LA NASCITA DELLE STELLE
di Oriano Spazzoli


Immagine dell’Hubble Space Telescope (95-45c) di sistema planetario in formazione nella Nebulosa di Orione

«Ho scelto un argomento che potrebbe apparire, a prima vista, di natura tale da respingere un buon numero di lettori a causa delle sue difficoltà intrinseche, e anche perché sembra urtare i loro sentimenti religiosi. Scoprire le leggi sistematiche che legano tra loro i mondi creati nella distesa dello spazio infinito, e dedurre dallo stato primitivo della natura, in virtù delle sole leggi della meccanica, la formazione dei corpi celesti e l’origine dei loro moti: una tale impresa sembra sopravanzare di gran lunga le forze della ragione umana.»

Così il filosofo razionalista tedesco Emanuele Kant, nella prefazione alla sua “Storia generale della Natura e teoria del Cielo”, si accinse ad affrontare la spinosa questione dell’origine del mondo. Esordì, in particolare trattando della contrapposizione tra i teologi difensori della fede, che negavano che il mondo potesse aver avuto origine da cieche forze meccaniche e che esse sole ne potessero spiegare il comportamento e le trasformazioni, perché così l’azione divina avrebbe perso la sua necessità, e la nuova scienza, che essi vedevano intrisa del materialismo epicureo.

Kant si schierò dalla parte di quest’ultima, riflettendo sul fatto che non avesse senso disgiungere la natura dalle leggi che la descrivevano, e che non si capiva perché l’evoluzione dell’Universo secondo principi e regole conoscibili da una situazione di Caos iniziale all’ordine attuale, non potesse essere considerata anch’essa espressione di una Suprema Volontà.

Oltre a ciò egli riteneva che risalire fino all’origine dell’Universo fosse un compito perfettamente alla portata dell’uomo, data la semplicità delle forme e dei moti dei corpi celesti, questi ultimi determinati dalla loro tendenza a mantenere lo slancio inizialmente impresso loro a dall’attrazione gravitazionale verso un corpo centrale, nel vuoto cosmico.

Dunque l’Universo doveva essersi trasformato secondo regole che erano espressione di un piano Divino, dal Caos originario fino alle condizioni attuali; e la situazione di maggiore caos concepibile era una nube diffusa di vapori e polvere.

Sono trascorsi ormai oltre due secoli da allora, e in tutto questo tempo lo studio della natura, la Fisica, ha compiuto un lungo percorso che, partito dalla descrizione dei fenomeni più semplici (i moti) e dalla ricerca delle loro cause, ha condotto fino oltre i limiti dell’osservabile, ad analizzare la materia nei suoi costituenti fondamentali, e contemporaneamente a mettere insieme un quadro complesso e dettagliato della struttura di un nuovo Universo, arricchito, tra l’altro, dalle moderne tecnologie osservative.

È stato proprio in seguito al progresso delle scienze fisiche (particolarmente accelerato nel corso di questo secolo) che un fenomeno come quello della formazione di una stella, e talvolta di un sistema planetario, non è più stato associato all’origine del cosmo intero, ma è divenuto un fenomeno affatto ordinario, del quale esistono tuttora evidenze osservative, mostrate dall’Hubble Space Telescope, all’interno della nostra Galassia, o in galassie simili alla nostra (provviste, come essa, di una percentuale non trascurabile di materia in forma di gas e polveri cosmiche).

Pur dopo tutto questo lungo percorso, il punto di partenza dello sviluppo evolutivo di una stella è lo stesso ipotizzato da Kant oltre due secoli fa: una nube di gas diffuso, dal quale la stella si forma a causa della contrazione della nube, o di una parte di essa per effetto della propria stessa gravità.

 

Le nebulose diffuse e l’instabilità gravitazionale.

Le stelle contengono circa il 90% della massa del nostro sistema galattico; il rimanente 10% è costituito di gas diffuso e di polvere. Il gas è, a sua volta costituito prevalentemente di idrogeno (la percentuale di idrogeno nell’universo viene calcolata in base alla teoria cosmologica del "Big Bang" intorno al 74%, mentre del restante 26% la quasi totalità è composta di elio con percentuali inferiori all’1% di deuterio cosmologico e di elementi pesanti, talvolta aggregati in gruppi molecolari (nota 1)).

Addensamenti di gas e polvere (polvere di grafite e silicati), possono essere generati per effetto di fluttuazioni casuali, come accadde per le prime stelle che si formarono nell’universo, ma possono essere prodotti anche dalla compressione della materia prodotta dall’esplosione di una stella di grande massa alla fine della sua vita (una Supernova), e ciò spiega la presenza di elementi pesanti nella materia interstellare.

