PENSIERI SULLA VIA LATTEA
di Oriano Spazzoli

 

"Il viaggio" disegno di Oriana Spazzoli

 

«Quello che in terzo luogo osservammo è l’essenza o materia del cerchio latteo, il quale attraverso il cannocchiale si può vedere in modo così palese che tutte le discussioni che per tanti secoli hanno travagliato i filosofi, si dissipano con la certezza della sensata esperienza, e noi siamo liberati da sterili dispute. La Galassia infatti non è che un ammasso di innumerevoli stelle disseminate a mucchi; in qualunque parte si rivolga il cannocchiale sempre si offre alla vista un grandissimo numero di stelle, molte delle quali si vedono abbastanza grandi e ben distinte, mentre la moltitudine delle più piccole è del tutto inesplorabile

Con queste parole Galileo Galilei nel “Sidereus Nuncius”, illustrando i risultati delle sue osservazioni con il cannocchiale, da lui perfezionato tecnicamente, pose fine a numerose “sterili dispute” filosofico-scientifiche precedenti, sulla costituzione di quella fascia che, con la sua debole luminosità diffusa, divide la sfera celeste in due emisferi e che viene ancora oggi denominata “Via Lattea”.

Il tentativo di giustificarne l’esistenza e di interpretarne la struttura affonda le sue origini nel mito e nelle tradizioni più antiche: in particolare nella mitologia greca si faceva derivare la Via Lattea sia da una goccia di latte che schizzò dal seno di Era sulla volta del cielo notturno mentre allattava Eracle (nato dall’adulterio di Giove con una donna mortale, Alcmena), ammirata dalla sua forza dopo avergli visto uccidere i serpenti che, per gelosia verso la madre naturale, gli aveva inviato nella culla, sia dalla scia lasciata dal carro del Sole concesso per un giorno dal dio Apollo al figlio Fetonte, il quale, ignorati i consigli e le esortazioni alla prudenza del padre, ne perse il controllo conducendolo fuori del suo corso quotidiano.

I filosofi della Scuola Pitagorica formularono sulla Via Lattea un’ipotesi ispirata proprio al mito di Fetonte, affermando che essa dovesse essere prodotta dall’uscita del Sole dal proprio cammino; in conseguenza di ciò esso bruciò la parte di cielo attraversata lasciando traccia evidente del suo passaggio. Aristotele, d’altra parte, riteneva che essa fosse prodotta dalle esalazioni della sfera del fuoco, ultima di quelle appartenenti al mondo sublunare, come del resto anche le meteore luminose, le cosiddette “stelle cadenti” o “filanti” (le scie lasciate nel cielo da meteoriti) nonché le stesse comete.

Sorprendentemente Dante Alighieri nel suo Convivio (II-15) anticipò casualmente la scoperta di Galileo, attribuendo ad Aristotele l’intuizione che «la Galassia non è altro che moltitudine di stelle fisse in quella parte tanto picciole che distinguer di quaggiù non le potemo; ma di loro apparisce quello albore, il quale noi chiamiamo Galassia», nonostante non sia mai stata trovata un’affermazione simile in alcuna parte dell’opera aristotelica e lo stesso Dante la consideri una libera interpretazione, forse errata, dei traduttori latini.

Oggi sappiamo che la Via Lattea è ciò che si vede (volgendosi nelle direzioni che si trovano sul suo piano “equatoriale”) dall’interno del grande sistema costituito da cento miliardi di stelle (galassia) di cui fa parte anche il nostro Sole, e che essa rappresenta soltanto uno tra i tanti sistemi di questo tipo esistenti nell’universo (e neppure il più grande e il più popolato di stelle).

Nel XVIII secolo William Herschel, favorevole all’ipotesi dell’esistenza di sistemi stellari di ordine superiore (della quale fu assertore lo stesso Kant), volle costruire un modello strutturale della nostra galassia. Il fatto che dalla terra sia visibile una concentrazione di stelle poco luminose (perché molto lontane) tale da formare un cerchio massimo nella sfera celeste lo portò a pensare che essa avesse la forma di un cilindro molto schiacciato (una specie di “macina”). In tal modo un osservatore posto all’interno volgendosi in una direzione parallela all’asse del cilindro potrebbe vedere ciò che l’osservazione del cielo effettivamente mostra, ovvero una minore densità di stelle tutte ben visibili perché alquanto vicine alla terra, mentre volgendo lo sguardo lungo il piano perpendicolare all’asse vedrebbe le stelle assai fitte e distribuite entro un ampio spettro di distanze (fino al bordo esterno del disco galattico).
Herschel tentò di misurare la densità stellare nelle varie zone del cielo, pensando di poter ricavare da essa la distanza massima lungo la linea visuale entro la quale si trovavano le stelle; affinché ciò gli fosse possibile egli dovette assumere sia il fatto che le stelle fossero tutte delle stesse dimensioni, sia che la loro distribuzione nello spazio fosse uniforme (sfruttò la proporzionalità diretta tra il volume del cono visuale e il numero di stelle che vi poteva contare e la proporzionalità diretta tra lo stesso volume e la terza potenza della sua altezza, che coincide con la distanza dal limite della galassia lungo la linea visuale). In tal modo poté farsi un’idea, seppur approssimativa, della forma della galassia che gli risultò essere meno regolare (“tortuosa e ramificata”) di come l’aveva ipotizzata inizialmente.

