LAPLACE ED HERSCHEL: la “costruzione” dell'Universo
di Oriano Spazzoli

 

Pierre Simon de Laplace

A cavallo tra il XVIII e il XIX secolo la teoria della gravitazione universale rappresentava la base fisica del funzionamento dell’Universo intero. Allo stesso tempo il formalismo matematico dell’analisi si era sviluppato nel senso di una sempre maggiore applicabilità ai problemi di meccanica dei sistemi. La fiducia nella possibilità previsionale dei modelli matematici crebbe al punto da mettere in discussione il fatto che la struttura, la stabilità e la nascita stessa dell’Universo dovessero richiedere interventi superiori (lo stesso Newton riteneva che la gravità da sola non era sufficiente a garantirle). Il nuovo punto di vista secondo il quale studiando analiticamente l’evoluzione di un sistema autogravitante si potessero ricavare delle condizioni di stabilità, e che quindi l’esistenza dell’Universo e le sue caratteristiche si potessero spiegare soltanto attraverso leggi meccaniche, si pose in aperto contrasto con la visione teologica tradizionale, che considerava l’universo creato e modellato dall’intervento di Dio. All’affermarsi di questa nuova idea diede un grande contributo Pierre Simon de Laplace, grande fisico matematico normanno, nato a Beaumont – en – Auge il 23 Marzo 1749 da famiglia umile (il padre era agricoltore), che dimostrato prestissimo uno straordinario talento matematico, poté proseguire gli studi fino a divenire professore di matematica all’Ecole Royale Militaire di Parigi a soli 20 anni con l’aiuto di D’Alembert.

Il suo interesse si rivolse subito alla gravitazione universale e alle basi della teoria, riassumibili in quattro punti fondamentali:

  1. la forza gravitazionale è direttamente proporzionale alla massa ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza,
  2. l’attrazione gravitazionale di un sistema è la somma delle forze di attrazione esercitate da ciascuna delle sue parti,
  3. la forza gravitazionale si propaga istantaneamente,
  4. essa agisce allo stesso modo sia sui corpi fermi che su quelli in movimento.

Laplace discusse queste ipotesi, considerando che la (1) fissasse l’unica dipendenza compatibile con l’idea di un Universo sempre simile a se stesso qualunque fosse la sua evoluzione, e riflettendo sulla velocità di propagazione della forza gravitazionale alla luce dell’osservazione di J. Bradley dell’aberrazione delle stelle dovuta al moto della Terra intorno al Sole e alla finitezza della velocità della luce. I suoi primi studi sulla gravità approdarono ad interessanti calcoli sulle anomalie della rivoluzione lunare (la “accelerazione secolare”).

Uno dei principali obiettivi del suo lavoro fu infatti riuscire a dedurre le anomalie del comportamento dei corpi celesti del sistema solare dalla teoria gravitazionale con esattezza, in contrasto con quanto lo stesso Newton pensava.

Da questo intento ambizioso scaturì la stesura della monumentale Mecanique céleste.

Obiettivi del suo lavoro successivo (come testimonia la memoria fondamentale Exposition du système du monde) furono:

  1. dimostrare che le leggi della meccanica (e in particolare la gravitazione universale) erano in grado di giustificare l’esistenza di un Universo in equilibrio,
  2. dimostrare che tali leggi potevano rendere conto interamente dell’origine dell’Universo stesso.

La ricerca di questi obiettivi ispirò il lavoro successivo che condusse alla nota teoria sulla formazione del sistema solare; quest’ultima formalizzò nel linguaggio dell’analisi matematica l’idea evoluzionistica dal filosofo I. Kant. Laplace, dimostrando come una nube in contrazione e rotazione, aumentando la sua velocità di rotazione mentre diminuiscono le sue dimensioni (per la conservazione del momento angolare), si appiattisse fino a perdere il bordo esterno che, trasformatosi in un anello rapidamente rotante, si frazionava formando i pianeti. Di contro la parte interna continuava la sua contrazione, e da essa aveva origine il Sole.