Le disomogeneità più accentuate nella distribuzione di quest’ultima danno origine al fenomeno delle nebulose diffuse, composte da idrogeno allo stato molecolare, ossigeno, azoto, ma anche di gruppi molecolari come CO, CH, il gruppo ossidrile OH o il cianogeno CN, e in certi casi molecole organiche (come la formaldeide); le condizioni fisiche di queste nubi (densità dai 100 ai 1.000 atomi per centimetro cubo, temperatura dai 10 ai 100° Kelvin), raggiungono in certi casi valori dei parametri fisici tali da favorire reazioni chimiche di formazione di molecole. La presenza prevalente di idrogeno molecolare nelle nubi diffuse di gas interstellare spiega perché esse siano indicate con il termine “nubi molecolari”.

Proprio in queste ultime nascono le stelle; tuttavia da un calcolo molto semplice che tiene conto della densità media delle nebulose e delle loro grandi dimensioni (dell’ordine di grandezza delle centinaia di anni luce), si può dedurre che la massa totale di una singola nube molecolare supera di molti ordini di grandezza la massa di una singola stella. La giustificazione di questa apparente contraddizione è piuttosto complicata, ed è fornita dalla teoria della gravitazione. Concentrazioni di gas come le nubi molecolari sono prodotte da una condizione denominata di “instabilità gravitazionale”, che consiste nella crescita progressiva di un addensamento di gas.

Tale processo di contrazione può avere luogo soltanto se la massa dell’addensamento iniziale supera un valore di “soglia”, dipendente dalla temperatura e dalla densità iniziali. Per una concentrazione di gas nelle condizioni medie della materia interstellare la massa minima per lo sviluppo dell’instabilità gravitazionale supera di diversi ordini di grandezza la massa del Sole.

Quando si verifica tale condizione nella materia, dunque, si avvia la contrazione gravitazionale del gas; la materia gassosa in contrazione aumenta la sua densità e, accelerata dalla gravità della stella in formazione, aumentando la sua energia cinetica, si riscalda. Il modificarsi delle sue condizioni fisiche causa la diminuzione della massa minima per la creazione di successive instabilità, e quando si formano all’interno della nube delle sottocondensazioni di gas e polvere può facilmente accadere che esse comincino un processo di contrazione indipendente; questo dà luogo al frazionamento della nube e spiega perché le stelle, in particolare quelle giovani, si trovino spesso raggruppate in ammassi (la presenza di stelle singole si spiega con il fatto che gli ammassi tendono a perdere spontaneamente stelle per un processo di “evaporazione” dovuto alla gravità del resto della galassia, o per il debole legame gravitazionale degli ammassi più piccoli).

Quando le sottocondensazioni acquistano dimensioni medie di 1 mese luce, con densità di 3.104 molecole biatomiche di idrogeno per centimetro cubo e temperature di 10° K, da ciascuno di essi si formerà una stella: tali condensazioni vengono denominate “nuclei densi”.

 

Dai “nuclei densi” alle stelle: protostelle e fase pre-sequenza (nota 2).

I modelli teorici della formazione di una stella vengono realizzati partendo da condizioni iniziali tipiche di un nucleo denso.

Le caratteristiche fisiche principali di una tale condensazione di gas e polvere cosmica sono due:

Si suppone inoltre che nella regione centrale (delle dimensioni di circa un secondo luce) del nucleo denso, la materia sia abbastanza concentrata e vi sia massa sufficiente da attrarre verso il centro altra materia circostante producendo un vero e proprio collasso (contrazione rapida) gravitazionale. La caduta della materia contro la parte centrale più densa provoca la formazione di un fronte d’urto, che per una protostella di massa uguale al Sole raggiunge una estensione massima di circa 60 raggi solari.

L’energia immagazzinata nel fronte d’urto produce sia il riscaldamento del gas in esso contenuto, che una intensa emissione di radiazione. Tale radiazione non viene però osservata perché viene assorbita e diffusa dalla polvere che circonda la zona centrale del nucleo denso; la parte più interna dell’involucro di polvere viene vaporizzata e questo processo già sottrae da solo energia alla radiazione; la radiazione restante penetra nella parte più esterna dell’involucro di polvere e ne viene diffusa, uscendo da esso alle lunghezze d’onda dell’infrarosso (nota 3), alle quali la polvere non è più in grado di assorbirli perché tali lunghezze d’onda superano le dimensioni caratteristiche di un grano di polvere (circa 1m m, cioè la milionesima parte di 1 m). Il fronte d’urto rifornisce di energia il gas posto nella sua parte più interna; esso raggiunge una temperatura elevata per l’energia assorbita che però emette rapidamente e raffreddandosi da 1 milione di gradi a circa 10.000°, e, in seguito, cadendo verso il centro ed andando ad accrescere la massa della protostella.