Ad ogni buon conto allora e, in seguito, per oltre un secolo si continuò a ritenere che il Sole occupasse il centro di simmetria del sistema stellare cui apparteneva.

Alla fine del XIX secolo l’astronomo olandese J. C. Kaptein affermò, sulla base delle osservazioni fatte, che la nostra galassia avesse la forma di un ellissoide di rotazione con un diametro di 50.000 anni luce, il cui centro coincideva con la posizione del Sole.

Venti anni più tardi poi Shapley notò che oggetti particolari appartenenti alla nostra galassia, gli ammassi globulari (gruppi di decine di migliaia di stelle disposte in strutture a simmetria sferica), hanno una distribuzione a loro volta a simmetria sferica, diversa da quella della restante componente stellare e soprattutto con un centro non coincidente con il Sole. Non c’era più alcun motivo ora per ritenere il Sole al centro del nostro grande sistema.

Lo sviluppo della ricerca astrofisica e astronomica (in particolare le moderne teorie sulla struttura e l’evoluzione delle stelle, applicazioni della fisica del XX secolo) ha permesso di determinare oggi la morfologia della nostra galassia: essa è costituita da un disco alquanto schiacciato con un rigonfiamento centrale (il “bulge” parola inglese che significa bulbo) dal quale partono due bracci principali cui corrispondono altrettanti addensamenti di materia e che si snodano a spirale lungo il disco. Inoltre sono state definite le sue dimensioni massime: il suo diametro si considera tuttora di circa 100.000 anni luce, doppio cioè di quello calcolato da Kaptein, mentre lo spessore del disco è di 6-7.000 anni luce. Il Sole si trova all’interno del disco a circa 30.000 anni luce dal centro della nostra galassia.

Vi è inoltre una ulteriore componente, il cosiddetto “alone galattico”, di forma sferica e nel quale si trovano ammassi globulari e gas diffuso: esso è tuttora oggetto di studio per il contributo che può fornire la massa in esso contenuta alla stabilità dinamica della galassia.

 

Come appare

Via LatteaCome abbiamo già accennato, la Via Lattea si mostra a noi osservatori sulla terra come una debole fascia luminosa che disegna per tutta la volta celeste un cerchio massimo attraversando o sfiorando le costellazioni di Cefeo, Cassiopea, Perseo, Auriga, Toro, Orione, Gemelli, Cane maggiore (la costellazione di Sirio), quelle tipiche del cielo estivo come il Cigno, la Lira, la Freccia, la Volpe, l’Aquila, Serpente e Ofiuco (o Serpentario), Sagittario e Scorpione, e infine costellazioni del cielo australe non visibili alla nostra latitudine quali Vela, Carena (ove si trova Canopo, la seconda stella più luminosa dell’intera volta celeste), la Croce, la Mosca, il Triangolo Australe, l’Altare e il Lupo.

Occorre ricordare ancora che con Via Lattea si intende normalmente il nome che caratterizza l’effetto ottico che si presenta nelle direzioni visuali prossime al piano del disco galattico (latitudine galattica 0°), dovuto al fatto che in quest’ultimo si trova la maggior parte della materia contenuta nella nostra galassia.

Le stelle, meno fitte, che si vedono in direzione perpendicolare al disco galattico (latitudine galattica 90°), appartengono alla nostra galassia anche se non vengono considerate facenti parte della Via Lattea.

Nella Via Lattea si possono poi individuare i bracci a spirale del nostro sistema galattico: il braccio di Perseo che vediamo nella costellazione omonima e che si trova a 8.000 anni luce da noi verso l’esterno, il braccio del Sagittario a circa 6.000 anni luce da noi verso il centro e il braccio di Orione nella cui parte più interna si trova la nostra stella.