Questa idea, pur modificata nei dettagli alla luce degli sviluppi della Fisica di questo secolo, è sopravvissuta fino ad oggi nelle sue linee generali.

 

William Herschel: la “Costruzione del Cielo”

La vita di W. Herschel (nato ad Hannover il 15 Novembre 1738, terzo di sei fratelli) fu molto diversa da quella di un talento precoce come Laplace; la sua formazione culturale originaria e la sua maturazione di uomo di scienza furono del tutto particolari. Basti pensare che Herschel studiò anzitutto da musicista, sia strumentista che compositore, e si può ritenere che in virtù della sua abilità in questo campo ottenne un incarico di oboista nella banda dell’esercito al servizio della dinastia degli Hannover. Quando l’esercito fu sconfitto nella guerra dei trent’anni e si dissolse, William si trasferì in Inghilterra, dove si mantenne per molto tempo impartendo lezioni di musica, suonando l’organo nella chiesa di Bath e componendo.

Racconta la sorella Caroline (che egli fece venire in Inghilterra come cantante e che successivamente lo aiutò molto nelle sue osservazioni) che proprio in quegli anni egli dapprima affittò un telescopio nel 1773, per poi cominciare a costruirsene uno con le componenti recuperate, e successivamente a prepararsele da solo, lavorandosi gli specchi.

Occorre precisare che i telescopi che Herschel costruiva e utilizzava erano telescopi riflettori, ovvero telescopi che hanno come componenti ottiche (a) uno specchio concavo a fungere da obiettivo, (b) uno specchio secondario piano e (c) una lente biconvessa a distanza focale corta a fungere da oculare, con il compito di determinare l’ingrandimento angolare dell’immagine osservata (ingrandimento che è dato dal rapporto tra le distanze focali dell’obiettivo e dell’oculare); tale versione del telescopio riflettore rappresenta la più semplice ed la sua ideazione si deve ad Isaac Newton (esso viene chiamato ancora “telescopio Newton” per distinguerlo da altre versioni lievemente più complesse, come il “telescopio Cassegrain”, adatte a particolari necessità d’osservazione).

Così William Herschel divenne abile costruttore di telescopi; come fabbricante di strumenti ottici naturalmente doveva collaudarli, e questa operazione acquistò ben presto il carattere di una ricerca osservativa altamente professionale, con uno scopo conoscitivo ben preciso: quello di comprendere dall’osservazione diretta del cielo con telescopi sempre più potenti e quindi dalla conoscenza del maggior numero di particolari, la struttura dell’Universo. Il suo compito divenne la “costruzione dell’Universo”; con il suo lavoro la descrizione del cielo passò dalle due dimensioni (la sfera celeste, sulla quale la posizione è definita da due sole coordinate angolari) alle tre dimensioni, cioè allo studio della distribuzione delle stelle nello spazio.

A questo scopo furono dirette le sue ricerche sulle stelle doppie, che egli non considerava sistemi fisici costituiti da corpi celesti vicini e rotanti intorno al comune centro di gravità, ma stelle che risultavano vicine soltanto apparentemente a causa dell’allineamento delle loro direzioni nel cielo. In tal modo l’osservazione e la catalogazione delle stelle doppie, non era per lui importante di per sé, ma perché gli consentiva di selezionare quelle stelle doppie nelle quali la componente più debole (per H. anche la più lontana) aveva parallasse trascurabile: in queste si sarebbe potuto, sempre secondo Herschel, determinare la parallasse della compagna più luminosa dallo spostamento angolare rispetto alla compagna. La sua idea, per quanto ingegnosa, tuttavia non gli consentì di misurare mai la parallasse di una stella con certezza (il primo a farlo fu F. W. Bessel nel 1837 con la stella 61 Cygni, seguito da W. Struve con Vega e da T. Henderson con a Centauri), in quanto la risoluzione delle sue osservazioni non scese mai sotto il secondo d’arco, e sappiamo che le parallasse stellari sono inferiori (0,31” per 61 Cygni). Ad ogni modo le sue osservazioni delle stelle doppie (cui collaborò notevolmente la sorella Caroline) gli permisero di catalogarne inizialmente (nel 1782) 269, delle quali 227 mai identificate prima come tali, e nel 1821 ben 848.