Si calcola che la temperatura al centro divenga così alta nella fase protostellare (circa 1 milione di gradi) da determinare l’innesco della fusione del deuterio, che per quanto presente in modesta quantità, mantiene caldo il centro della protostella e produce lo sviluppo del fenomeno della “convezione” (il meccanismo di trasporto del calore tipico dei mezzi fluidi, favorito da un brusco dislivello di temperatura tra due regioni vicine di materia liquida o gassosa). La convezione agisce attraverso lo sviluppo di movimenti di masse di gas che producono sia il livellamento della temperatura nella regione interessata dal fenomeno, che il rimescolamento della materia e la omogeneizzazione della composizione chimica nella stessa zona.

Ma se la modesta quantità di deuterio si esaurisce in breve tempo, la convezione invece prosegue, favorita dal fatto che la stella in formazione, ormai calda comincia ad emettere una intensa radiazione, che sfugge verso l’esterno dalla sua superficie, ormai liberata dall’involucro iniziale di materia da “venti protostellari” (questi ultimi di origine non ancora ben definite ed ancora oggetto di studio). Per questo motivo la superficie della stella si raffredda rapidamente; in tal modo è il dislivello di temperatura, che si crea tra gli strati esterni e quelli interni della stella divenuta ormai visibile, a mantenere attiva la convezione. Tutte le stelle nella fase pre-sequenza (vedi nota 2) sono convettive.

Una stella nella fase pre-sequenza non è ancora stabile, ma continua a contrarsi, diminuendo il suo raggio mentre la sua temperatura aumenta.

Quando la temperatura centrale diviene uguale a 10 milioni di gradi cominciano a verificarsi nel nucleo centrale le reazioni di fusione dell’idrogeno in elio e grazie ad esse la stella diviene stabile ed assume una luminosità, una temperatura superficiale ed un raggio che manterrà per tutta la durata della combustione dell’idrogeno (nota 4).

 

Tipi di oggetti protostellari.

Ricordiamo due tipi principali di oggetti protostellari o pre-sequenza: le stelle variabili del tipo T Tauri (dal nome del primo oggetto classificato come appartenente a questa categoria) e gli oggetti di Herbig-Haro (dal nome dei loro scopritori). In particolare le variabili T Tauri hanno le seguenti caratteristiche osservative che le distinguono da stelle di massa simile appartenenti alla sequenza principale:

 

I dischi circumstellari e la formazione dei pianeti.

Modelli dinamici delle stelle in formazione hanno mostrato come in esse, durante il collasso della materia verso il centro della protostella, nella regione più esterna la materia possa avere una velocità così elevata che le sia impossibile la caduta verso il centro e che al contrario essa resti in orbita intorno al nucleo centrale formando un disco. In esso la polvere forma nubi che si condensano lentamente, attirando su di sé parte del gas per dare origine ai pianeti.

Tipiche evidenze osservative dei dischi protoplanetari sono l’emissione tipica della molecola CO nelle microonde rilevata nelle immediate vicinanze della stella HL T Tauri, e attribuibile a un disco delle dimensioni di alcune settimane luce, e gli eccessi di emissione nell’infrarosso e nell’ultravioletto delle stelle T Tauri in generale. In particolare quest’ultimo fenomeno dovrebbe essere in parte prodotto dagli attriti interni tra parti diverse di un probabile disco circumstellare; tuttavia attualmente la causa di tale attrito non è ancora ben nota, poiché i calcoli hanno mostrato come la viscosità molecolare (la prima e più ovvia causa di attrito nella materia) si sia rivelata insufficiente a produrre l’energia irraggiata in tali casi.

 

Conclusioni.

Come si può dedurre dal quadro generale che abbiamo cercato di illustrare, lo scenario per la formazione delle stelle si è molto evoluto da quella prima audace idea di Kant. Tuttavia quel lungo cammino, intrapreso con la massima fiducia nella ragione umana, e con la stessa fiducia proseguito per altri due secoli, non è stato ancora completato. Il miglioramento delle tecnologie di osservazione e di calcolo ha di certo permesso di penetrare la coltre delle nubi cosmiche scoprendone alcuni segreti; d’altra parte, però, ogni nuovo stadio di un processo di conoscenza porta con sè nuovi problemi, nuove questioni che talvolta mettono in crisi certezze consolidate.