The Milky Way, was taken with NASA's Cosmic Background Explorer (COBE)

 

Componente stellare

La grande estensione del disco galattico permette di vedere nelle direzioni del suo piano campi stellari costituiti da una grande quantità di stelle di piccola luminosità (perché molto lontane), a volte raggruppate in strutture denominate “ammassi stellari”.

Questi a loro volta si suddividono in due categorie: ammassi aperti e ammassi globulari.

Entrambi sono sistemi fisici costituiti da stelle legate gravitazionalmente tra di loro, ma, mentre i primi contano decine o talvolta centinaia di stelle, hanno una forma irregolare e appartengono al disco galattico, gli ultimi invece, come abbiamo già riferito, sono assai più grandi in quanto contano fino a centinaia di migliaia di stelle, hanno una forma che evidenzia una simmetria sferica della distribuzione (la distanza media tra le stelle al centro della struttura è dell’ordine di 1 anno luce circa) e sono distribuiti in tutta la galassia fino all’alone sferico. Per tutti questi motivi gli ammassi aperti visibili dalla terra hanno distanze minori da noi rispetto a quelli globulari (le cui distanze giungono fino a decine di migliaia di anni luce).

Tra i primi ricordiamo le Pleiadi (ammasso aperto che si trova spostato leggermente a Nord rispetto alla Via Lattea), il Presepe, nella costellazione del Cancro (distante da noi circa 500 anni luce), la coppia di ammassi h e c Persei, M 6 nello Scorpione, detto ammasso della “farfalla”, M 7, anch’esso nella costellazione dello Scorpione, che gli Arabi chiamarono “tali al shaula” ovvero “stella nebulosa che segue l’aculeo dello scorpione” (la “M” indica l’appartenenza al catalogo di oggetti non stellari elaborato dall’astronomo francese Messier).

Tra gli ammassi globulari che si trovano in prossimità della via Lattea citiamo invece M 4 ed M 80 nella costellazione dello Scorpione e M 22 nella costellazione del Sagittario.

Le stelle della nostra galassia vengono normalmente suddivise in due popolazioni stellari: le stelle di popolazione, I che si trovano nel disco della galassia, sono più giovani (le più luminose appartengono ai tipi spettrali O e B) e più ricche di metalli e hanno una velocità rispetto al sole alquanto bassa (poche decine di Km/sec), e le stelle di popolazione II che hanno caratteristiche opposte (in particolare si ritiene che la loro formazione si sia interrotta dieci miliardi di anni fa). Le argomentazioni che spiegano l’assenza di ammassi globulari tra le latitudini galattiche di 15° e -15° ci conducono alla parte successiva della nostra trattazione.

 

Componente non stellare: gas e polvere

Lungo il disco galattico ed in particolare in corrispondenza dei bracci a spirale (onde di densità che attraversano il disco galattico), si concentra la componente della galassia costituita dalla polvere cosmica (polvere di grafite e silicati) e dal gas (in prevalenza idrogeno, l’elemento più diffuso nell’universo).

Benché il contributo principale alla massa della nostra galassia sia dato dalle stelle, la polvere ed il gas nonostante la densità media del gas sia di appena un atomo di idrogeno ogni centimetro cubo e la densità dei granuli di polvere sia di gran lunga inferiore a quella del gas (si calcola che sia pari ad un granulo di polvere ogni chilometro cubo), rivelano la loro presenza in maniera alquanto spettacolare. Ciò è possibile perché la luce può essere diffusa dai granuli di polvere, che per quanto assai radi sono disseminati sul suo lungo cammino in grande quantità (per via della grande distanza) e perché gli atomi del gas possono emettere luce dopo essere stati riforniti di energia dalla radiazione ultravioletta di una stella molto calda.

Il primo dei due fenomeni è responsabile del manifestarsi delle cosiddette “nebulose a riflessione”, nubi di polvere di cui è visibile la luce che diffondono (allo stesso modo in cui diviene visibile il pulviscolo atmosferico quando in una stanza inizialmente buia penetra un raggio di luce), e delle cosiddette “nubi oscure” visibili perché diffondendo a loro volta la luce delle sorgenti poste dietro di esse la oscurano (l’interruzione della Via Lattea tra le costellazioni dell’Aquila e del Sagittario è dovuta alla presenza in quella direzione di una grande quantità di materia oscura).

