento; poiché nell’aria è presente un atomo di argo-36 ogni 295,5 atomi di argo-40 è sufficiente conoscere il numero di atomi di argo-36 presenti nel campione per ottenere il numero totale di argo contaminante ed eliminarlo dai nostri calcoli.

Nel nostro esempio la lettura dello spettrometro di massa ci fornisce i seguenti valori:

36.765.875.000.000 atomi di argo-40 (decadimento + aria residua)

27.070.000.000 atomi di argo-36 (solo aria residua)

A questo punto siamo in grado di calcolare il numero di atomi di argo-40 contaminanti presenti nell’aria residua:

27.070.000.000 x 295,5 = 7.991.850.000.000 atomi di argo-40 (aria residua)

Questo valore va ovviamente sottratto da quello indicante il numero totale di atomi di argo-40 presenti nel campione per ottenere il numero di atomi di argo-40 prodotti dal solo decadimento del potassio:

36.765.875.000.000 - 7.991.850.000.000 = 28.774.025.000.000

Questo è il numero di atomi di argo-40 emessi dal campione a causa del decadimento.

4 ) Si calcola l’età del campione tenendo conto della velocità di decadimento annua calcolata in precedenza:

28.774.025.000.000 atomi di argo-40 / 11.037.600 atomi di argo-40/anno = 2.606.909,5 anni

Risultato finale: il campione ha due milioni e seicentomila anni.

 

 

Monografia n.86-2003/3


 

(Nota 1) per gli amanti dei numeri la legge che regola il decadimento radioattivo è la seguente:

N = N0 e-At

dove N e il numero di atomi presente all’istante t, N0 è il numero di atomi presente all’istante iniziale e A è una costante, denominata ‘costante di decadimento’ che varia da un elemento all’altro.

 

Monografia n.86-2003/3


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