Nessuno sa in realtà se tutti i problemi che la scienza della natura si pone verranno completamente risolti o se il loro riprodursi continuerà quanto l’evoluzione della civiltà umana, ma forse è inutile discutere di questo. Forse ciò che rende la scienza del cielo affascinante, oltre al suo meraviglioso oggetto, è proprio il suo essere ricerca continua dell’uomo priva di limiti e di dogmi indiscutibili, come un gioco eterno e così appassionante da coinvolgere i giocatori al punto da far dimenticare loro il suo grande scopo ed il suo profondo significato.

 

Bibliografia:

 

Monografia n.32-1998/11


Note a “La nascita delle stelle

 

1 - Il deuterio è un isotopo dell’idrogeno avente un nucleo formato da un protone e da un neutrone (mentre l’idrogeno semplice ha un nucleo formato da un solo protone). In base a calcoli svolti da Steven Weinberg (premio Nobel per la Fisica nel 1980), nei primi tre minuti di vita dell’universo dall’esplosione iniziale (il “Big Bang”), si verificarono reazioni di fusione nucleare favorite dalla elevata temperatura iniziale dell’universo stesso; ma poiché la densità diminuì rapidamente in seguito all’espansione, le reazioni termonucleari cessarono presto e non consentirono la formazione di elementi più pesanti del litio (il cui nucleo era formato da tre protoni e quattro neutroni).
La presenza di elementi pesanti nella materia interstellare si deve al fatto che essa è stata arricchita dall’espulsione si materia elaborata all’interno delle stelle (grandi “fucine” cosmiche degli elementi), in seguito all’esplosione delle stelle di massa maggiore, che morendo danno vita al fenomeno delle “Supernovae”.

 

2 - Per protostella si intende il primo prodotto del collasso della regione centrale del nucleo denso, fino al momento in cui la futura stella diviene visibile; una stella in formazione si trova nella fase pre-sequenza quando si trova nella fase evolutiva compresa tra l’inizio dell’emissione nel visibile e l’innesco delle reazioni di fusione nucleare nel centro. Tali reazioni servono a rifornire di energia la stella e a mantenerla in equilibrio contrastando, con il calore prodotto e le forze di pressione da esso causate, la sua grande gravità. Solo dopo l’innesco di tali reazioni una stella si può considerare nata.
Poiché per l’avvio della reazione nucleare più semplice (quella che fondendo nuclei di idrogeno conduce alla formazione di nuclei di elio) occorre una temperatura molto alta (10 milioni di gradi), occorre che una stella abbia una massa sufficiente perché dalla sua contrazione gravitazionale possa svilupparsi l’energia necessaria ad un così grande riscaldamento; tale massa deve superare le 0,1 masse solari.
Il nome “pre-sequenza” deriva dal fatto che tutte le stelle durante la fase della combustione dell’idrogeno si trovano collocate in un diagramma temperatura-luminosità, il diagramma di Hertzprung-Russel (dal nome degli astrofisici che lo tracciarono per primi) lungo una linea ben precisa detta “sequenza principale”.

 

3 - I raggi infrarossi sono quella parte dello spettro elettromagnetico di lunghezza d’onda immediatamente superiore alla luce visibile (da 1mm a 1mm circa); attraverso di essi si verifica la propagazione del calore per irraggiamento, a anche per questo vengono informalmente chiamati “raggi calorifici”.

 

4 - Nel diagramma di Hertzprung-Russel la stella che attraversa la fase pre-sequenza (detta anche fase di Hayashi, dal nome di Chushiro Hayashi, l’astrofisico che ne studiò per primo le caratteristiche) si sposta verso la sequenza principale (nota 2) da una posizione collocata più in alto e a destra, seguendo una traccia che rappresenta la diminuzione complessiva della luminosità (dovuta essenzialmente alla diminuzione del raggio) abbinata all’aumento della temperatura superficiale.
Da notare anche che tutte le stelle pre-sequenza diventano visibili in posizioni del diagramma H.-R. collocate tutte su di una curva, detta “curva della nascita”. Tale curva interseca la sequenza principale in un punto corrispondente alle stelle di massa uguale a 8 volte la massa del Sole. Ciò significa che per tale massa la fusione dell’idrogeno inizia quando la stella è ancora avvolta da materia del nucleo denso iniziale.

 


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