Già con la pubblicazione del primo catalogo però, divenne chiaro dall’indagine del reverendo John Mitchell (il primo “teorizzatore” dell’esistenza dei “buchi neri”) che le stelle doppie non erano un fenomeno dovuto soltanto all’allineamento delle loro direzioni; ciò divenne evidente dal fatto che la loro frequenza era più elevata di quella prevista per una distribuzione puramente casuale di stelle nello spazio. Naturalmente queste deduzioni toglievano allo studio delle stelle doppie il significato cosmologico che era stato attribuito ad esso da Herschel.

Inoltre in tal modo veniva invalidata l’ipotesi che Herschel aveva considerato alla base del suo lavoro di costruzione di un modello di struttura su larga scala dell’Universo, secondo la quale tutte le stelle dovevano avere all’incirca la stessa luminosità, e che avrebbe consentito di collocarle a distanze determinabili soltanto in base alla luminosità apparente.

Un’ipotesi di questo tipo, oggi che sappiamo bene come le stelle differiscano molto tra loro per luminosità, colore e caratteristiche fisiche, potrebbe sembrare grossolana, ma dobbiamo ricordare che essa è stata adottata più volte anche in tempi più recenti, in particolare da Edwin Hubble con riferimento alle galassie e, più recentemente, per i quasar nel definire una relazione teorica magnitudine apparente – redshift.

In ogni caso sulla base di questa ipotesi e assumendo che le stelle fossero distribuite uniformemente, Herschel determinò un modello rudimentale della nostra galassia: essa risultava un ellissoide schiacciato e irregolare, nel quale due bracci si snodavano da un punto visibile nel cielo tra le costellazioni di Cassiopea e Cefeo.

Le nebulose

La fiducia estrema di Herschel nei telescopi e nella loro capacità di mostrare particolari sempre più minuti del cielo, attraverso il miglioramento del loro potere risolutivo, e quindi di distinguerne strutture sempre più piccole lo portò a interessarsi degli oggetti più misteriosi che i telescopi potevano scorgere nel cielo: le “nebulose”.

Con il nome di nebulose si indicavano a quel tempo quegli oggetti celesti che si presentavano con una luminosità diffusa che nella maggior parte dei casi circondava una o più stelle come se fosse emessa da una tenue atmosfera gassosa che circondava la componente stellare centrale.

Herschel, convinto come era del fatto che un telescopio sufficientemente potente sarebbe stato in grado di risolvere qualsiasi nebulosa mostrando che essa, come la via Lattea, era costituita da una moltitudine di stelle, arrivò a catalogare oltre 2.500 nebulose. Tuttavia osservazioni con telescopi sempre più grandi (giunse a costruirne uno che aveva uno specchio di diametro di 1,2 metri e di distanza focale di 12 metri) gli mostravano sempre nuovi oggetti nebulari, a loro volta non risolvibili in stelle.

In ogni caso le osservazioni sistematiche permisero a Herschel di classificare numerosi tipi di nebulose; tra esse alcune mostravano di essere costituite da una specie di nucleo puntiforme centrale avvolto da una atmosfera di forma ellittica. Pochi decenni più tardi William Parsons, conte di Rosse, risolse una di queste atmosfere riuscendo a distinguere le stelle che costituivano la nebulosa nella costellazione dei Cani da caccia, e rivelandone la natura di galassia.