Il secondo è responsabile invece del palesarsi ai nostri occhi della meravigliose “nebulose diffuse” e delle strane “nebulose planetarie” così denominate perché appaiono al telescopio come deboli dischi, proprio come i pianeti. Nelle nebulose diffuse si creano le condizioni di densità e temperatura per la formazione delle stelle e la loro presenza in corrispondenza dei bracci a spirale ci informa del ruolo fondamentale di questi ultimi nella formazione stellare.

La componente gassosa della nostra galassia può essere rivelata anche attraverso l’emissione di onde alle frequenze radio e in particolare alla lunghezza d’onda di 21cm; essa è la lunghezza d’onda della radiazione che un atomo emette quando passa dallo stato in cui gli “spin” del suo elettrone e del suo protone sono paralleli (ovvero elettrone e protone hanno lo stesso verso di rotazione) allo stato in cui sono antiparalleli.

Dalla mappa della galassia ottenuta con i radiotelescopi alla lunghezza d’onda di 21cm si ricava la distribuzione dell’idrogeno neutro nella nostra galassia.

 

La rotazione della nostra galassia e il “mistero” di Sagittarius A

Le misure effettuate per determinare le velocità delle stelle vicine (la misura dell’effetto Doppler della luce stellare per stabilire la velocità di allontanamento, nel caso dello spostamento delle righe spettrali verso il rosso, o la velocità di avvicinamento nel caso dello spostamento verso il blu, e la misura della “parallasse secolare” ovvero del piccolo spostamento apparente nella volta celeste) hanno permesso di mettere a punto un quadro dinamico della nostra galassia in cui le stelle e tutta la materia rimanente sono in rotazione intorno al centro galattico con una velocità angolare che non è la stessa al variare della distanza dal centro (in modo tale che tutti i punti non compiano un giro nello stesso tempo, come si verificherebbe se la galassia fosse un corpo rigido); per questo la galassia viene definita un sistema in “rotazione differenziata”.

Per effetto di tale rotazione, il Sole ruota intorno al centro con una velocità di 250 Km/sec.

Inoltre la conoscenza della relazione tra la velocità della rotazione delle stelle e la distanza dal centro, essendo determinata dalla distribuzione di massa della galassia, permette di ricavare informazioni su quest’ultima.

Ne risulta che nella regione centrale della Via Lattea (il “bulge”), che noi non possiamo vedere perché ci viene oscurata dalla grande quantità di polvere che si trova nella sua direzione, si trova quasi la metà della massa del disco galattico, e poiché le dimensioni del bulge sono di “soli” 10.000 anni luce, la densità è tale che le stelle (se là dentro vi sono delle stelle) dovrebbero avere una distanza media reciproca di qualche settimana luce l’una dall’altra e un ipotetico pianeta che si trovi in quella zona avrebbe un cielo notturno illuminato come da centinaia di lune piene.

Del centro della nostra galassia, dunque non ci è dato di vedere nulla; ma anche in questo caso ci corre in aiuto la radioastronomia. Scandagliando il cielo nella regione del Sagittario con i radiotelescopi, si è individuato un picco di emissione (coincidente anche con un picco di emissione di raggi X) in corrispondenza di una regione molto piccola, meno di un millesimo di secondo d’arco (che alla distanza di 30.000 anni luce corrisponde a solo 10 volte la distanza terra-Sole o circa al raggio dell’orbita di Giove).

Dallo spostamento Doppler della riga di 21cm dell’Idrogeno neutro si è verificato che il gas in questa regione si espande con una velocità di 50 Km/sec.

È certo che qui devono venire innescati complessi meccanismi che riforniscono di energia la materia ed in particolare gli elettroni in modo da produrre quella emissione: si è pensato che il possibile responsabile di questi meccanismi possa essere un grande numero di stelle a neutroni, o di buchi neri o anche un unico enorme buco nero pesante come 200 milioni di Soli che fagocita materia continuamente riscaldandola a temperature di milioni di gradi.

Si è persino pensato ad un nucleo di antimateria nel quale avvengono in quantità incredibile processi di “annichilazione” con la materia sviluppando energia secondo la legge E = mc2. Non è dato di sapere ancora quale di queste ipotesi è vera né se verremo mai a conoscenza di ciò, ma è certo che là dentro sta accadendo qualcosa di straordinario, di fronte al quale divengono insignificanti le cifre che descrivono il mondo che sperimentiamo quotidianamente con i nostri sensi.

Forse ciò che quella coltre di fredde nubi cosmiche ci nasconde, come tutte le più remote profondità dell’universo, rappresenta per noi il senso di una sfida, la sfida che l’uomo nel suo microscopico mondo ha portato al cosmo: la sfida della conoscenza.

 

Bibliografia

 

Monografia n.19-1997/13


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