Malgrado i tentativi di H. di costruzione dell’Universo non abbiano conseguito i risultati da lui sperati, è importante sottolineare la sua grande lungimiranza nel comprendere come dall’osservazione di molti oggetti fosse possibile trarre indicazioni sull’evoluzione dei corpi celesti. Infatti nonostante il tempo delle osservazioni sia comunque troppo breve rispetto ai tempi evolutivi degli oggetti celesti, l’osservazione contemporanea di una moltitudine di oggetti offre una rassegna di tutti i loro stadi evolutivi, allo stesso modo in cui l’osservazione di un campione di molte persone selezionate casualmente in un comunità, ci offre la possibilità di vederne i diversi stadi della crescita e dell’invecchiamento.

Oltre a tutto ciò Herschel è passato alla storia per quello che è oggi considerato, a ragione o a torto, il suo risultato più importante: la scoperta del settimo pianeta del sistema solare.

Urano

Nel 1778 W. H. aveva costruito un piccolo telescopio riflettore del diametro di 17 centimetri e di distanza focale dello specchio pari a 2,3 metri. Con questo telescopio egli (introdotto nel frattempo nell’ambiente della Royal Society dall’amico William Watson) iniziò la rassegna delle stelle doppie; e proprio durante le sue prime osservazioni di stelle doppie, il 13 Marzo 1781 nella costellazione dei Gemelli notò un oggetto, che non riuscì a riconoscere, e che osservato con un telescopio più potente si rivelò non puntiforme. Inizialmente lo classificò come una cometa ancora lontana dal Sole, e per questo non provvista della coda caratteristica. In seguito però la sua posizione lungo l’eclittica (le orbite cometarie, si sa, non si trovano sul suo piano) ed il suo successivo movimento apparente lo classificarono come un nuovo pianeta del sistema solare la cui orbita si collocava oltre Saturno in una posizione compatibile con la legge di Titius – Bode (una semplice progressione numerica che permette di calcolare agevolmente le distanze medie dei pianeti dal Sole).

In omaggio al re Giorgio III, Herschel attribuì al nuovo pianeta scoperto il nome di Georgium sidus (“astro Giorgio” o “astro di Giorgio”); solo in seguito, più opportunamente e coerentemente con le denominazioni degli altri pianeti, Johann Elert Bode gli suggerì di cambiarne il nome in “Urano”.

Negli anni seguenti H. scoprì anche quattro satelliti di Urano; curiosamente attribuì ad essi nomi tratti dal “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare, in omaggio al grande drammaturgo: Ariel, Umbriel, Titania e Oberon (in ordine crescente di distanza dal pianeta). La scoperta dei satelliti e la loro osservazione sistematica consentì di stimare la massa di Urano (poco meno di 20 volte la massa della Terra). Per la scoperta di Urano Herschel fu insignito della “Copley Medal” presso la Royal Society e fu ricevuto personalmente dal re Giorgio III, il quale gli garantì una pensione annua di 200 sterline in cambio del solo obbligo di mostrare il cielo alla famiglia reale ogni tanto.

 

Conclusioni

Con Laplace ed Herschel la Scienza del Cielo compie un grande salto di qualità: Pierre Simon de Laplace si può considerare a buon diritto il capostipite di una tipologia di Fisici che hanno elaborato modelli teorici dell’Universo fondati sulla teoria che descrive l’interazione tra le masse nello spazio (questo tipo di indagine un secolo e mezzo dopo portò ai modelli relativistici della struttura e dell’evoluzione dell’Universo), mentre W. Herschel è stato indiscutibilmente il fondatore della moderna cosmologia osservativa, che determinando distanze e dimensioni dei corpi celesti ha fornito i termini di valutazione delle teorie cosmologiche.

Con loro comincia a definirsi nei metodi di ricerca quell’intrecciarsi di speculazioni teoriche, sempre corredate di sviluppi del linguaggio matematico, e di osservazioni e loro dirette deduzioni, che ha condotto alla moderna visione di un Universo dinamico del quale si cerca una difficile conciliazione tra molteplicità e unità.

 

Bibliografia di riferimento:

 

Monografia n.74-2002/1


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